Negli ultimi anni, farmaci come semaglutide, liraglutide e tirzepatide – noti con i nomi commerciali di Ozempic, Wegovy, Rybelsus, Saxenda e Mounjaro – sono diventati protagonisti di una corsa senza precedenti al dimagrimento. Nati come terapie per il diabete di tipo 2, oggi vengono prescritti anche per l’obesità e per il sovrappeso associato a patologie metaboliche, grazie alla loro capacità di ridurre l’appetito e favorire la perdita di peso.
Questi medicinali appartengono alla classe dei cosiddetti agonisti del recettore GLP-1 (glucagon-like peptide-1). Il GLP-1 è un ormone prodotto dall’intestino, che stimola la secrezione di insulina, rallenta lo svuotamento gastrico e induce un senso di sazietà prolungato. In parole semplici, chi li utilizza tende a mangiare meno e a sentirsi sazio più a lungo. La tirzepatide, di ultima generazione, agisce anche sul recettore GIP, potenziando ulteriormente l’effetto sul metabolismo del glucosio e dei grassi e sul controllo della fame. Vengono somministrati tramite iniezioni sottocutanee, generalmente una volta al giorno o una volta alla settimana, a seconda del principio attivo e della formulazione.
La liraglutide (Saxenda) è stata la prima a essere approvata per l’obesità, nel 2015. La semaglutide (Ozempic, Wegovy), più potente e con somministrazione settimanale, ha ottenuto l’approvazione nel 2021. La tirzepatide (Mounjaro), ancora più recente, ha mostrato negli studi clinici risultati sorprendenti, con riduzioni di peso corporeo anche superiori al 20% nei soggetti obesi. In Italia, questi farmaci possono essere acquistati solo tramite ricetta e prescritti unicamente da medici specialisti, come endocrinologi, diabetologi, internisti.
Il motivo per cui piacciono tanto a pazienti e medici è semplice: funzionano. Per chi lotta da anni con il peso, la possibilità di perdere diversi chili in poche settimane è un risultato tangibile. Anche i medici vedono in queste molecole un progresso notevole nella gestione dell’obesità, una condizione cronica e multifattoriale che fino a poco tempo fa aveva opzioni farmacologiche piuttosto limitate.
Tuttavia, l’entusiasmo va bilanciato con realismo. Questi farmaci non sono mutuabili per il dimagrimento, se non nei casi in cui siano prescritti per diabete, e il costo non è trascurabile: si va da circa 130 a oltre 330 euro al mese, a seconda del principio attivo e del dosaggio. Gli effetti collaterali più comuni sono nausea, vomito, diarrea, stipsi e dolori addominali, ma si possono osservare anche pancreatiti, calcoli biliari, ipoglicemia nei diabetici in terapia e, più raramente, disturbi tiroidei. Sono controindicati in gravidanza, allattamento, insufficienza renale o epatica grave e devono essere usati con cautela in presenza di disturbi gastrointestinali cronici o in associazione con altri farmaci. Infine, i dati sulla sicurezza e sull’efficacia a lungo termine (oltre 2-3 anni) sono ancora limitati.
Uno degli aspetti più delicati riguarda cosa accade quando la terapia viene sospesa. In molti casi, il peso perso viene in parte o completamente recuperato: il farmaco agisce sui meccanismi ormonali e cerebrali della fame, ma non modifica in modo permanente il comportamento alimentare. Quando l’effetto farmacologico svanisce, l’appetito e le abitudini precedenti tendono a riaffiorare.
Peraltro, le linee guida internazionali sono unanimi nel sottolineare che questi farmaci non devono mai sostituire la dieta e lo stile di vita, ma essere parte di un programma strutturato di rieducazione alimentare, attività fisica e modifiche comportamentali. Senza tali interventi, la perdita di peso è spesso temporanea e il rischio di riprendere i chili persi, alla sospensione del trattamento, è decisamente elevato. Purtroppo, mi sono già imbattuto in almeno una ventina di pazienti a cui questi farmaci erano stati prescritti come se bastassero da soli, senza alcuna indicazione sulle necessarie modifiche alimentari o comportamentali, trasmettendo implicitamente l’idea che fosse sufficiente un’iniezione per risolvere, una volte per tutte, il problema del peso.
I nuovi farmaci antiobesità rappresentano senza dubbio un passo avanti nella gestione dell’eccesso ponderale e delle sue complicanze, ma non devono essere considerati scorciatoie. Agiscono sui sintomi, non sulle cause profonde del sovrappeso, che restano di natura comportamentale, ambientale e metabolica. Il rischio, in un clima di entusiasmo e pressione sociale per la magrezza, è che si cada in un uso eccessivo o superficiale, trasformando un progresso scientifico in una nuova forma di dipendenza farmacologica. Dimagrire davvero – e mantenere nel tempo i risultati – non può ridursi a un’iniezione: richiede consapevolezza, educazione alimentare e un cambiamento autentico dello stile di vita.
















