Per il tuo medico sei una persona o solo una malattia?

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La medicina ha fatto passi da gigante, ma ha sviluppato anche una certa tendenza a tenere in considerazione più la malattia che il malato che ne soffre. L’avevi già notato? Ti spiego il perché.

Si chiama EBM, acronimo di Evidence Based Medicine, ovvero medicina basata sulle evidenze, ed è ciò che orienta, e orienterà sempre di più, l’operato di medici, biologi, infermieri, fisioterapisti e qualsivoglia altro professionista sanitario in ogni parte del mondo. È in quest’ottica che ormai ti cura anche il tuo medico di famiglia.

 

L’evidence based medicine ha rappresentato una vera rivoluzione culturale in seno alle scienze mediche. Gli scopi per cui, negli anni novanta, si è sviluppato questo modello innovativo e ormai imperante, nella sanità pubblica e privata, sono sicuramente di grande importanza: fare in modo che gli operatori della salute prendano decisioni per la cura dei loro pazienti fondate su prove di efficacia oggettive e documentate. Prove innanzitutto composte da ricerche e sperimentazioni cliniche condotte nei vari settori delle scienze biomediche e pubblicate sulle riviste di settore più autorevoli. Grazie a questi studi vengono tratte conclusioni di valore generale e sviluppate apposite linee guida internazionali per la cura delle diverse malattie. Costituiscono le direttive a cui oggi si uniformano le scelte diagnostico-terapeutiche del medico e degli altri professionisti sanitari nel momento in cui assistono i loro pazienti.

 

In pratica, la medicina basata sulle evidenze consente al medico di adottare le migliori strategie terapeutiche disponibili, scartando le opzioni che si sono rivelate meno adatte, superate, legate all’aneddotica o la cui efficacia non è stata comunque sufficientemente dimostrata dalla ricerca.

 

Sembrerebbe tutto perfetto, quindi. L’approccio EBM richiede però notevoli cautele di utilizzo, per non rinunciare allo spirito critico e all’esperienza clinica dell’operatore sanitario. In caso contrario, il rischio è di spersonalizzare il malato, di considerarlo una patologia prima che un individuo, di fare coincidere l’essere umano con la diagnosi di cui è portatore: fatta la diagnosi, ecco che risulta consequenziale la procedura – farmacologica, chirurgica o di altra natura -, valida per qualunque paziente sofferente della stessa malattia, a ogni latitudine, con qualsiasi vissuto individuale.

 

L’essere umano tuttavia ha una complessità biologica e psicologica, per non dire esistenziale, che non è possibile ingabbiare in canoni rigidi e astratti, e di cui il processo decisionale del terapeuta deve tenere conto. L’evidence based medicine rappresenta uno strumento preziosissimo, ma, se male utilizzato, rischia da un lato di mortificare gli aspetti della medicina come arte, come intuizione, come “genio”, riducendola a mera tecnica, e, dall’altro, di attribuire al paziente il ruolo di semplice soggetto passivo. L’uomo però non è una macchina.

 

La prossima volta che ti rechi dal medico prova a notare se sta prendendosi carico di una persona, nella sua unicità e complessità di corpo, mente, modalità di reazione, esperienze, valori ed esigenze, o soltanto di una malattia.

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