Riviera di Valentino Ronchi

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Una Milano sconosciuta, che corre lungo gli argini di un canale tra villette immerse nel verde e periferie lontane, che fanno sentire in Riviera...

Una manciata di vecchie ville allineate, al margine estremo della città di Milano. Si affacciano tutte lungo il canale, che qui in questo punto si sfila dalle ultime case verso il niente, alla fine di via Padova, ben oltre il viavai di macchine e di genti. Attorno qualche orto, un po’ di boscaglia che borda il corso dell’acqua, tre, quattro vie che s’incrociano, una radura di avanzi di biciclette e rottami, di barattoli di vernici e vestiti, i rimasugli di una cascina che si allarga a nord. Il capannone di un timbrificio, una finitura metalli, qualche prato, e lunga la parata alta dei tralicci dell’elettricità che si allontana verso nord-est, puntando la pianura vuota. Il nome altisonante di Riviera fu dato a questo posto alla fine del Settecento, quando nel giro di pochi anni questo fondo di terra divenne luogo di residenza patrizia durante le belle stagioni e di rade, brevi scampagnate per i meno abbienti. Di alcune di queste ville, del diciottesimo e del diciannovesimo secolo, si parla in fondo a qualche libro su Milano. Altre, per nulla conosciute, sono sorte nel Novecento, modeste villettine con qualche fronzolo, i giardini semplici, un’eleganza mediocre. Un lungo viottolo di erba pestata, transitabile solo a piedi, unisce le ville e costeggia il tratto di canale. Sulle mappe è indicato come via Amalfi. Alcune ville hanno l’ingresso su via San Mamete, parallela, grosso modo, a via Amalfi, dall’altra parte, ma tutte mantengono la facciata su via Amalfi e sul canale. E sul canale si sporgono come ragazzi pensosi, tutti insieme alla balaustra di un belvedere”.

L’ho letto in treno, Riviera di Ronchi (e diventa un luogo del sogno, il legame che si crea tra titolo e autore). Tornavo da giorni romani e da giorni aquilani, un concentrato forte di vita; cose ritrovate, cose promesse. Prima di salire sulla mia freccia velocissima sono entrata in libreria e lo sguardo mi è caduto su una casa gialla, su un canale, forse un fiume, su un cielo azzurro, sul verde di alberi, di cespugli. È bastato. Copertina quadro (uno dei miei feticismi), casa editrice amatissima: binomio più che sufficiente per scommettere. L’ho aperto dopo essermi seduta, carrozza 7 poltrona 33. Una lettura poco attenta alla seconda di copertina (non amo molto, ammetto pur riconoscendone l’utilità, le trame) e ho sorriso e tanto. Immaginavo una Riviera tirrenica, magari amalfitana, oppure una Riviera di Ponente, una Liguria, un’alta Toscana. Ma i libri mi hanno sempre rincorsa e mi hanno sempre preceduta. Mi hanno sempre (ri)accompagnata a casa.

Conosco bene la Riviera di Ronchi. Ogni settimana percorro via Palmanova in direzione Cascina Gobba e al ritorno mi perdo spesso, per scelta. Ritrovo in quel luogo profumi e colori e suoni che ho lasciato altrove. Mi sono spesso chiesta “chissà che storie, qui”. La storia di Marianna Delfini, per esempio, “ospite garbato del mondo”, nata il 7 gennaio del 1970, un mercoledì, “a sera furono apposte due coccarde di tulle, una fuori dal cancello di via Amalfi e una all’entrata di via San Mamete”.

Valentino Ronchi non scrive, lascia scorrere le parole come il letto di un fiume lascia scorrere l’acqua. Sembra un moto orizzontale, piatto. Ma appena sotto il visibile, pietre e terra e verde e cose cadute dal cielo o lanciate da mani incuranti alterano il flusso, lo deformano, lo originano.  Poco più di cento pagine. E c’è tanta Milano, oltre la Riviera. C’è Roma. Ci sono i legami famigliari. L’amicizia. C’è la vita. Che scorre come deve e come può. E resta scritta.

Prova superba.

Valentino Ronchi, Riviera, Fazi Editore

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