Mi faccio giustizia da solo

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Quando la giustizia è debole, trionfa la vendetta personale

Ho sul tavolo un libro sconvolgente e bellissimo, Le lupe di Flavia Perina (Baldini e Castoldi).

Parla di una madre, il cui figlio è stato ucciso per sbaglio da un poliziotto. Lei chiede in ogni modo giustizia. Non la ottiene. Le istituzioni si alleano per coprire l’assassino, e il poliziotto la fa franca. Al dolore di lei  si aggiunge una rabbia crescente, quando comincia a seguire l’assassino e scopre che si vanta dell’omicidio impunito. E decide di ucciderlo.

Pensa di non avere scelta: si sente chiamata alla vendetta. Pensa di doverlo al figlio. L’idea della vendetta si sostituisce al dolore, è la cura per non morirne.

La preparazione dell’attentato la distrae dall’angoscia. Non ha pietà per quel giovane che si prepara a cancellare dal mondo, la pietà se l’è presa tutta la morte del figlio.  Alla fine, è  l’autrice ad avere compassione del suo personaggio, la madre, e le fa grazia, risparmiandole il delitto.

La realtà non è così clemente. Le due storie sono imparagonabili per gravità:  Italo D’Elisa non voleva uccidere, commise un’imprudenza stradale, e investì Roberta con la macchina. Ma Fabio di Lello, il marito di lei, non considerava la morte della sua amatissima Roberta un incidente, ma un delitto. La viveva come una grande ingiustizia.

Dopo avere sparato a D’Elisa, attraverso il suo avvocato ha dichiarato che la vittima non aveva mostrato pentimento, che anzi lo provocava, addirittura sfottendolo. E forse non era vero. D’Elisa, al momento dell’incidente, era passato col rosso, investendo Roberta. Ma si era precipitato a soccorrerla, e a chiamare il 118.

Fabio soffriva a vederlo a piede libero . Avrebbe voluto che la giustizia gli chiedesse conto delle sue responsabilità. Ma la giustizia è lenta. Cinque mesi per chiamare in giudizio il guidatore, e l’udienza chissà quando. Il dolore di Fabio diventa odio, fomentato dai social, che lo incitano alla vendetta. L’amore per Roberta e l’odio per chi gliel’ha portata via lo esaltano, imprigionandolo in un pensiero fisso. La giustizia è pigra? Sarà lui la giustizia. E spara, offrendo la pistola alla tomba della moglie, come un ex voto.

È atroce che Roberta sia morta così giovane e amata, è atroce che un ragazzo di 22 anni sia stato ucciso, atroce che il vedovo sia diventato un assassino, atroce il dolore delle famiglie. Ma è atroce anche la lentezza della giustizia. Resta la pietà. E il timore che una giustizia debole sia un’incitazione alla vendetta personale, nata dalla disperazione nella legge. Fabio è da condannare. Ma lo sono anche i nostri governi che non sono stati ancora capaci di riformare e snellire il sistema giudiziario, né quello delle carceri, due gravissime inadempienze tragicamente legate.

 

 

 

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