di Tiziana Pasetti
Trama – Simone, Adela e Emory, tre voci per raccontare la maternità giovanissima, quella di un gruppo, le Ragazze, che diventa grande affrontando l’esperienza più estrema del corpo e della mente di ogni donna. Nella Florida bollente e lontana dalla piccola parte che attrae in primavera i turisti da tutto il mondo, in località immaginaria chiamata Padua Beach, Simone partorisce nel pick-up rosso del suo ragazzo due gemelli. A sedici anni, da sola, senza assistenza sanitaria, e da sola recide con i denti – per due volte – il cordone ombelicale separandolo dalla placenta. Quello stesso pick-up diventa un luogo di accoglienza per ragazze come lei, future madri per caso ma anche per scelta. Diventa un luogo e una casa per Adela, arrivata dal nord, spedita via dai genitori per nascondere agli occhi della società la vergogna della figlia, diventa un luogo e una casa per Emory, cacciata da casa dal nonno razzista. Ragazze che diventano madri, che scelgono il nuovo ruolo e non abbandonano l’altro, non abbandonano la loro giovinezza, non perdono la paura ma neanche la speranza. La voce forte e chiara di ogni singola madre ragazza, il rumore cupo e inquinato di una società – famiglia compresa – che non accoglie, non aiuta, non cresce.
Un assaggio – Dire a un uomo che aspetti suo figlio è come dare un morso a una pesca matura. L’unico modo per sapere se è buona è affondarci i denti. Quando avevo detto a Tooth che ero incinta ancora non sapevo che avrei avuto dei gemelli, non l’avevo detto a nessun altro. Avevo una paura cane quando ero arrivata da lui, nel posto dove ci davamo sempre appuntamento, cioè il retrobottega del negozio di esche dove lavorava, e prima che si aprisse i pantaloni, avevo sputato il rospo. Poi a denti stretti avevo aspettato di sentire il sapore. Non potevo essere più sorpresa quando mi aveva sollevata e fatta girare in attesa che lo stringessi con le gambe per potermi strizzare le chiappe e sussurrarmi all’orecchio, «Avremo un bambino», e non sembrava arrabbiato né deluso o spaventato, perciò avevo riso dicendo, «Eh sì», e fine della storia. Avevo sperato che anche gli altri reagissero come Tooth e quello era stato il mio primo errore. Starete pensando che se la vostra bambina tornasse a casa da scuola e vi dicesse che è incinta, vi incazzereste di brutto, ma immaginate come si sente la ragazza. Stomaco annodato al pensiero che la mamma la guarderà in faccia immaginando tutte le cosacce che ha fatto. Perciò mi ero sforzata di non arrivare con l’aria di una che stava per annunciare la sua morte. A mamma e papà l’avevo detto con un gran sorriso appiccicato sulla faccia, alla maniera di un’attrice, il tono acuto e incredulo, Sono incinta! La mamma mi aveva tirato un ceffone prima ancora che finissi la frase. Papà si era limitato a scuotere la testa, poi si era alzato, aveva infilato i miei vestiti in un sacco della spazzatura e me l’aveva consegnato. «Non mi umilierai mai nella mia stessa casa» aveva detto e aveva continuato a ripeterlo per tutta la notte mentre singhiozzavo sullo zerbino di erba finta davanti alla roulotte e lo supplicavo di farmi rientrare.
Leggerlo perché – La giovanissima e talentuosissima Leila scrive come bisogna scrivere: senza avere paura, senza dar retta alle cose opportune, alle parole addomesticate. In Passeggiare la notte aveva trattato il tema della prostituzione in modo sfrontato e delicato insieme, con le Ragazze toglie lo stigma sacro dalla maternità ‘regolare’ restituendole il calore del sangue primordiale, il peso mai specifico dell’avventura, la vita della donna – non importa l’età – che resiste al nuovo ruolo e a questo procede parallela. Leggerlo perché abbiamo bisogno di voci libere e non impostate, scrittura vera, scrittura travagliata e poi partorita, unica, non serva dell’industria e del lettore, originale e irripetibile.
Leila Mottley, Ragazze che diventano grandi, Bollati Boringhieri
















