Quando eravamo i padroni del mondo di Aldo Cazzullo

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Un saggio sulla grandezza infinita dell'Impero romano, motore propulsivo della Storia e ancora parte delle nostre anime

Trama – “Roma: l’Impero infinito”, questo il leitmotiv dell’ultimo saggio di Cazzullo. Si parte da un viaggio, come sempre: una città in fiamme nella Turchia occidentale, un eroe in fuga con il proprio padre e con il figlio. Tutto comincia da un controsenso, un controsenso che è la forza di Roma: partire dagli ultimi. Chi vuoi riconoscere come tuo fondatore? Ulisse? Achille?

No, i Romani scelgono un eroe sconfitto capace di innalzare sulle proprie perdite il senso di un sogno, di una rinascita. Enea il pio, il dotato di forza morale, il responsabile, sarà il padre della più romana delle virtù, la pietas, e saprà fondare un futuro eterno grazie a una parola che ha senso solo se agita, res pondus, portare il peso. Il peso di Ascanio e il peso di Anchise: metafora elegantissima per dire “io sopporto il presente, figlio, il passato, padre, rendo possibile l’eredità”. Dai sette re a Spartaco e Catilina, da Cesare e Cleopatra a Augusto passando per Cicerone, Bruto e Cassio, da Costantino a Giustiniano, le pagine scorrono tra storia e curiosità, tra fonti e voli pindarici che trasportano ogni epoca successiva a fare i conti con quel tempo, quelle idee, quelle suggestioni. L’Impero Romano è stato il motore propulsivo della Storia e la fonte di infinite storie, “è ancora parte delle nostre vite e delle nostre anime”

Un assaggio – Perché Il Gladiatore è stato un successo planetario, con cinque Oscar, compresi quelli per il miglior film e per il miglior attore, Russell Crowe? Perché Totti ha incitato i compagni romanisti, alla vigilia dello scudetto del 2001, con le sue stesse parole («al mio segnale scatenate l’inferno»)? Forse la spiegazione è proprio nella fase finale del Gladiatore: «C’era un sogno, che era Roma». Alla fine, quel che resta di Roma è un’eredità di parole più che di armi. Di Augusto restano i versi composti in suo onore da Orazio e Virgilio, e il lamento di Ovidio da lui mandato in esilio. Ogni volta che noi pronunciamo le parole della politica, della religione, della vita pubblica, stiamo rendendo senza accorgercene un tributo all’antica Roma. Una società violenta, segnata da profonde ingiustizie e da enormi diseguaglianze. Eppure una società percorsa da grandi tensioni morali, in cui l’ideale del governo universale e di una pace duratura ha messo radici destinate a restare nel cuore dell’uomo. È questo il vero motivo per cui ogni impero della storia si è presentato come l’erede dell’Impero Romano. Per questo Roma non è mai caduta. Roma, almeno nella versione idealizzata da scrittori, artisti, poeti, è il più alto dei nostri pensieri.

Leggerlo perché – “Roma è il più alto dei nostri pensieri”, il motivo è questo. Roma è bellezza, certo, ma Roma è soprattutto l’inafferrabile, la complessa, la ‘trama’ del mondo, il ricamo e lo strappo, la divina underground, la maga che strega. Tutto nasce a Roma, nascono le nostre parole e nascono le idee di bellezza e di ferocia. Nascono le illusioni e nasce il senso di eterno. Roma è un pensiero e una condanna, un amore e una minaccia, un progetto e infinite sconfitte. “Roma non è mai caduta”, scrive Cazzullo e per noi che qui siamo nati e cresciuti, che da qui siamo andati via ma che poi qui siamo tornati non è un ossimoro. Roma cade ogni giorno da quando è nata: cammina e cade, si alza e cade, striscia e cade, vola e cade. A terra sappiamo stare e ci sappiamo stare perché Roma è ancora un progetto, è ancora e ovunque radicata e viva, Roma non è mai antica, non è mai in rovina. Roma è un’eterna giovanotta, livida e splendente, selvaggia e irriverente. Roma è notturna, liquida; è labirinto, è città aperta.

Aldo Cazzullo, Quando eravamo i padroni del mondo, HarperCollins

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