La scimmia non perdona

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Una scimmia a Umbertide, nell’Alta valle del Tevere, era un avvenimento. Diventò il trastullo del paese, mio padre e mia madre ne andavano molto orgogliosi.

Negli Anni 50 mio padre si trovava a Roma per un lavoro. Lo pagarono più di quanto si aspettava. Si trovò con dei soldi in avanzo. Non sapeva cosa farci. Si comprò una scimmia e la portò in regalo alla moglie. La chiamarono Ghibli, come l’implacabile vento del deserto. Allora i due sposi vivevano coi genitori di lui. Quando arrivò la scimmia, la nonna tutta gentile le porse una banana, e quando l’animale allungò la manina per prenderla, la ritirò e se la mangiò in faccia alla Ghibli, con aria maligna.

Da quel giorno, la scimmia non ebbe pietà.  C’era la stufa a legna in cucina, e la nonna bolliva ogni sera il pentolino del latte. La scimmia stava in agguato, poi ratta balzava sul tubo sopra la stufa, e fulminea defecava sul latte, con una mano aggrappata al tubo, con l’altra lanciava il suo prodotto. Si vendicò ogni sera, per i tre anni  che visse. Chiudevano le finestre, i pertugi, niente, non si sa da dove sbucasse ma lei sbucava, e operava. Le scimmie hanno i superpoteri. Una gara di malignità la vincono sempre.

Una scimmia a Umbertide, nell’Alta valle del Tevere, era un avvenimento. Diventò il trastullo del paese, al bar la facevano ubriacare,  la viziavano, e lei diventava sempre più scostumata. Mio padre e mia madre ne andavano molto orgogliosi.

Nell’orto confinante c’era la sor’ Angela del buffet, che allevava polli di razza. Un giorno le arriva un gallo bianco, maestoso, presuntuoso, costoso, il re dei pennuti, e la vanitosa proprietaria si stava facendo fare una foto con lui. La Ghibli lo punta…spicca un balzo oltre la rete, mentre il fotografo scatta salta in groppa al raro esemplare, lo afferra per il collo e lo cavalca, lo lancia al galoppo per l’orto. Il gallo  corre all’impazzata e lei con una mano si regge al collo, con l’altra intanto lo spenna veloce con le sue manine, mentre corrono si lasciano indietro una nuvola di piume…non gliene lasciò neppure una.

Quando la sor Angela si trovò davanti il suo gallo nudo e umiliato fece il diavolo a quattro, voleva ammazzare la scimmia, e chiamò i Carabinieri che si sforzavano di non ridere, mentre lei urlava: «sparate, che aspettate?  Vi paghiamo per questo!».

I miei allora per qualche settimana allontanarono la scimmia. Un po’ per salvarle la pelle –  la  sor’Angela mentre la Gibli le faceva le boccacce dei rami del fico, le aveva sparato col fucile da caccia (mancandola)-  un po’ perché non ne potevano più. La diedero a un parente francescano che aveva pazienza con gli animali, ma che con lei la perse subito, cercò di darle uno schiaffo e ed ebbe un morso. Allora la accolse l’altro nonno, un macellaio  molto serio e costumato che, a dispetto del suo mestiere, amava le bestie. Stravedeva per il suo gattone di nome Loli, un certosino antipatico che allevava a filetto.  Il nonno dormiva con lui invece che con la moglie.

La Ghibli veniva chiamata al femminile  in quanto scimmia, ma era maschio. E aveva un gran problema, collocare in qualche modo il sesso che teneva sempre dritto in mano.  E intanto guardava Loli, lo guardava…finché un giorno saltò sulla schiena del gatto e  si approfittò di lui, prima che potessero impedirlo.

Il nonno rimase annientato dall’oltraggio. Per consolarlo, tutti gli dissero che Loli aveva subito l’affronto perché vecchio e stanco, non certo per vizio, dunque non c’era disonore. Il nonno scuoteva la testa, e non diceva niente. C’era poco da dire. I tempi cominciavano a sopraffarlo.

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