Piccoli seminatori di pace

Mondo
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Cosa vuol dire collaborare concretamente alla pace nel mondo? Al di là delle grandi imprese, ci sono gesti semplici, con cui ognuno può partire da sé e fare la sua parte

 

Il 21 settembre si celebrava la Giornata Internazionale per la Pace. Di fronte al destino del mondo tutti ci sentiamo così piccoli e ininfluenti da non sapere che contributo potremmo mai dare. Tuttavia, anche nella vita di ognuno di noi le occasioni di conflitto di certo non mancano. E, se è vero che il mare è fatto di tante gocce, come decidiamo di comportarci nel quotidiano può fare la differenza. Tre semplici gesti mi sembrano importanti.

 

Mettersi nelle scarpe altrui

Robert Baden-Powell, il fondatore degli scout, invitava a rendersi conto del punto di vista dell’altro prima di litigare con lui: in novantanove casi su cento questo sforzo avrebbe favorito un rapporto positivo, anche nella differenza di opinioni. Quando siamo convinti di aver ragione, guardare la situazione con gli occhi di chi sposa un’idea diversa è difficile. Difficilissimo, poi, assumere la prospettiva altrui se ci sentiamo feriti, offesi, traditi. Credo però che quest’esercizio sia davvero una specie di interruttore magico, che può far cambiare istantaneamente l’atmosfera. Costruire la pace passa anche da qui. Rancore e rabbia trasformano il confronto con figli, mariti e colleghi in uno scontro pressoché inevitabile. Se invece riusciamo a trasmettere che comprendiamo le loro posizioni, li rendiamo più disposti a capire la nostra. L’espressione inglese che traduce il nostro “mettersi nei panni di un altro” è “camminare nelle sue scarpe”: immaginare di avere ai piedi mocassini troppo stretti o ciabatte consunte aiuta a tener presente che per la persona che abbiamo di fronte procedere nella nostra direzione può essere tanto difficile quanto è per noi andare verso di lei.

 

Cercare flessibilità e umorismo

La tensione a migliorarsi è il motore della crescita interiore. Come si sa, però, a volte il meglio è nemico del bene: un conto è infondere passione in ciò che facciamo, lavorare per correggere i difetti e ottenere buoni risultati, un altro è far dipendere la propria felicità dalla performance impeccabile. Quando è così, la ricerca della perfezione può portare nelle relazioni il germe dell’intolleranza. Chi è tanto esigente con se stesso rischia di richiedere l’eccellenza anche agli altri o di scaricare la frustrazione su chi capita a tiro nel momento in cui qualcosa delude le sue aspettative. Abituiamoci ad accettare di più i limiti nostri e degli altri e a riderci sopra: l’umorismo è un grande pacificatore. Ricordatene, la prossima volta che nella tua pur riuscitissima cena il dolce non avrà la forma che volevi o quando una battuta infelice incrinerà l’armonia della riunione di famiglia. Concentrarsi sul resto e trovare il lato comico della faccenda aiuta ad alleggerire la tensione.

 

Affrontare o lasciare andare

Un altro modo di portare pace nel nostro universo quotidiano è imparare a lasciare andare. Che non significa essere superficiali, ma distinguere tra ciò che vale la pena affrontare e ciò che si risolve – letteralmente, si scioglie – nel momento in cui molli la presa. E decidi di passare oltre, di non alimentare la miccia del risentimento, di chiudere dentro di te qualcosa che in realtà forse si è già concluso. E’ alle tue spalle e ha perso, con la sua attualità, il potere di condizionarti. Può trattarsi del rapporto con una persona che ti ha fatto del male, di un pettegolezzo maligno, dell’invidia subita o provata e magari non confessata nemmeno a te stessa.

 

Questi comportamenti sono alla portata di chiunque. Metterli in pratica abitualmente aiuta a costruire dentro e intorno a noi una realtà un po’ più rosea. Se lo facessimo tutti, smettendo di sottovalutare il potere del singolo, forse pian piano anche il mondo finirebbe per somigliare più a un giardino che a una polveriera.

 

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