Racconto dal cuore di Isabella Fiorani

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L’autrice si presenta: Mi chiamo Isabella sono nata e abito tuttora in un piccolo paese della pianura padana. Ho avuto un infanzia bella e serena, questo bagaglio me lo porto dentro sempre anche ora non più giovanissima. Sono sposata, ho due figli ormai adulti e ho sempre lavorato come impiegata. Ora sono una casalinga e, fra la nostalgia di stare fra la gente come quando lavoravo, e il rammarico di non essere ancora in pensione, ho deciso di realizzare uno dei miei più grandi sogni: SCRIVERE. Non l’ho mai fatto prima così pubblicamente, ma solo per me stessa e ho un grande desiderio di far uscire e condividere tutto ciò che mi ha reso felice, mi ha emozionato e perché no, mi ha fatto soffrire. Esternare questo in una famiglia di uomini non è mai stato facile e mi sono un pò chiusa. Amo molto la musica e tantissimo gli animali dai quali, sono convinta, abbiamo TUTTO da imparare e forse proprio loro ci leggono dentro più di chiunque altro.

 

Qualche giorno fa misi sul mio profilo WhatsApp una frase di una vecchia canzone di Umberto Tozzi che diceva: “Dimentica dimentica perché è un giorno che quelli che ti capiscono son tutti dietro te”. Messaggio chiaro. Forse una forma di sos. Non ho dubbi sul fatto che sia stato letto. Penso che nella maggior parte dei casi si leggono. Non so perché ma si leggono. Ed ecco il punto. Ci fosse stato – stavo per dire un cane, ma no un cane l’avrebbe fatto – un essere umano che si fosse degnato di chiedermi come stessi. Un amico, un figlio. Nessuno. Eppure qualcuno l’avrà pur letto. Allora mi sono domandata perché si va dallo psicologo a parlare, parlare, pagare e naturalmente mi sono risposta da sola. Poi ho pensato con tanta nostalgia all’unica persona che non avrebbe avuto bisogno di leggere nulla sul cellulare perché avrebbe saputo tutto guardandomi negli occhi. La mia mamma.

Non avrei avuto bisogno di parlare e tantomeno di scrivere. Lei era una persona meravigliosa. Sensibile, ma con un carattere molto forte per assurdo sembrava alimentato dalla grande sensibilità. Mia madre mi guardava, capiva e soffriva o gioiva con me. Mi voleva tantissimo bene. Quell’amore che si respirava solo standole accanto. Non è così scontato tutto questo. Lei era una donna speciale così attenta e rispettosa di tutti. A volte, ora che sono una donna non più giovane e ovviamente con più esperienza alle spalle, capisco la grande educazione e l’immenso rispetto per gli altri che mi ha insegnato soprattutto con il suo esempio.

La sua vita non era stata facile eppure mai una volta l’ho sentita inveire contro un destino difficile che le era stato riservato soprattutto in tenera età. A 5 anni aveva perso la madre ed era rimasta con un fratello di 3 anni, il padre e una zia che si occupava di loro. Quando mi raccontava questa parte tristissima della sua vita con un padre che per giunta lavorava in proprio e spesso faticava a prendere quello che gli spettava, io volevo che smettesse subito di parlare perché la storia era troppo infelice da ascoltare. Proprio come fanno ora i miei figli con me quando ho nostalgia di qualcuno che ho perso e vorrei tanto parlarne.

Come siamo egoisti a volte con i nostri genitori. Non teniamo conto del loro bisogno di sfogarsi come se fossero così forti da bastare a sé stessi. Come vorrei poterle dire ora che ho capito e che mi dispiace così tanto di non averla ascoltata. All’età di 18 anni perse anche il padre ed il fratello appena adulto andò in Svizzera a lavorare. Lei poi si ammalò e dovette subire un intervento. Nonostante tutto si rimboccò le maniche e incominciò a lavorare come camiciaia. Lavoro che fece per molti anni anche durante la mia adolescenza. Nonostante tutte le sue vicissitudini, nelle foto in bianco e nero con le amiche, con quelle lunghe gonnellone arricciate in vita come nel film Grease ha sempre un bellissimo sorriso.

Mi raccontava che quando sposò il mio papà non ebbe alcuna difficoltà a spostarsi dalla cittadina dove abitava, verso il minuscolo paese dove sarebbe andata a vivere,  perché lì aveva trovato con i miei nonni e i miei zii una grande famiglia che le voleva molto bene. Io, desiderata più che mai, nacqui in casa come si usava allora, in un’atmosfera piena d amore. Essendo rimasta figlia unica nonostante i miei volessero altri figli, la mamma ebbe sempre il timore di viziarmi nelle cose materiali, ma non si risparmiò nel concedermi tantissimo amore. Fu normale per lei diventare la mia migliore amica. La più fidata in assoluto.

Quando da adolescente tornavo a casa delusa da un amicizia o da un amore la svegliavo in piena notte per sfogarmi. Lei era sempre pronta ad ascoltarmi, ma solo ora capisco quanto la caricassi a volte dei miei dispiaceri e che il dolore di una mamma nel sentirti triste è doppio in confronto a quello di qualsiasi amica, anche la migliore. Mi manca così tanto che i ricordi scorrono disordinati nella mia mente e soprattutto nel mio cuore.

Ricordo, nelle nostre gite da bambina per superare il fatto che soffrivo la macchina, io, lei e il mio papà cantavamo a squarciagola per tutto il viaggio. O quando l’anno della maturità, dovendo andare in montagna per motivi di salute, invitò una mia amica per convincermi ad accompagnarla. Con l’egoismo tipico dei figli non la presi benissimo. Volevo andare al mare, lei allora fece amicizia con una signora che aveva dei figli affinché potessi fare la loro conoscenza e, devo dire, passammo vacanze indimenticabili. Quanto era stata grande anche allora. E quando più avanti nel tempo mi suggeriva: «Lascia quel ragazzo, non lo vedi quanto ti fa soffrire?». Lo sapevo che aveva ragione ma c è un particolare momento nella vita di tante donne in cui, chissà per quale misteriosa ragione, dobbiamo soffrire per forza, nonostante tutto.

Poi è arrivata quella mattina all’alba quando la svegliai di soprassalto per confessarle il mio segreto così magico, ma che arrivava come un fulmine a ciel sereno. La rivedo seduta sul mio letto con me che confesso: ho una cosa da dirti e lei che risponde serenamente con infinita tenerezza senza farmi parlare: «Aspetti un bambino». Con lo sguardo un pò preoccupato ma commosso di gioia. Poi il mio matrimonio un pò complicato, quando dopo un anno sono tornata a casa non ha battuto ciglio e mi ha accolto a braccia  aperte. In seguito io e mio marito ci siamo ricongiunti e lei non ha mai giudicato nessuno. La mia felicità era troppo importante. Se io ero contenta, lo era anche lei. Come sempre.

In tutto questo non è che il mio papà non ci fosse ma per lui ci vorrebbe un’altra storia. Poi arrivò un altro nipote. Quanto amore diede ai miei figli. Li adorava e guai se un giorno non li vedeva pur abitando vicinissimi. Li vedesse oggi a distanza di qualche anno come sono cambiati. Gli uomini che sono diventati. Purtroppo sempre timorosi di dimostrarsi troppo affettuosi, quasi fosse una debolezza. Lei sola riusciva ad abbracciarli e a farsi abbracciare da questi uomini che non dovevano chiedere mai. E mio marito? Qual è quella suocera che il penultimo giorno di vita si preoccupa di chiedergli se fosse stata brava con lui? Ma certo che lo era stata. Prima di accontentare me accontentava lui. E di questo lui ne era perfettamente consapevole.

La mia mamma se ne è andata una sera d’inverno. Cinque giorni e mi aveva lasciata sola senza l’unica persona che mi aveva amato tantissimo al di sopra di ogni cosa. Un amore infinito. Certo mentirei se dicessi che non abbiamo mai avuto discussioni. Ma l’amore è anche questo. Confronto di idee non sempre simili, a volte addirittura opposte. Ha vissuto fino all’età di 84 anni, ma io non l’ho mai definita anziana. Era una ottantaquattrenne con il cuore da quarantenne. Con lei si poteva parlare di tutto. E le risate… Non c’erano argomenti tabù.

Nella grandissima tristezza e solitudine quando l’ho persa ho apprezzato il dono di averla sempre vista lucida, brillante e con una memoria di ferro. Deve essere terribile vedere i nostri cari che a causa di malattie orribili non ci riconoscono più. Se ne è andata in punta di piedi dopo che finalmente le avevo detto quanto l’amavo e lei mi aveva fatto cenno che lo sapeva molto bene. È importante dire ai nostri cari quanto vogliamo loro bene anche se è scontato. Quando non ci saranno più rimpiangeremo di non averlo fatto. Volevo lasciarle in camera una Madonnina che tengo sempre sul mio comodino, ma lei con l’ennesimo gesto di altruismo mi disse di portarla a casa che sarebbe servita più a me. Sapeva che mi avrebbe lasciato sola. E con le lacrime che finisco questa storia, ma anche con il cuore pieno delle cose preziose che la mia mamma mi ha lasciato e in fondo con il loro ricordo lei è riuscita a consolarmi anche da là dove ora si trova. Cancellerò quella frase dal mio profilo.

In questo momento non ne ho bisogno.

Confidenze