Preferisco il cinema alle serie tivù

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Ebbene sì, ho fatto la mia scelta: niente fiction né serie tivù fino a data da destinarsi. Per il momento, infatti, preferisco il cinema.

Appassionata di film, non perdo mai l’occasione per andare al cinema. Dove vedo di tutto di più.

In assoluto le mie storie preferite sono ispirate alle vicende realmente accadute. Però, mi piacciono anche le pellicole romantiche, drammatiche, comiche. Ovviamente vado matta per i thriller. E, meno scontato, per le mappazze lentissime. Per intenderci, quelle che fanno sbuffare o addormentare la maggior parte della gente. Sempre ammesso che non esca dalla sala prima della fine.

Insomma, scartando solo i fantasy, la fantascienza e gli horror, non c’è film che non mi attragga. Motivo per cui molti amici pensano che io sia anche una fiction-addicted.

Niente di più falso. Tant’è che leggendo l’articolo Serie d’autore, qual è la tua? (su Confidenze in edicola adesso) mi sono accorta di non conoscerne neppure i titoli. O di averli sentiti vagamente nominare senza che lasciassero il segno.

A dire il vero, dichiarare che le storie in tivù non mi piacciono non è del tutto giusto. Più che da una questione di gusti, infatti, la scelta di non vederle è dettata da due ragioni che vado a raccontarvi.

Se parliamo di serie trasmesse in chiaro, mi angoscia e mi fa sentire in gabbia l’idea di avere un impegno fisso ogni settimana. Esperienza già vissuta in un passato remoto quando, pur di non perdere una puntata di Sandokan o di Dallas, l’organizzazione delle mie serate era scandita dall’appuntamento con il piccolo schermo.

Fatto accettabile ai tempi di Kabir Bedi, visto che ero ancora piccola e non avevo niente da fare dopo il tramonto. Meno gradito, invece, quando sono iniziate le prime pizze infrasettimanali con i compagni di scuola.

Appena qualcuno lanciava l’idea, infatti, io mi arrovellavo nel cercare una risposta alla domanda esistenziale: meglio sedermi in compagnia davanti a una Margherita. Oppure sola, soletta sul divano per scoprire le nuove malefatte del cattivissimo J.R. Ewing?

Lasciando alle spalle quel periodo di decisioni mica da ridere, arriviamo al presente.

Se oggi ho fatto la ponderata scelta di non vedere nessuna fiction in streaming (me lo sono proprio imposta) non è per questioni mondane, ma legate alla mia personalità: più seriale di una serie.

In altre parole, so benissimo che con la possibilità di accendere la tivù esattamente quando voglio, all’orario che voglio e per tutto il tempo che voglio, correrei il grosso rischio di non mettere più il becco fuori di casa finché non mi sono sparata tutte le puntate di fila. Indipendentemente dal numero e la durata.

Questo, lo capite da voi, significherebbe una vita da reclusa e senza un briciolo di attività fisica. Programma che preferisco tenermi per il futuro, se il destino avrà in serbo per me una lunga vecchiaia.

Nel frattempo, credo sia molto meglio tenermi lontana dalla tele per darmi allo sport. Alle relazioni sociali. Al cinema. E quando non esco, per leggere un libro (che altrimenti non aprirei neanche dipinta). Oppure, cimentarmi nell’enigmistica.

Allenare il cervello a botta di parole crociate, crittografate, anagrammi e sciarade, fra l’altro, potrebbe aiutarmi a raggiungere la fase della vita da dedicare a serie e fiction con ancora un barlume di lucidità mentale. Sufficiente, almeno, per capire di cosa diavolo parlano.

Un training che faccio per me, certo. Ma anche per chi mi sarà accanto. Perché mi dispiacerebbe un casino tormentare la dolce metà ed esasperarla con continue domande del tipo: «E quello chi è?». «Dove sta andando?». «Perché fa così?». No, no, meglio di no!

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