Le Barbie imperfette

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Barbara Alberti interviene con un suo commento, fuori dal coro, sul tema dl nostro sondaggio. Perché volete infliggerci le bambole brutte?

Dopo avere invaso il mondo con la Barbie frivola sexy longilinea con la faccia da cretina e guardaroba da diva, la Barbie diventa realistica. Ecco dunque apparire la grassottella, la troppo magra, la bruttina, quella con i piedi troppo lunghi o le gambe troppo corte, ecco la chiappona, la Barbie con l’acne, i capelli radi e il nasone…questo perché l’affare miliardario cominciava a scricchiolare.

Dopo trent’anni la Barbie classica vendeva di meno, e allora gli astuti mercanti hanno avuto questa bella pensata, inseguendo il politicamente corretto: “così, dicono, le bambine potranno specchiarsi più volentieri nella loro bambola…”.

No, per favore! Perché ci volete infliggere le bambole brutte? Non parlo mica a nome delle bambine, parlo a nome mio, parlo di quando ero bambina io. Avevo già tanti dubbi sul mio aspetto, ma almeno la mia bambola doveva essere bellissima.

Ridateci la bambola idealizzata, il nostro alter ego che ci consola. Non voglio specchiarmi nel suo acne, voglio perdermi nelle sue fattezze irreali, trasferire in lei il mio sogno di perfezione. Diavolo di un mercato, è micidiale. Ora vuole anche guadagnare sui difetti.

Le bambole dei miei tempi erano di porcellana, con degli occhioni blu mai visti in natura, delle ciglia lunghe lunghe, dritte come spazzole, che si chiudevano quando stavano coricate,  ed emettevano un miagolìo tipo “ma-mma”. Portavano abiti di organdis e grandi parrucche esagerate che non si potevano pettinare. Erano i nostri idoli, erano la fiaba. Non avevano ancora le tette a punta delle Barbie né i culetti vertiginosi, né armadi che scoppiavano di vestiti, ne possedevano uno solo, e se non  lo trattavi con cura dovevi aspettare fino al prossimo Natale per averne un altro. Quella di mia sorella si chiamava Eleonora, vestita d’azzurro, imponente, sontuosa,  la compensava della benda che doveva portare sull’occhio (mia sorella allora era strabica).

Quando venivano a giocare le compagne di scuola se la teneva sempre in  braccio, come a confondersi con lei, ad assorbire la sua staticità di piccola dea, e gliene derivava un’autorità indiscutibile. La mia si chiamava Maria Grazia, era vestita di rosa, il suo volto immobile era tanto più simpatico del mio, e in lei cullavo me stessa, assolta dal mio naso già adunco, e dalle troppe efelidi. Ma io ero una bambina di tanto tempo fa, quando i bambini non erano ancora arruolati dalla nascita nell’esercito dell’ unica divinità moderna, il Consumo.

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