Vedove di Camus di Elena Rui

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Un libro ripercorre la fine di Albert Camus, premio Nobel per la Letteratura 1957, e il suo privato: una moglie, due figli, tre amanti...

 

di Tiziana Pasetti

 

Trama – È il 4 gennaio 1960. In un tratto di strada, la dipartimentale 606, che collega Champigny-sur-Yonne e Villeneuve-la-Guyard, una Facel Vega FV3B perde il controllo del rettilineo e urta un platano, poi un secondo, prima di finire fuori strada. Dall’abitacolo vengono sbalzate tre persone, all’interno della vettura resta incastrato un quarto corpo. Le tre persone sbalzate fuori sono l’editore francese Michel Gallimard, che morirà, sua moglie Janine e sua figlia Anne. L’uomo, 47 anni da compiere, morto probabilmente sul colpo, incastrato fra i due sedili anteriori, si chiama Albert. Tre anni prima ha vinto un premio. Albert ha una moglie, la seconda, la pianista Francine Faure, e due figli di quattordici anni, i gemelli Catherine e Jean. Albert ha un’amante, l’attrice Catherine Sellers. Albert ha un’altra amante, la giovane pittrice Mette Ivers. Albert ha da quindici anni una relazione, quasi tutta vissuta attraverso uno scambio epistolare, con una donna che definisce “l’Unica”, l’attrice Maria Casarès. Quattro vedove. Il premio Nobel per la Letteratura 1957, Albert Camus, lascia vedove quattro donne.

Un assaggio – Non piange Francine, in testa al corteo la mattina del 6 gennaio. Ha l’aria esausta ma compita e decorosa accanto al cognato Lucien, mentre qualche personalità locale e i calciatori della squadra di Lourmarin portano la bara di Camus dalla villa al cimitero. Nessun passaggio in chiesa, per rispetto delle sue convinzioni. Un funerale che gli assomiglia: intimo, lontano dai giochi di potere e dalle false apparenze parigine. I suoi illustri contemporanei non hanno dovuto chiedersi se fosse importante onorare di persona la sua morte. Se le esequie avessero avuto luogo a Parigi, Sartre, Beauvoir e la loro combriccola si sarebbero interrogati sull’opportunità di sotterrare l’ascia di guerra, superare il diverbio nato intorno alla pubblicazione de L’uomo in rivolta e fare atto di presenza. Una cerimonia privata a 800 km di distanza dalla capitale toglie tutti dall’imbarazzo e risolve il problema alla radice: nessuno deve sforzarsi di incontrare persone che in altre circostanze eviterebbe. Gli invidiosi che hanno scritto che l’Accademia svedese celebrava un’opera conclusa, che hanno evocato una precoce sclerosi creativa e ironizzato su un premio alla carriera attribuito a uno scrittore così giovane se ne sono potuti restare a casa o in ufficio, per la serenità dei vivi e dei morti. Il Nobel si è rivelato un premio profetico: Albert, che ha spesso evocato l’angoscia di essere seppellito vivo da quel riconoscimento pomposo e definitivo, due anni dopo sta per essere seppellito sul serio. Ora possono tacere tutti: che la sua carriera sia finita è un dato di fatto incontestabile e incapace di suscitare polemiche. Allontanare lo scrittore Camus da Parigi significa per Francine essere, per una volta, in un rapporto di incontestabile e assoluta monogamia: una sola moglie, una sola vedova e nessuna scelta difficile né per lei né per nessun’altra.

Leggerlo perché – Leggerlo perché la figura di Albert Camus è strepitosa, è stata strepitosa la sua letteratura che forse sarebbe meglio chiamare filosofia. Leggerlo perché l’uomo Camus forse è stato qualcosa di ancora più vasto rispetto alla sua produzione. Il libro di Elena Rui è scritto benissimo e lascia una sete di dettagli ulteriori e, questa è magia, getta un amo oltre i fatti di cuore. Perché quegli occhi, quello sguardo, rapivano così definitivamente? La risposta è ovviamente un mistero ogni volta a due e, per noi lettori, nella sua opera tutta, necessaria e bellissima.

Elena Rui, Vedove di Camus, L’Orma

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