Mi sono ripresa me stessa

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Per il 25 Novembre la storia vera di Veronica che, dopo anni di violenze psicologiche, ha trovato aiuto nel progetto “Rotary per le Donne”.

Storia vera di Veronica F.  Raccolta da Valeria Camagni

Mi chiamo Veronica, ho 39 anni e sono stata vittima di maltrattamenti familiari. La mia non è una triste vicenda di degrado sociale ambientata in quartieri emarginati o frutto di comportamenti figli dell’ignoranza. E lui non è il marito ubriacone che torna a casa e picchia la moglie.

Quella che ho subìto in questi anni è stata una forma sottile di violenza, che si è insinuata lentamente, come una piccola crepa sottile, all’inizio quasi invisibile, ma poi sempre più profonda, devastante, capace di creare distanze incolmabili e fratture insanabili.

Non so dire di preciso quando le attenzioni di mio marito e il suo esercizio di controllo nei miei confronti si sono trasformati in qualcosa di più morboso di un attaccamento eccessivo, quando i suoi comportamenti hanno iniziato a pesarmi, a farmi sentire manipolata, tanto che l’ansia ha cominciato a salire in me fino a tracimare. Questi ultimi tre anni sono stati difficili da affrontare, perché è sempre difficile prendere consapevolezza della violenza, specie di quella psicologica, che non è uno schiaffo sbattuto in faccia, ma è qualcosa che agisce nel più profondo, minando le tue certezze una a una, facendoti sentire più fragile ogni giorno che passa. Ero arrivata a colpevolizzarmi per un nonnulla, a chiedermi se davvero non fossi io a sbagliare e lui nel giusto. Oggi comunque posso dire di aver superato il peggio e di essere finalmente arrivata a un nuovo equilibrio anche familiare.

Ma andiamo con ordine, mi sono separata da Matteo nel settembre 2021. È stato l’ultimo atto di una vera e propria persecuzione, iniziata con la sua smania di controllo su tutto quello che facevo, dai messaggi che ricevevo sul cellulare ai posti dove andavo; la sua presenza era come un’ombra inesorabile che scandiva ogni mia azione, me lo trovavo sempre accanto, non potevo fare nulla da sola.

E poi c’erano i litigi che io cercavo di smorzare per il bene dei nostri figli, che oggi hanno 15 e 12 anni, ma che allora erano più piccoli e sono stati inevitabilmente coinvolti nella nostra separazione. Per non creare attriti, io avevo accettato che mio marito si sistemasse al piano di sopra nello stesso stabile dove abitavo con i bambini. Ma l’appartamento al piano di sopra non era mai del tutto finito e in ogni momento lui trovava una scusa per venire a casa da noi, oppure chiedeva informazioni ai nostri figli sui miei spostamenti, cosa facevo, dove andavo.

Sono cominciati così i ricatti morali ai quali io cedevo per il bene dei ragazzi, ma più passava il tempo, più capivo che questo era il suo modo di manipolarmi, di esercitare il controllo su di me. Non ci sono mai stati episodi di violenza fisica vera a propria, ma c’era una manipolazione continua. Io annaspavo, capivo che le cose non andavano bene, ma non sapevo come muovermi per uscirne. Anche i ragazzi soffrivano, erano diventati insicuri e si rivoltavano contro di me, specie il minore, perché fomentato dal padre. Per giunta la mia famiglia di origine remava contro la decisione di separarmi. I miei genitori sono all’antica e mi frenavano continuamente dal prendere decisioni di questo tipo. Con i miei suoceri era ancora peggio, ogni volta che cercavo di far capire che il loro figlio non stava bene e che andava curato, trovavano sempre un motivo per dargli ragione. Avevo provato a rivolgermi a un avvocato, ma bisognava sporgere denuncia e non me la sentivo, Matteo era pur sempre il padre dei miei figli.

A maggio 2021 però presa dalla disperazione ho preso contatto con un centro antiviolenza. Anche in questa occasione mi consigliarono di sporgere denuncia per abusi psicologici e maltrattamenti familiari, parlai con l’assistente sociale per due ore, e devo dire che all’inizio ero piuttosto diffidente, perché temevo che potessero togliermi i figli, ma mi spiegarono che loro erano lì per aiutarmi a ricostruire la mia famiglia.

E siamo arrivati all’estate 2021, quando i ragazzi sono venuti al mare con me, e il mio ex con la scusa di venirli a trovare si è fermato con noi per tutto il periodo.

Rientrati a Milano è ripartita la sua ossessione, diceva che non poteva vivere senza di me, che l’avrebbe fatta finita (era già capitato che avesse preso delle pastiglie), finché una sera è arrivato a fare un gesto di vero e proprio autolesionismo. A quel punto ho capito che non potevo cedere ancora una volta ai suoi ricatti e me ne sono andata di casa. Sono tornata a stare dai miei genitori e soprattutto ho sporto denuncia, avvalendomi del Codice Rosso. Ricordo che era il 9 settembre 2021, lui mi ha mandato un sms dicendo che aveva preso delle pastiglie, a quel punto ho avvisato i Carabinieri. Sono state ore drammatiche: l’ambulanza che arriva, il ricovero in ospedale, lui che non voleva accettarlo nonostante la perizia psichiatrica avesse dimostrato che c’era qualcosa che non andava.

Da novembre 2021 poi è scattato il divieto di avvicinamento e io ho finalmente ottenuto l’affidamento condiviso dei nostri figli. Da marzo 2022 sono entrati in campo anche i servizi sociali per le gestione dei ragazzi, perché naturalmente lui mi aveva accusato di incuria nei loro confronti.

In questi mesi, un passo dopo l’altro, anche i rapporti con i miei figli sono molto migliorati. Nicolò che era il più critico nei miei confronti, è tornato a essere affettuoso. E anch’io ho ricominciato ad avere i miei spazi, ho ripreso gli studi universitari che avevo interrotto quando aspettavo il mio primo figlio e sono riuscita a laurearmi in Storia. E poi grazie al Centro Antiviolenza a cui mi ero rivolta sono entrata in contatto con il Progetto di reinserimento lavorativo del Rotary Club di Milano Aquileia e Sempione. Ora sto seguendo un tirocinio presso Obey italia nel settore delle risorse umane per la selezione del personale. È un’esperienza bellissima, il lavoro mi aiuta a distogliere lo sguardo dalla situazione familiare e soprattutto mi consente di ritrovare fiducia nelle mie capacità, mi dà quell’autostima che mi è sempre mancata e che ha permesso al mio ex marito di insinuarsi minando ancora di più le mie certezze.

Io l’ho chiamato “Progetto salvezza” perché senza questo sostegno non ce l’avrei mai fatta e spero che tutto ciò sfoci in un lavoro che mi permetta di essere finalmente autonoma e camminare sulle mie gambe.

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Articolo pubblicato su Confidenze n.47 2022

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