Zampe su tela

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Marco Duranti e designer ed artista, ma la sua passione sono i cani. A Roma ha aperto la prima galleria d'arte dov'è possibile dipingere con il proprio pet. Su Confidenze racconta la sua storia

Di professione sono designer e artista ma la mia grande passione sono i cani. Ho pensato che fosse bello avere un ricordo del mio Labrador e così ho aperto la prima galleria d’arte per animali. Un’esperienza affascinante!

Storia vera di Marco Duranti raccolta da Dario Nuzzo

Il mio vissuto con gli animali domestici è stato un po’ travagliato. Sin da bambino ho sempre desiderato un cagnolino tutto mio, ma la mia famiglia non era d’accordo. A cinque anni mi portarono a casa un cucciolo di Labrador nero che in teoria doveva restare con me, ma i miei genitori non ne vollero sapere e me lo vidi portare via sotto gli occhi. È stata una grande delusione e da quel giorno ho continuato a chiedere di poter tenere un cane, ma le mie richieste sono rimaste sempre inascoltate. I continui rifiuti che ricevevo erano figli di una certa ignoranza che a volte investe le persone adulte, concentrate solo a vedere gli aspetti negativi della vita con un pet, come l’impegno e la responsabilità, senza pensare ai benefici che può portare un animale. Intorno ai 23 anni, ci fu una nuova opportunità di prendere un cane tutto mio, stavolta un Labrador di sei mesi color oro, lo portai a casa di nascosto sperando che alla fine i miei genitori si sarebbero affezionati e avrebbero ceduto, ma neanche quella volta riuscii a convincerli. Da quell’amara punizione il rapporto con i miei genitori peggiorò, fino a 13 anni fa quando con i miei risparmi comprai un piccolo locale tutto mio dove passare del tempo e coltivare le mie passioni. In quel periodo andando a fare surf a Fregene, da sempre sono un amante di questo sport, incontrai un mio amico con un Labrador di appena sei mesi che mi parlò di una nuova cucciolata a casa di una sua amica. La notizia mi sembrò un segno del destino e andai a vederla. Lì ci fu il mio primo incontro con Waimea; quando mi vide venne a sedersi su di me e si addormentò. Non ho potuto fare a meno di prenderla. Era come se mi avesse scelto e anche se sapevo della “guerra” che mi avrebbe atteso a casa, avevo la tranquillità di poter tenerla in quel localetto solo mio. Quando tornai a casa e comunicai la notizia, i miei non mi parlarono per più di un mese, ma da allora Waimea non è mai più uscita da casa nostra e oggi, per ironia della sorte, mia madre tiene quasi più a lei che a me.Con Waimea c’è un rapporto simbiotico: viene con me al lavoro, viene con me a fare surf, una volta è stata anche ripresa dal tigì mentre era con me sulla tavola, è davvero la mia ombra e ho scelto di darle questo nome, che è lo stesso di una spiaggia dove si fa surf alle Hawaii, anche per incoronare il momento che ha dato vita al nostro primo incontro. Quando Waimea ha iniziato a crescere, intorno ai sei anni, adesso ne ha 12, nella mia mente si affollavano i pensieri più tristi rispetto al fatidico momento in cui non ci sarebbe stata più. Volevo avere un ricordo tutto nostro, e volevo renderla in qualche modo un’artista perché, se è vero come spesso si dice che ogni cane diventa simile al suo padrone, volevo che anche lei esprimesse la sua vena artistica.Io ho 38 anni e da quando ne avevo 12 traffico con l’artigianato e i materiali; nella vita sono un designer e ho una ditta di arredamento, quindi l’arte è un po’ la naturale evoluzione delle mie passioni che sono fortunatamente diventate poi anche il mio lavoro.Così, una mattina come le altre, uscendo di casa per la consueta passeggiata, guardando Waimea pensai: “E se ti facessi fare un quadro?”.

Il resto è storia: ho organizzato un’area per terra con tela e colori per effettuare il primo test, ho poi messo a punto una tecnica che utilizza colori 100% a base di componenti alimentari e quindi del tutto atossica, e alla fine sono riuscito a rendere realtà quello che prima era solo un’idea, permettendo a Waimea di realizzare un primo quadro giocando. Il cane infatti dipinge mentre gioca con una pallina intrisa di colore, che deve tenere in bocca e per questo dev‘essere sporca solo di componenti edibili pet friendly perché potrebbero essere ingeriti, anche se solo in parte.

La prima volta che abbiamo composto un’opera insieme è stato un atto puramente istintivo, non avevo chiaro neanche io dove saremmo andati a finire, ma è stato lo sfogo di una necessità. Dopo qualche opera e il divertimento di entrambi, ho pensato che potesse diventare qualcosa da far provare a ciascun conduttore con il suo cane. Così è iniziato il percorso per far diventare realtà una semplice intuizione. Sono partito prima con il perfezionamento della formula di colori atossici, di mia invenzione, laddove la problematica principale era garantire il mantenimento del colore nel tempo sulla tela, poi sono andato in cerca di un luogo dedicato.

 

Quando l’ho trovato, ho aperto il primo studio che è anche la prima galleria d’arte a quattro zampe dove le persone hanno lo spazio per realizzare il loro quadro in simbiosi con il proprio pet. L’ho chiamata Il gioco in una stanza perché, oltre a richiamare effettivamente quello che accade quando gli artisti si mettono all’opera, la galleria vuole catturare il momento più intimo tra la persona e il suo animale domestico, che è quello del gioco. Un momento che rappresenta per il cane qualcosa di molto particolare perché, se all’inizio lui può risultare un po’ restio a camminare su una superficie bagnata e sporca, quando inizia a giocare riesce a superare in modo del tutto naturale il fastidio dato per esempio dal colore sotto la zampa o dai limiti di muoversi in uno spazio preciso, e si lascia andare all’espressione liberatoria del gioco. La riuscita dell’opera dipende poi dal carattere dell’animale: se è più docile, timido, diffidente o coinvolto, e l’opera riesce a “fotografare” perfettamente il rapporto che ciascun conduttore ha con il proprio cane. In questo modo il quadro diventa quasi una cartina tornasole della loro relazione e la racconta nella capacità di condurre il proprio cane nell’esperienza artistica.

È un sodalizio artistico che rappresenta anche un modo per conoscere meglio il proprio pet, capirne le paure, e rafforzare il legame unico che si ha con lui, perché, portandolo a fare qualcosa di insolito, si tende a rispettarlo di più e osservarlo nelle sue indecisioni e ritrosie, in un dialogo reciproco che porta a conoscersi meglio.

Il marchio del progetto d’arte a quattro zampe si chiama “Jpet” e deriva dalla popolare estensione dei formati immagine “jpg” perché quello che avviene è la produzione di un immagine nuova attraverso l’esperienza artistica.

Questa attività racchiude in sé due opportunità: da un lato la produzione di un’opera personalizzata che ciascun artista può portare a casa, dall’altra la sessione di gioco insieme al proprio pet, utile a realizzarla. Il mio obiettivo nell’aprire la galleria a quattro zampe infatti non era quello di portare i miei quadri nelle case delle persone bensì fare in modo che ciascuno potesse avere un’opera-ricordo del proprio animale a casa.

Proviamo a immaginare se in ogni casa ci fossero quadri fatti da animali insieme ai loro conduttori, avremmo certamente il racconto di un cambiamento sociale senza precedenti, che se ci pensiamo è già quello che ci troviamo a vivere.

Affascinante e allucinante allo stesso tempo.

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