Italiani e salute mentale: a che punto siamo?

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Nel mese della salute mentale, una ricerca di Unobravo analizza il rapporto degli italiani con la psicoterapia e i disagi psicologici

Maggio è il mese della consapevolezza della salute mentale e Unobravo, il servizio di supporto psicologico on line attivo dal 2019, per l’occasione ha realizzato il primo Unobravo MINDex: Il Barometro del Benessere Mentale degli Italiani, un’indagine su un campione di 2.250 intervistati di età compresa tra i 18 e i 50 anni.

Da dopo la pandemia Unobravo ha visto aumentare in modo esponenziale le richieste di aiuto e, grazie al modello di consulto on line ha reso la terapia uno strumento accessibile a tutti, (sono oltre 5 milioni le sessioni erogate e 7.000 gli psicologi affiliati) anche se permangono alcune reticenze, ben evidenziate da questa ricerca.

La prima è che le persone provano disagio a parlare della propria salute mentale: per l’ 81% il disagio psicologico viene visto come una debolezza. Solo il 16% infatti si sente libero di parlarne e 4 persone su 10 si sono sentiti dire frasi come “tutti hanno problemi, affrontali” oppure hanno pensato dentro di sé: “Devo farcela da solo”.

Gli uomini si sentono meglio delle donne: il 68% dichiara di avere un ottimo stato mentale contro il 54% del gentil sesso.

I giovani tra i 18 e 29 anni invece sono quelli che indossano di più una maschera: il 38% afferma di aver dovuto nascondere il proprio disagio emotivo e il 39% si è sentito dire: “stai solo esagerando”.

Ma il dato che salta più agli occhi è che oltre il 90% degli italiani intervistati dichiara di aver avuto almeno una volta difficoltà e disagi psicologici. Le cause sono principalmente stress da lavoro (35%), preoccupazioni economiche o abitative (29%) e timori legati alla salute (27%). Ancora una volta sono più i giovani e le donne a sperimentare emozioni negative come ansia, bassa autostima e solitudine oltre a sentirsi bloccati, insoddisfatti e privi di uno scopo.

Venendo a come gli italiani percepiscono la psicoterapia, il 42% la considera uno strumento imprescindibile, soprattutto tra le generazioni più giovani e la popolazione femminile. Solo una minoranza pensa che ci si debba ricorrere solo in caso di emergenza. Il costo resta tuttavia la barriera principale: il 57% afferma che è il motivo per cui non iniziano un percorso psicologico.

La ricerca poi dà molta attenzione anche al benessere psicologico sul luogo del lavoro, un tasto dolente visto che quattro lavoratori su dieci (42%) riportano che il loro datore di lavoro non offre alcun benefit o supporto specifico per la salute mentale dei dipendenti.

Sebbene la maggioranza (56%) si senta libera di esprimere emozioni e difficoltà sul lavoro, il 32% si trattiene per paura di sembrare debole o poco professionale. 

Dando la parola agli esperti (la ricerca ha coinvolto circa 1.600 psicologi della rete di Unobravo) emerge che la maggioranza delle persone va in terapia dopo un punto di rottura e che nel 70% dei casi rimanda l’accesso nella convinzione di potercela fare da solo. L’età media di accesso si è abbassata, con le generazioni più giovani che sembrano più aperte e consapevoli rispetto alle precedenti. Il bisogno più ricorrente è la ricerca di stabilità e sicurezza psicologica spesso compromessa da un contesto che impone efficienza e produttività.

L’impatto della pandemia ha avuto un ruolo di acceleratore nella domanda di supporto psicologico: il 66% dei professionisti clinici ha registrato un aumento delle richieste già a partire dal primo lockdown.

La terapia online ha rappresentato una vera svolta: per oltre il 71% degli specialisti ha contribuito in modo significativo ad ampliare l’accesso e normalizzare la richiesta di supporto. Anche a cinque anni dalla pandemia, la domanda rimane alta ed è in crescita, segno che il bisogno di salute mentale non è un’emergenza passeggera, ma una componente strutturale del nostro benessere”, sottolinea Valeria Fiorenza Perris, Direttore Clinico di Unobravo.

Un’ultima notazione va proprio alla metodologia del consulto on line che secondo gli esperti di Unobravo si riassume nel cosiddetto “effetto schermo”. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, il fatto di non essere in presenza ma a casa propria dietro a un computer aiuta molto di più le persone ad aprirsi e a sentirsi libere di parlare di quanto non avvenga in studio in presenza con il terapeuta. È il cosiddetto fenomeno de “leone da tastiera” aggiunge Danila De Stefano, Ceo di Unobravo, che fa sentire le persone più forti e più libere di confidarsi.

Tutti gli psicologi della rete sono comunque formati per operare on line e ciascuno con la propria specificità. E nei casi più gravi sono gli stessi terapeuti a consigliare la terapia in presenza.

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