Hai mai pensato che i classici esami del sangue potrebbero non bastare per comprendere davvero il tuo stato di salute? Colesterolo, glicemia, trigliceridi, enzimi epatici, funzionalità renale: sono test fondamentali, ma spesso non raccontano tutta la verità. Esistono infatti alcuni esami “dimenticati”, poco richiesti nella routine medica, ma potentissimi nel predire malattie cardiovascolari, metaboliche e infiammatorie prima che si manifestino.
Ti spiego subito quali sono e perché vale la pena parlarne con il proprio medico per inserirli nelle prossime analisi del sangue.
1. Lp(a): il colesterolo genetico che nessuno misura La lipoproteina(a), abbreviata Lp(a) e che si legge “lipoproteina a piccolo”, è una particella simile al colesterolo LDL (“cattivo”), ma con una differenza chiave: è del tutto determinata geneticamente e non risente quasi per nulla della dieta, dello stile di vita e nemmeno dei farmaci anti-colesterolo.
Un valore elevato di Lp(a) aumenta il rischio di infarto, ictus e stenosi delle valvole cardiache, anche in persone con colesterolo LDL e HDL normali. Lp(a) è uno dei più forti predittori genetici di malattia cardiovascolare precoce. È un “colesterolo cattivo 2.0”: più appiccicoso, più ossidabile, più infiammatorio. E, purtroppo, pure ingovernabile. L’approccio attuale, se la Lp(a) è elevata, è quindi gestire aggressivamente tutti gli altri fattori di rischio cardiovascolare (LDL, pressione, infiammazione, stile di vita ecc.).
Proprio perché immodificabile, una singola misurazione di Lp(a) nella vita è sufficiente per conoscere il proprio rischio. Il valore di riferimento? Meno di 30 mg/dL o di 75 nmol/L, a seconda del laboratorio.
2. Omocisteina: indicatore di infiammazione silenziosa L’omocisteina è un aminoacido prodotto dal metabolismo della metionina, presente in carne, uova e latticini. In condizioni normali, l’organismo la “ricicla” grazie a vitamine del gruppo B (in particolare, B6, B12 e acido folico) ma se qualcosa non funziona (carenze vitaminiche, stress ossidativo, mutazioni genetiche come la MTHFR), l’omocisteina nel sangue sale pericolosamente.
Un valore elevato di omocisteinemia è un segnale di allarme precoce: indica stress ossidativo e infiammazione cronica ed è uno dei biomarcatori più utili nella prevenzione cardiovascolare e neurodegenerativa. L’omocisteina alta danneggia le pareti dei vasi sanguigni, favorisce la formazione di placche aterosclerotiche, si associa a ictus, Alzheimer e declino cognitivo. Il valore di riferimento ottimale è inferiore a 10 µmol/L (idealmente 5-8 µmol/L).
3. Insulina: la chiave per capire l’insulinoresistenza L’insulina è l’ormone che regola i livelli di zucchero nel sangue, facendo entrare il glucosio nelle cellule. Prima che la glicemia si innalzi cronicamente e compaia il diabete, può verificarsi un fenomeno insidioso: l’insulinoresistenza. In questa condizione, le cellule diventano “sorde” all’insulina: il pancreas ne produce sempre di più per compensare, mantenendo la glicemia normale, ma a prezzo di uno sforzo metabolico continuo.
Valori alti di insulina si associano anche a sovrappeso, steatosi epatica, sindrome dell’ovaio policistico, infiammazione cronica. Se soffri di qualcuno di queste condizioni e/o hai la glicemia alta, ti consiglio di dosare l’insulinemia: avrai una visione più completa e predittiva della salute metabolica e cardiovascolare. Per individuare l’insulinoresistenza misurare la glicemia da sola non basta. Occorre dosare la glicemia insieme all’insulinemia (naturalmente a digiuno) e calcolare poi un apposito parametro, chiamato HOMA Index.
Identificare l’insulinoresistenza anzitempo permette di intervenire su alimentazione, peso e attività fisica prima che il danno si manifesti, quando prevenire è ancora possibile.
















