Amica di salvataggio

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Dolce nella sua spaventevole amarezza, così è Il film che Nanni Delbecchi, marito di Alessandra Appiano, le ha dedicato

Se penso a una Pietà, penso al film-documentario Amica di Salvataggio, su Alessandra Appiano, di Nanni Delbecchi e Vito Oliva. Ma non penso alla Pietà di Michelangelo in San Pietro, dove la Madonna è più giovane di suo figlio, e lo veglia in un sonno d’amore e pace-  penso all’altra Pietà di Michelangelo, la Pietà Rondanini, dove la Madre sostiene a fatica il corpo del figlio, non plasticamente addormentato, ma con tutta la pesantezza della morte, le gambe piegate, e nulla addolcisce lo strazio.

Amiche di salvataggio, La vita è mia e me la rovino io, Ti meriti un amore, Le vie delle signore sono infinite,  Le belle e le bestie, Il cerchio degli amori sospesi, Più malsani, più brutti…Questi i titoli di alcuni romanzi di Alessandra Appiano, che già rovesciano la prospettiva, promettono (e mantengono) una sonata andante con moto–  come non amarla? Era pronta al gioco, e seria, di un’eleganza che trascendeva l’abito (sempre classico e originale), incontenibile e raffinata, spiritosa come un angelo. Una dinamo piena di talenti come modella, scrittrice, giornalista, autrice e conduttrice di radio e televisione, costante nell’impegno sociale, attivissima. Le  invidiavo quell’aria di far tutto senza fatica, per grazia, come danzando.

Quando la incontravo avrei voluto essere lei, sempre viva e ispirata, ironica, curiosa dell’altro, saggia, con una tenerezza da cucciolo quasi implume. E poi bella da levare il fiato, Grace Kelly con una testa da filosofo.

La prima volta che la vidi era una ragazzina con una chioma dirompente, e due occhi che non li scordavi più. Come in un’agiografia i meriti non finiscono mai, perché Alessandra era così. Quando s’è uccisa l’ho saputo perché sono andata alla Rai e ho trovato le truccatrici, le parrucchiere, le sarte e che piangevano tutte. E continuano a parlarne, appena si fa il nome di Alessandra cercano di ricordare indizi in quella perfezione, per scoprire una ruga di malinconia, una frase che poi, interpretata, darebbe una chiave per il mistero per l’indecifrabile.

Alessandra sapeva raccontare, era autenticità e teatro. Era sposata con Nanni Delbecchi (lo chiamava sempre “il Nanni”) una delle penne più consapevoli e spiritose del mondo. Ne parlava come del suo compagno di avventura, parlava della gatta, della loro vita mobile di ragazzi liberi senza figli. Trapelavano l’amore, e il divertimento. Al suo impegno nel sociale accennava appena, anche se le era appena stato assegnato l’Ambrogino d’oro proprio per quello.

Il 3 giugno del 2018, la notizia che si fosse data la morte fu incomprensibile e atroce. Chi la vedeva ogni tanto come me, ne aveva un’immagine aerea. Chi la conosceva bene sapeva che, come tutti, anche Alessandra pagava un prezzo di sgomento e di buio per la sua consapevolezza- i suoi libri sono pieni di humour, ma trapassano il cuore.

Alessandra  era ricoverata in clinica per una forma di depressione. Nanni sapeva che lì era curata e protetta. Non poteva immaginare che sua moglie si sarebbe allontanata senza che nessuno se ne accorgesse- invece poté uscire, e fare ciò che aveva deciso. In clinica lo seppero dalla Polizia, quando la tragedia era già avvenuta. Per ore e ore nessuno aveva notato che Alessandra non c’era (questo è raccontato nel film).

Tutti piangono Alessandra Appiano. E Il Nanni? Lei non ha lasciato una parola. Non era in grado. Se fosse stata lucida forse non si sarebbe inflitta quella violenza. Ma il silenzio resta. E resta il tormento che si sarebbe potuto evitare, se solo in clinica avessero avuto cura di lei come paziente, se non ci fosse stata una responsabilità anche umana.

Ci sono molti modi per reagire sotto un tale peso. Nanni Delbecchi non ha detto un Requiem: ha scolpito una Pietà. Si è messo col suo amico fraterno, Vito Oliva (che gli aveva presentato Alessandra 26 anni prima) a ricostruire la vita di lei, foto per foto, riga per riga, apparizioni in tv, momenti fra amici, premiazioni, mischiando presente e passato, e testimonianze (da don Mazzi ad Arbore a Monica Leofreddi, a Paolo Caruso, ai tanti amici e amiche).

Per un anno Nanni e Vito si sono chiusi al mondo come monaci, e chinati sull’enorme materiale della vita di Alessandra, esponendosi al dolore più vivo, e rinnovandolo, stando con lei, momento per momento, come in una  lunga veglia, una Passione ripetuta ogni giorno. Poi le hanno dato la voce di Lella Costa, che pronuncia in prima persona le parole da lei scritte o dette- con tanta ironia e pathos, dolcezza e impudenza da bella strega- la sua interpretazione è un madrigale all’amica scomparsa. 

Amica di salvataggio è un unicum. Bellissimo, implacabile, narrativamente assai abile, dolce nella sua spaventevole amarezza. Alessandra diceva sempre di sorridere, di sorridere, e questo ci dice anche attraverso il film…Ma quando esci ti viene solo da urlare, e hai un senso di rivolta, per una tragedia che poteva forse essere evitata. Dopo il film ti trovi nella posizione più scomoda. Ti trovi davanti a te stesso.

Con gratitudine e rancore grazie Nanni, grazie Vito, per non avere ceduto al dolore, restituendoci Alessandra. (Enrica Bonaccorti ha detto: Sembrava sempre serena…ma nessuno di noi conosce il fantasma che lo abita).

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