Per tanti è il mantra del benessere, del dimagrimento e della longevità: mangiare solo in certe ore della giornata, saltare un pasto qua e là, dare “una pausa” al metabolismo. Il digiuno intermittente ha conquistato celebrità, influencer e perfino parte della comunità scientifica. Ma la nuova, imponente meta-analisi (ovvero uno studio che valuta l’insieme di tutte le prove esistenti su un dato argomento) che è stata pubblicata sul prestigioso British Medical Journal nel giugno di quest’anno sembra mettere un punto fermo: gli effetti del digiuno intermittente non sono superiori a quelli di una semplice restrizione calorica ben condotta. Facciamo chiarezza, allora.
Un solo termine, diverse modalità di digiuno Sotto l’etichetta “digiuno intermittente” convivono più strategie dietetiche. La più popolare è la time-restricted eating (cioè alimentazione a tempo limitato): si concentra l’assunzione di cibo in una finestra oraria, di solito 8 ore al giorno, lasciando le restanti 16 a digiuno. C’è poi l’alternate day fasting (il digiuno a giorni alterni), che prevede giornate di digiuno o semi-digiuno alternate ad altre libere, e il whole-day fasting (ossia il digiuno per l’intera giornata), con uno o due giorni settimanali del tutto o quasi privi di calorie. Tutte puntano allo stesso obiettivo: mettere l’organismo “a riposo”, ridurre le calorie totali e migliorare i parametri metabolici.
Cosa dice il nuovo studio Il lavoro coordinato pubblicato sul BMJ, dal titolo “Strategie di digiuno intermittente e loro effetti sul peso corporeo e altri fattori di rischio cardiometabolico: revisione sistematica e meta-analisi a rete di studi clinici randomizzati”, ha passato in rassegna 99 trial clinici precedentemente condotti, che hanno coinvolto un totale di oltre 6.500 adulti. L’obiettivo era confrontare i vari tipi di digiuno intermittente con la restrizione calorica continua, cioè una riduzione costante delle calorie ogni giorno (insomma, quello che avviene con una dieta dimagrante “classica”).
Il verdetto? Tutte le strategie, digiuno o non digiuno, fanno dimagrire se confrontate con una dieta libera. Ma messe l’una contro l’altra, le differenze si assottigliano fino quasi a sparire. Solo il digiuno a giorni alterni ha mostrato un piccolo, poco rilevante, vantaggio sulla perdita di peso, mentre le altre modalità di digiuno intermittente hanno dato risultati del tutto sovrapponibili alla dieta ipocalorica tradizionale.
Ancora più interessante è il profilo cardiometabolico: glicemia, colesterolo, trigliceridi, pressione arteriosa. Anche qui, nessuna strategia emerge come vincente. In alcuni confronti, l’alimentazione a tempo limitato è persino associata a un lieve aumento del colesterolo LDL, sebbene con scarsa certezza statistica. Gli autori sottolineano che gli studi di durata superiore ai sei mesi – quelli davvero utili per valutare la sostenibilità – sono pochi, ma convergono verso un’unica conclusione: nel lungo periodo, le differenze si annullano.
Meno orologio, più sostanza Questo non significa che il digiuno intermittente sia inutile, ma che non è la scorciatoia che molti – diversi nutrizionisti inclusi – speravano. La finestra oraria dei pasti può aiutare chi tende a spiluccare continuamente o fatica a controllare la quantità di cibo, ma l’efficacia complessiva dipende sempre da ciò che si mangia e dal bilancio energetico.
La moda del “quando mangiare” rischia così di oscurare il vero cuore del problema: la qualità e la quantità del cibo, e la capacità di mantenere le abitudini nel tempo. La perdita di peso duratura nasce dall’equilibrio tra alimentazione, attività fisica, ritmo sonno-veglia e gestione dello stress, non solo dall’orario del pasto.
Guardare oltre il mito Il digiuno intermittente resta una strategia possibile, soprattutto per chi la trova praticabile e sostenibile. Ma le evidenze più solide continuano a favorire approcci classici: una restrizione calorica moderata e personalizzata, un’alimentazione ricca di fibre, vegetali, proteine di qualità e grassi insaturi, e movimento regolare per mantenere la massa magra.
Insomma, questo studio, indubbiamente di grande rilievo scientifico, non è la pietra tombale sul digiuno intermittente, ma forse sulla sua aura miracolistica sì.
















