Il ragazzo lupo, ovvero Lazzaro felice

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Vi consiglio il film di Alice Rohrwacher perché è una cura contro l'obbligo alla malvagità del nostro tempo, un inno all'innocenza e all'anarchia dell'immaginazione

Sono contenta di aver perso quando è uscito Lazzaro felice, il film di Alice Rohrwacher, così l’ho visto fuori dal clamore in un cinemino estivo con due amici, visionari incalliti. E all’uscita eravamo più lievi, come dopo una preghiera, come dopo un silenzio. Lazzaro è un ragazzo dallo sguardo limpido, da prima alba del mondo (lo sguardo di Adriano Toniolo, l’attore, e dell’autrice). Non sa nemmeno di chi è figlio, non sa niente: salvo la gioia celestiale di dar gioia agli altri. Non dice di no a nessuno, a nessuna fatica, aiuta tutti, solleva pesi immani, e sorride. Senza conoscere il Vangelo, nell’altro vede se stesso. Il ragazzo puro, il ragazzo lupo che ulula, e i fratelli lupi dalla valle gli rispondono.

Siamo agli inizi degli anni ’80, in una campagna immaginaria modellata sulla realtà, dove alcune famiglie di contadini analfabeti sono schiave della Marchesa padrona della terra, che le tiene nella perfetta ignoranza e le sfrutta senza scrupoli. Non sanno nemmeno che la mezzadria è finita, non sospettano di avere dei diritti. Lazzaro ha un’amica, Antonia, che lo capisce, e l’illusione di un amico, il marchesino Tancredi. Un parolaio squinternato, ma ha letto i romanzi della Tavola rotonda e lo inizia al gioco, e al sogno. Gli regala anche una fionda.

È per correre da lui che Lazzaro cade da una rupe, e si schianta a terra. Nessuno lo troverà mai. Passano molti anni. Un giorno un lupo si china sul corpo di Lazzaro, intatto, nascosto nella forra, e lui torna in vita: giovane e innocente come allora, con in tasca la fionda. Intanto la sua tribù ha scoperto di avere dei diritti, l’ignobile marchesa è stata arrestata, rovinata. E adesso che giustizia fatta e finalmente sono liberi cittadini, abitano nella città moderna in un orrido container, miseri come non mai, vivendo di fame e di furti. Lazzaro li trova, toreando fra le auto che hanno invaso il mondo- ma non è sconvolto dal cambiamento. La vita per lui è luce, perché ce l’ha dentro. Ritrova Antonia (una inedita mobilissima Alba Rohrwacher).  Incontra perfino Tancredi, adorabile vecchione mezzo imbroglione mezzo pazzo (un meraviglioso Tommaso Ragno). E poi…andatevelo a vedere.

È una cura contro l’obbligo della malvagità che il tempo richiede, un film contro le regole mercantili di cui stiamo morendo. Non so perché nelle critiche al film, anche le più entusiaste che riconoscono il capolavoro, ricorre sempre la parola “irritante”. Cos’è che irrita in questo film? L’anarchia dell’immaginazione. La poesia. La poesia è pericolosa, è parente della santità. Dicano pure quel che vogliono: quando Lazzaro muore con la sua fionda, ucciso dai Golia di una banca, un lupo si parte da lui e corre, libero, per l’eternità.

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