La perfezione del tiro di Mathias Enard

Mondo
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Una guerra mediorientale, una delle tante, non sappiamo quale. Crediamo di conoscere chi imbraccia un fucile: è il nemico. Ma che volto ha?

 

“La cosa più importante è il respiro. Il suo ritmo lento e regolare, la pazienza del respiro; per prima cosa devi ascoltare il tuo corpo, ascoltare i battiti del cuore, la calma del braccio, della mano. Il fucile deve diventare una parte di te, un tuo prolungamento. La cosa più importante non è il bersaglio, sei tu. Ovunque ti trovi, su un tetto, dietro una finestra, ovunque, devi organizzare lo spazio, controllarlo, farlo tuo. Non c’è nulla che disturbi più di un gatto che ti passa alle spalle, o di un uccello che si alza in volo. Devi essere te stesso e nient’altro, l’occhio nel mirino telescopico, il braccio di metallo teso verso il bersaglio, per centrarlo. Dal mio tetto perlustro i marciapiedi, scruto le finestre, guardo le persone vivere. Basta una pressione sul grilletto e posso centrare chiunque. Non è semplice, tutt’altro, è un mestiere difficile che richiede precisione e concentrazione. Tutti pensano solo allo sparo e all’esito del tiro. Non sanno che ho ascoltato i battiti del loro cuore attraverso il mio, che ho soffocato ogni emozione, che ho smesso di respirare appena prima di premere il grilletto, come si usa dire, anche se io non premo un bel niente, anzi, semmai libero un cane di metallo che percuote un innesco che accende un esplosivo che propelle un proiettile fino a milleduecento metri e che vi uccide. Oppure no. Puoi anche fare il tiro più bello del mondo, ma ci sono sempre degli imponderabili, ostacoli che insorgono fra te e il bersaglio da colpire; una raffica di vento può far tremare impercettibilmente l’arma, un rumore in strada ti distrae, sei colto di sorpresa da un’esplosione o dal rumore di un’auto. Il tiro in sé è l’unica cosa certa. Io sparo soltanto a colpo sicuro. Sparo poco”.

Io non so davvero come abbia fatto, Enard, a scrivere queste pagine (tradotte magnificamente dal francese da Yasmina Melaouah). Non lo so, forse neanche lo voglio sapere, ma di certo so che ha scritto un capolavoro di forma e di contenuto.

Non conosciamo il nome del protagonista ma di lui sappiamo ogni cosa, conosciamo la perversione che pian piano diventa normalità, conosciamo il suo corpo, conosciamo le sue ossa, le sue ferite, il suo sangue, le sue emozioni contorte ed estreme. Conosciamo la follia di sua madre e conosciamo il nome di Myrna, la giovane ragazza che si prende cura della madre del cecchino. Conosciamo il cuore che per lei batte dell’innominato e non conosciamo la paura della ragazza dai capelli belli e dagli occhi di sogno. Redime, l’amore? Davvero dalla letteratura vera ci aspettiamo la favola, la menzogna?

Una guerra mediorientale, una delle tante, non sappiamo quale, ma la conosciamo, o almeno questo crediamo. Crediamo di conoscere chi imbraccia un fucile, chi lancia una granata: è il nemico, per definizione. Ma che volto ha, il nemico?

Cosa mangia? Profuma oppure no? Ama? Odia? Ha una famiglia? Torna a casa con la divisa intrisa di sangue? E mentre spara a cosa pensa? Piange, il nemico? E il nostro nemico come chiama gli altri, quelli che noi definiamo ‘i nostri’? E ‘i nostri’ che fanno? Come si difendono? Non sparano, loro? Chi decide dove sta il dritto o il rovescio della ragione?

Un libro strepitoso, un ritmo inarrestabile, esplosivo come la storia che racconta.

 

Mathias Enard, La perfezione del tiro, edizioni e/o

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