Senza dieta vivo felice

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Adoro talmente mangiare che solo il suono della parola dieta mi ansia. Ma per non diventare una palla di grasso associo sacro e profano: Nutella e kiwi

Da che ho ricordi sono sempre stata in lotta con la bilancia, quindi il titolo Mangiare sano e con gusto si può (trovate l’articolo su Confidenze in edicola adesso), mi ha acceso di speranza: forse riuscirò a dimagrire entro l’estate, senza passare le pene dell’inferno.

In realtà, qualche regola di alimentazione la conoscevo ancora prima di leggere. Però il mio problema non è sapere come liberarmi dei chili che mi avvolgono affettuosamente, ma riuscire a farlo. Infatti, per me il cibo è come l’aria: vitale. E la dieta una condanna.

Se vi dico che alla mattina mi tira giù dal letto l’idea della prima colazione, avrete già capito che tutto ciò che può riempire un frigo o una dispensa sta a me come lo specchietto sta all’allodola: mi attira con la lusinga, per poi ingannarmi aggiungendo cumuli di grasso sparsi qua e là sul mio fisico (più qua che là, visto che non si distribuiscono mai dove li piazzerei io).

D’altronde, che si vive una volta sola è una grande verità. Perciò non vedo perché negarmi il piacere, quando c’è l’occasione, di masticare tipo ruminante qualcosa di pazzescamente buono.

Per esempio, un barattolo da cinque chili di Nutella, che ho fatto fuori tutto da sola durante le vacanze di Natale (cioè in 14 giorni). Ma non mi trattengo neanche con la focaccia: quando parto dalla Liguria di solito ne compro cinque porzioni. La prima, da ingurgitare subito. La seconda, perché sono già che una non mi basta. La terza, perché non si sa mai. La quarta e la quinta, da surgelare una volta arrivata a casa.

Peccato che quelle due ultime fette me le sbocconcello sempre durante il viaggio (con doverosa sosta all’autogrill per placare la sete da cammello che scatenano) e a destinazione non sono mai arrivate.

Dopo avervi rivelato la mia dedizione (perché di questo si tratta) nei confronti del cibo, vi spiego come riesco a essere semplicemente “robusta” (come mi ha impietosamente descritta mio figlio in un tema alle elementari) e non pesare miliardi di chili.

Innanzitutto, non mangio mai niente fuori pasto, neanche sotto tortura. E poi, mi sono inventata delle regole che tengono vagamente la situazione sotto controllo. Eccole.

Inizio la giornata all’insegna della salute e della leggerezza con tè, yogurt e frutta. Mentre a pranzo riempio strategicamente il vassoio della mensa solo di cibi ipocalorici (quando le colleghe hanno ripulito i piatti, io sono ancora lì a sbucciare l’ennesimo kiwi).

Dopodiché, satura di fibre, vitamine e di tutte le altre sostanze sane di cui ha bisogno l’organismo, sono pronta per la cena. E a quel punto, pancia mia fatti capanna: non ce n’è più per nessuno. Ma solo se vado al ristorante o da amici.

Se resto a casa, invece, continuo imperterrita con il regime salutistico, a cui però aggiungo una chicca gratificante, indispensabile per non essere imbufalita come una pantera. Le mie scelte? Un budino che inizio a mangiucchiare mentre lo cucino e che, quindi, arriva in tavola dimezzato. Mezza scatola di biscotti (che spesso diventa una scatola intera). Una vaschetta da sei persone di gelato. Oppure il sempreverde che più mi dà soddisfazione: tre (il numero perfetto) cucchiaiate, rigorosamente con la colma, di impareggiabile Nutella.

E pazienza se subito dopo vado a dormire: alla mattina farò un’ora di ginnastica. Che mi aiuta a smaltire, ma soprattutto a mettere a tacere la coscienza.

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