Sul numero di Confidenze in edicola adesso trovate un articolo serio e drammatico, Perché le donne devono fare rete, che raccoglie le testimonianze di vittime di violenza. In questi casi più che mai, la solidarietà può rivelarsi un grande aiuto per uscire da situazioni davvero pericolose. Ma la “rete” al femminile, a mio avviso, dovrebbe “intrappolare” anche chi è più fortunata e non ha problemi tanto gravi (per usare un eufemismo).
In realtà, le cose non vanno proprio così, tant’è che il mondo si divide in donne che amano le donne e quelle che le vivono come eterne rivali. Delle due categorie, io appartengo alla prima. E la decina di amiche che da una vita allieta la mia vita lo conferma.
Convinta che non ci sia interlocutore (o interlocutrice?) migliore di qualcuno che ti assomiglia come una goccia d’acqua (non si dice sempre che le donne sono tutte uguali?), quando incontro una ragazza, una giovane signora o una donna anziana provo un’istintiva simpatia nei suoi confronti. E se poi, magari, scopro che non viaggiamo sulla stessa corsia, è solo quando incominciamo a conoscerci meglio. Perché se è vero che non è possibile andare d’accordo con chiunque, è solo creando l’opportunità di un nuovo rapporto che si può allargare il proprio giro di frequentazioni e (quando scatta la scintilla) di amicizie.
Ci sono, invece, tipe che già dal primo momento ti guardano in cagnesco, senza neppure sapere ancora chi hanno di fronte. E il bello è che le riconosci a mille miglia di distanza, perché il loro identikit è più preciso di quelli stilati dai R.I.S. Di solito si presentano bofonchiando ringhiose il loro nome e nel tempo che state insieme fanno di tutto per non cagarti. Ma non si fermano qui: parlano sopra le righe, raccontano fatti mirabolanti sulla loro vita, famiglia, lavoro, vacanze e non accennano al minimo gesto di gentilezza né di interesse per te, anzi. Se appena colgono l’occasione per metterti nell’angolo o per colpirti con una piccola sgarberia non se la lasciano certo sfuggire.
Donne di questo genere ne ho conosciute a bizzeffe, sin dall’adolescenza. Ma se a 15 anni ci sta a tirarsela (in fondo stai ancora brancolando goffamente nel buio alla ricerca della tua posizione nel mondo), oltre i 50 lo trovo patetico e abbastanza inutile. Ma anche piuttosto curioso, perché ogni volta mi domando quale sia il fine di comportamenti tanto antipatici.
Per esempio, anni fa frequentavo tutte le settimane la casa di una coppia che invitava lo stesso gruppo di amici. Confesso che io sono stata ammessa per vie traverse e non per aver superato brillantemente un’attenta e severissima selezione. Ma, di riffa o di raffa, partecipavo a tutti gli incontri.
Ogni volta, però, venivo accolta con grande cordialità dal padrone di casa e con fredda educazione da lei. La quale preparava per gli ospiti bicchieri personalizzati con il nome, in modo che non li perdessero durante la serata. Eppure il mio non c’era mai. Un caso? Un fatto voluto? Ancora a oggi non ne ho la più pallida idea. Ma incontro dopo incontro, assetata come fossi nel deserto perché non sapevo dove versare la mia Coca Zero, guardavo il cellulare sul quale trovavo il messaggio puntuale di un’amica (vera): «Allora?».
La risposta è sempre stata: «Not yet». E ancora oggi, quando parliamo di quella scortese “signora”, per tutte noi (sia per chi la conosce sia per chi non l’ha mai vista) è rimasta e rimarrà sempre “quella del bicchiere”. Bello? Bah!
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