Quella fine che tutti ci accomuna, può tornare più umana

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Quale è l’ultimo tabù della nostra società? Il sesso? No di certo, vista la continua esibizione del corpo a cui siamo ormai assuefatti, né tanto meno la violenza, sparata in faccia ogni sera alla Tv.

No, il vero ultimo tabù del XXI secolo è la morte. E non quella trasmessa in mondo visione dalle immagini di guerre e attentati, ma quella che ci tocca da vicino. Il parente malato da tempo, la nonna con l’alzheimer.

Nessuno più si occupa di chi sta morendo, ci si spegne per lo più in solitudine, in un letto di ospedale, in una situazione medicalizzata che nella sua asetticità rasenta il disumano. Una volta la morte era un fatto sociale, che riuniva famiglie attorno al capezzale del moribondo, bambini compresi. Oggi la si evita come la peste.

E non c’è da stupirci, in una società basata sul culto del “per sempre giovane”, che vede la vecchiaia come un incubo da allontanare il più possibile e di cui disfarsi in fretta, non c’è posto per pensare all’aldilà.

Per giunta i progressi della medicina ci hanno (per fortuna) abituato a crederci immortali e quando ci scontriamo con la caducità delle nostre esistenze, cerchiamo di dimenticarcene in fretta.

Di questi temi e dei valori universali della dignità di vivere e morire ci parla Monsignor Vincenzo Paglia, Presidente della Pontificia Accademia per la Vita, in un bellissimo libro : Sorella morte. La dignità del vivere e del morire (Piemme, settembre 2016, 17,50 euro) dove affronta, con il punto di vista di un uomo di Chiesa, gli aspetti legati al “fine vita”, che suscitano i più aspri confronti in Italia e nei Paesi europei.

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Dove comincia e dove finisce la dignità del vivere e del morire? Il diritto alla vita presume anche un obbligo alla vita?

Mentre l’Europa si affretta ad approvare leggi sull’eutanasia e sul suicidio assistito, la nostra cultura, rammenta Monsignor Paglia, sembra dimenticare che ogni persona, in quanto unica e irripetibile, è patrimonio dell’umanità e che anche un anziano morente può insegnarci qualcosa fino all’ultimo respiro. Oscurando la morte, sostiene Paglia, si spezza il legame che unisce le generazioni, il senso di continuità e di trasmissione del testimone, che passa anche attraverso la coscienza del fatto che la fine si avvicina.

C’è una frase che mi ha colpito moltissimo e che riassume il senso del dibattito: si è passati dalla richiesta di “pietà per la morte” a quella di “morte per pietà”, con un rovesciamento completo dei valori della cultura occidentale.

Il libro è una riflessione profonda sulla vita, sui valori umani di fraternità e accettazione di un comune destino, (il titolo Sorella Morte s’ispira al Cantico delle creature dove San Francesco dice: “Laudatu si’, mi signore, per sora nostra morte corporale” ).

Gli stessi temi che trovate nella bellissima storia vera: “C’è una macchina che vola” raccolta da Daniela Granieri e pubblicata su Confidenze.

Un uomo giunge al capezzale della madre malata che langue ricoverata in una casa di riposo, e si sorprende a sperare di poter metter fine per sempre alle sue sofferenze.

È un umanissimo desiderio che chissà quanti di noi hanno espresso in cuor loro di fronte alla prolungata agonia di una persona cara, e che ci fa scontrare proprio con quel diritto alla vita tanto invocato dalla Chiesa cattolica, suscitando sempre sentimenti contrastanti: rabbia, impotenza, vergogna, dolore.

Non vi dico altro. Vi invito a leggere questa storia e a fare una riflessione su un tema così delicato e personale come il fine vita e l’eutanasia.

Confidenze