Yu Yu: «Contro l’anoressia ho chiesto aiuto e ora torno a cantare»

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Esplosa con alcune grandi hit musicali negli anni 2000, la cantante di Mon petit garçon ha visto il successo sparire e affrontato momenti molto duri. Ora torna con un nuovo disco e il cuore sereno

È diventata famosa improvvisamente nel 2002 con Mon petit garçon e Bonjour Bonjour. Poi, il successo le ha voltato le spalle e per Yu Yu (Giuditta Guizzetti) sono iniziati anni difficili. Ora, invece, è tornata sulla scena con La Bohème (remake di una canzone di Charles Aznavour). E qui ci racconta come ha ritrovato la serenità.

La tua vita contiene diverse vite?

«Sì, ma quello che sono oggi è il risultato di tutti i momenti, anche difficili, che ho vissuto. Oggi sono serena. Oggi sono serena, anche grazie a Ibiza, l’isola dove ho scelto di abitare 16 anni fa: è il luogo dove ho passato più tempo della mia vita».

Nasci in una famiglia borghese, da mamma francese e papà italiano, di Bergamo. Com’è stata la tua infanzia?

«Sono nata a Parigi e subito i miei si sono trasferiti a Panama (mio padre era un diplomatico). Ho vissuto un’infanzia selvaggia, giocando tra le palme a piedi nudi. Quando avevo sette anni però siamo andati a Tokyo e per me e mio fratello è stato uno shock. Frequentavo la scuola dell’ambasciata francese, ma ho imparato anche il giapponese. Morale, a 11 anni parlavo cinque lingue».

Hai sempre amato la musica?

«Sì, mi ha sempre accompagnata. Mamma era una bravissima pianista e sapeva suonare qualsiasi strumento».

Però, lavoravi sugli aerei come hostess. Come sei diventata cantante?

«Un amico mi ha chiesto di registrare degli annunci in “stile hostess” per una discoteca di Bergamo. Durante il lavoro mi ha notato Pippo Landro, che poi è diventato il mio produttore. Con lui ho inciso Mon petit garçon. Il brano è stato scelto come colonna sonora di uno spot con Eva Herzigova, è letteralmente esploso e dopo è stata la volta di Bonjour Bonjour. Nel frattempo, continuavo a fare la hostess. Spesso, però, passeggeri mi riconoscevano, quindi ho dovuto lasciare».

La musica è stata delizia o strazio?

«Entrambi. Mi ha permesso di vincere la timidezza e regalato bellissimi ricordi. Mi invitavano ovunque, gli stilisti mi cercavano. Ho tanti momenti nel cuore che non dimentico. Ma quando il successo è iniziato a calare, mi ha fatto male vedere le persone sparire. Anche se il pubblico mi ha dato prove di affetto».

È stata dura tornare a fare la hostess?

«No, perché dovevo pagare l’affitto. Però, quando ho iniziato a dimagrire ho abbandonato gli aerei. Ho trovato posto come cameriera in un locale e per me andava bene. A far male erano i commenti alle spalle».

La causa della tua anoressia è stato il successo svanito?

«All’inizio sì, ma questa è una malattia molto complessa. Ho perso il controllo sul mio corpo, sono arrivata a pesare 36 chili. Mi ha aiutato Maurizio Costanzo (l’unico che non ha smesso di invitarmi), che mi ha suggerito un ricovero al Centro per i Disturbi Alimentari di Todi, dove sono rimasta quattro mesi. D’altronde, da soli non se ne esce, servono medici specialisti. Lì è scattato un clic nella mia testa e ho deciso di combattere. Ma non si guarisce mai al 100%».

È vero che hai tentato il suicidio?

«Sì. E mi dispiace per tutto il dolore che ho procurato a mia mamma. Non rispondevo al telefono e lei ha capito che qualcosa non andava. I vigili del fuoco sono entrati dalla finestra e mi hanno salvata».

Nel 2008 hai scritto un libro sulla lotta all’anoressia (Il cucchiaio è una culla)…

«Volevo, appunto, far capire che questa patologia non si vince da soli. È stata la battaglia più difficile della mia vita. Quando è uscito il libro tutti si sono ricordati di me e mi invitavano in tivù. Ho capito che era pericoloso, quindi sono scappata. Sono andata solo al Costanzo Show e poi a Ibiza, dove ero già stata per una settimana. L’isola mi ha chiamata. Ho affittato una casa in campagna e ho cercato lavoro. Piano piano mi sono ripresa. Lì c’era un ambiente internazionale, qualcuno mi riconosceva, ma vivevo tranquilla. Tornare nell’anonimato mi ha fatto bene».

Ora sei di nuovo Giuditta. Ma dentro di te Yu Yu continua a esistere?

«È sempre dentro di me. È come una sorella e ogni tanto scalpita».

A Ibiza hai trovato anche l’amore?

«Si, ma dopo qualche anno. Mi occupavo di una galleria d’arte e una cliente mi ha parlato del figlio, un bravissimo pittore. Le ho risposto: “Gli dica di passare”, senza sapere che l’amore stava per bussare alla mia porta. Piermario mi ha dato appuntamento in un locale. L’ho trovato simpatico. Ma con gli uomini pensavo di aver chiuso, tant’è che avevo deciso di ricorrere all’inseminazione artificiale per avere un figlio (l’anoressia mi aveva provocato più di un aborto). Invece, dopo pochi mesi che l’ho conosciuto sono rimasta incinta. E l’amicizia si è trasformata in amore».

La maternità ti ha cambiata?

«Sì, è stata la mia vittoria più grande, gioia pura. Nel 2013 è nata Nina, che mi ha dato una ragione per vivere e per essere forte. Se avevo la tentazione di ricadere nell’inappetenza, guardavo lei e la superavo. Stavo in guardia. Poi, nel 2019 è nato Thomas».

Che mamma sei?

«Molto severa. Adesso, però, mi rendo conto che non posso crescere i bambini in una realtà così piccola. Penso che presto torneremo a Bergamo».

Ti sei appena rimessa in gioco con La Bohème. Come ti senti?

«Felice. All’inizio riproporre un pezzo di Aznavour mi sembrava strano. Ma quando ho sentito l’arrangiamento ho fatto i salti di gioia. Anche i miei figli lo canticchiano sempre. A 49 anni sono felice di tornare e mostrare che finalmente sto bene, anche se con le mie rughe».

Pier cosa ti dice?

«Mi appoggia, mi rassicura e gli sono grata».

E tu, ogni tanto, ti dici brava?

«Sì, mi dò da sola una pacca sulla spalla perché sono stata forte. Anche mia mamma dichiara di essere fiera di me, anche se teme che io possa ricadere nella malattia. Ma io le dico che non deve avere più paura».

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Intervista di M. G. Sozzi pubblicata su Confidenze 25/2025

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