Il lavoro che cambia sotto i nostri occhi

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Dallo smart working, al nomadismo digitale fino alla settimana corta, ecco come cambia il lavoro (quando c'è) dopo la pandemia

Nella storia vera di Irene Zavaglia “Piccoli dettagli di felicità” che trovate su questo numero di Confidenze si parla del mondo del lavoro e dell’esperienza di alcuni giovani con il lavoro interinale, gestito dalle tante agenzie che procurano mano d’opera e figure professionali a tempo determinato per le aziende.

È appena passata la festa del 1 maggio, una festa che per assurdo ha come convitato di pietra proprio il lavoro che non c’è, le professioni che stanno scomparendo strette tra la morsa dall’intelligenza artificiale e della digitalizzazione delle nostre vite. Eppure stando ai dati Istat usciti a fine marzo, da febbraio 2022 a marzo 2023 ci sono stati 352.000 posti di lavoro in più, anche se questi non hanno interessato la fascia di età dai 35 ai 49 anni.

Ma sono soprattutto gli ultimi tre anni di pandemia ad aver completamente stravolto il mondo del lavoro, creando abitudini e stili di vita che solo fino a qualche anno fa ci sembravano impensabili.

Guardando alla mia esperienza, ricordo ancora quel fatidico 8 marzo 2020, in cui ci venne detto: «portate i computer a casa e lavorate da lì». Una rivoluzione impensabile fino a pochi mesi prima, che vide di botto 8 milioni di italiani confrontarsi con lo smart working, fino a qualche settimana prima un acronimo inglese relegato nei programmi di welfare aziendali.

Il risultato è stato che gli italiani hanno iniziato a lavorare in modo diverso, per le donne è stato un modo per trovare finalmente un bilanciamento tra la famiglia e l’ufficio, e alcuni, e se ne sono innamorati a tal punto (non tutti però) da non voler più tornare in ufficio.

Qualcuno ha persino fatto un passo in più: perché restare in città a lavorare, quando una connessione Internet e un computer, consentono di raggiungere l’ufficio e le persone in qualsiasi luogo? È nato il fenomeno del nomadismo digitale, le persone lasciano le grandi città (famiglia e figli permettendo) e preferiscono andare a vivere al mare alle Canarie o in Brasile o più semplicemente in paesini dove la vita costa meno.

Ma non è finita qui: secondo i dati forniti dal Ministero del Lavoro sono quasi 2 milioni e 200.000 le dimissioni registrate nel 2022, un aumento del 13,8% rispetto al 2021. Tanti hanno rivisto le loro priorità abbandonando l’impiego fisso a favore di un altro oppure prendendosi una pausa per concentrarsi sulla vita privata. È il cosiddetto great resignition, le dimissioni di massa che hanno ridisegnato il mercato del lavoro.

Così se oggi mi trovassi a consigliare a un giovane quale strada intraprendere avrei serie difficoltà. Queste alcune delle opinioni raccolte tra gli amici di mio figlio 19enne.

« Il posto fisso? Roba da schiavi, io non voglio stare chiuso in un’azienda otto ore di fila. Meglio fare l’imprenditore». «Io per meno di 5k al mese non mi muovo, raga.. » ha fatto eco un altro‚.

Potrei continuare con altri aneddoti, ma la verità è che la centralità del lavoro come l’abbiamo vissuta noi della generazione dei baby boomers, identificandoci quasi con la professione che svolgiamo, è tramontata definitivamente.

Lo conferma anche la tendenza in atto in numerose aziende a ripensare i tempi di lavoro con l’introduzione della settimana corta: si lavora su quattro giorni e il venerdì lo si lascia libero per partire per il weekend o dedicarsi a qualche sport o interesse personale. Un modo più umano di vivere il proprio impegno. Ma attenzione: Il Sole 24 Ore di recente ha pubblicato un sondaggio realizzato dal Gruppo The Adecco su una platea di 2.000 lavoratori: il 66% di chi è interessato alla settimana corta sarebbe disponibile a farla solo a parità di salario e solo il 10% accetterebbe una decurtazione allo stipendio.

Il tempo è denaro ma se manca il denaro per spenderlo al meglio, il gioco non vale candela. E voi cosa ne pensate, siete favorevoli alla settimana corta?

 

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