Il fascino perduto delle librerie di una volta

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Erano più di un negozio, un rifugio dove correre quando da ragazzi avevamo un problema, il luogo dove formavano mente e cuore

Mancano pochi giorni al Natale e forse mai come in questo periodo tocchiamo con mano i cambiamenti subiti dai negozi nelle grandi città.
Vittime privilegiate di chiusure selvagge sono da anni, purtroppo, le librerie e non sto parlando delle grandi catene come Mondadori o Rizzoli, i cui punti vendita continuano a essere punti di riferimento storici per intere generazioni (chi non è ma entrato da Rizzoli in Galleria Vittorio Emanuele o da Hoepli e Mondadori in piazza Duomo a Milano?), ma dei piccoli negozi di quartiere dove da ragazzi si andava per acquistare un libro da leggere per la scuola o da regalare a parenti ed amici.

Il mio primo ricordo di una libreria risale agli anni dell’infanzia: la domenica mattina mio padre portava me e mia sorella al Museo di Storia Naturale di Milano e poi alla libreria Feltrinelli di via Manzoni. Qui ricordo ancora i libri animati per bambini, quelli con le linguette da tirare, che magicamente si aprivano in tante figure colorate. Ogni domenica papà ce ne comprava uno, insieme a un romanzo di Salgari.  Un po’ mi annoiavo durante quelle lunghissime soste, papà passava ore a chiacchierare con il direttore della libreria, ma oggi a distanza di tanti anni, quando entro da Feltrinelli in via Manzoni mi sento quasi a casa…

Poi, crescendo, ho iniziato a frequentare per motivi scolastici la libreria vicino a casa. Era gestita da un signore piuttosto burbero, quando si entrava da ragazzine si aveva l’impressione di essere sempre sotto esame, e spesso con le mie amiche, finivamo per porgere il biglietto con il titolo del libro da acquistare, onde evitare di essere riprese per la pronuncia sbagliata di Emile Zola o Dostoevskij.

Di quell’uomo e del suo negozio ho un ricordo legato, purtroppo, a una delle giornate più tristi della storia della Repubblica Italiana.

Era il 9 maggio del 1978, il giorno in cui trovarono il cadavere dell’onorevole Aldo Moro, facevo la quarta ginnasio e stavo andando a studiare da un’amica, in un pomeriggio assolato di silenzio irreale, come raramente ho rivisto a Milano.
Passai davanti alla solita libreria, il signore burbero stava tirando giù la saracinesca per andare, come molte altre persone, alla manifestazione spontanea di cordoglio che era stata indetta in piazza Duomo.

Mi guardò, aveva la faccia stravolta, lo salutai con soggezione e lui mi chiese: «Non vieni anche tu alla manifestazione?».

In quelle parole c’era il senso del suo lavoro, l’amore per i libri e la cultura che forse cercava di trasmetterci quando entravamo nel suo negozio. Dopo qualche anno la sua libreria cedette il posto a un cinema a luci rosse. Ingloriosa fine di un luogo di cultura.

Per questo ho provato una punta di nostalgia nel leggere su Confidenze la storia vera raccolta da Roberta Giudetti, “Il luogo del cuore“. Un amarcord delle vecchie librerie di quartiere soppiantate dai centri commerciali, ma anche il rimpianto per quei luoghi dove i ragazzi potevano sfogliare libri, incuriosirsi a un romanzo e passare ore senza che nessuno gli chiedesse di comprare qualcosa.

Per inciso, ieri sera mio figlio aveva bisogno di un libro da leggere per la scuola durante le vacanze di Natale; ho acceso il computer, sono andata su Amazon, l’ho ordinato. Arriva stasera…

Confidenze