È giusto educare i figli alla rinuncia?

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La sobrietà è stato un mantra educativo per intere generazioni. Con effetti non sempre positivi sull'autostima, ne parliamo nella storia vera "Vivere da povera senza esserlo"

Quanto conta il valore dell’umiltà nella società di oggi? Se dovessi rispondere d’impulso, guardandomi in giro, direi zero.

Viviamo in un mondo dove spesso va avanti chi sa vendere più fumo, spararla grossa e dimostrarsi molto sicuro di sé, al di là delle reali capacità. Ecco perché leggendo su Confidenze la storia vera raccolta da Rossella Boriosi, Vivere da povera senza esserlo, si ha la sensazione di essere catapultati in un mondo lontano anni luce da quello dei giorni nostri. Ma a ben guardare quel mondo ha toccato da vicino ancora molti di noi. Sto parlando di un’educazione a un certo understatement, come dicono gli inglesi, o “volare basso” come più prosaicamente diciamo noi, che veniva insegnato alle persone della mia generazione. Noi figli del baby boom degli Anni 60, nati in famiglie dove genitori e nonni avevano vissuto la Seconda Guerra Mondiale, e visto con i loro occhi cosa voleva dire non avere più in casa i generi di prima necessità o fare la fila per un sacco di farina, siamo stati educati a una certa sobrietà, a vivere al di sotto delle nostre possibilità. Erano anni in cui un cappotto durava intere stagioni, e quando passava di misura, veniva riposto nell’armadio per tornare utile alle generazioni successive. Il pane secco si usava per fare la torta di mele (o da dare alle galline per chi viveva in campagna) ma difficilmente si buttava via. La macchina si teneva per dieci anni e più e non c’era leasing che tenesse.

Tra questo e i giorni nostri ci sono stati in mezzo gli anni Ottanta con la pubblicità e il potere persuasivo della televisione, il consumismo, la moda, l’avvento di Internet e dei social più un certo benessere acquisito diffuso. Così è difficile pensare che oggi un ragazzino venga educato con i criteri descritti nella storia vera di Giulia, dove, come scrive l’autrice, ”la spensieratezza infantile era vista con riprovazione, mentre un atteggiamento mesto e rinunciatario veniva incoraggiato”. E valori come umiltà e spirito di sacrificio venivano inculcati fin da piccoli insieme a un sistema educativo “basato sulle rinunce e sulla lotta allo spreco attraverso il riciclo e il riutilizzo”.

Io, se devo essere sincera, in parte mi sono riconosciuta nel racconto di Giulia, non perché i miei genitori mi abbiano fatto mancare alcunché, ma perché appunto mi hanno trasmesso il valore della modestia, insegnato a non vantarmi di quello che avevamo e soprattutto a non chiedere troppo e a non dare mai nulla per scontato. Così da piccole se ci regalavano la bici nuova non bisognava andare in cortile a dire gli altri: «guarda che bella la mia bici, hai visto è nuova» e quando si partiva per la settimana bianca bisognava stare sul vago e dire semplicemente ai compagni: «la prossima settimana non ci sono» senza strombazzare ai quattro venti vacanze e regali.

Ai compleanni poi valeva la regola che i propri desiderata non eccedessero nei costi e nelle richieste, così da non mettere in imbarazzo nonni e zii. A scuola ogni bel voto veniva apprezzato, ma in fondo, lo si leggeva negli occhi della mamma “avevamo fatto solo il nostro dovere”. Come ogni secondogenita, anch’io ho beneficiato di vestiti e libri passati da mia sorella maggiore e oggi che sono mamma cerco di insegnare a mio figlio il valore del risparmio e la lotta allo spreco in ogni sua forma.

Perciò credo che alla fine, al netto di tutto, io debba ringraziare i miei genitori per avermi insegnato il senso della rinuncia, che non è così scontato, ma che nella vita prima o poi capita a tutti di dover esercitare. E quindi tanto vale essere preparati prima.

Il solo avvertimento da tenere presente è quello che ci dà Francesco Comelli, psichiatra, nel suo commento alla storia raccolta da Rossella Boriosi: “l’importante è che il valore che l’umiltà rappresenta non vada a mortificare la persona, la sua forza, la sua reattività e la sua possibilità di espressione”. Il discrimine tra un’educazione rigida ma riuscita e l’azzeramento della propria autostima è infatti molto sottile.

E voi che tipo di educazione avete ricevuto: troppo rigida o permissiva?  E con i vostri figli come vi siete comportate? Raccontatecelo.

 

Confidenze