Detective Erica

Cuore
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Vi riproponiamo sul blog la storia più apprezzata del n. 45 di Confidenze

 

I romanzi gialli sono la mia lettura preferita. Così mi viene naturale indagare sui comportamenti sempre più strani di mio marito, anche se ho paura di scoprire cosa mi nasconde. Riesco a sciogliere l’intrigo, ma non è certo un bel vedere

Storia vera di Erica P. raccolta da Federica Iorio

 

Da qualche settimana mio marito è strano. Non fa niente di particolare, ma io capisco che non è il solito, anche se è difficile da spiegare. Si chiama Tancredi e, nonostante il nome importante, è un tipo estremamente prudente in tutto, parla sempre sottovoce, non s’infiamma e svolge il tranquillo mestiere di addetto a uno sportello bancario.
Dunque, tanto per cominciare è sempre stanco e la notte lo sento rigirarsi mille volte nel letto preda dell’insonnia. E trova sempre una scusa per non rientrare subito a casa dopo il lavoro, o per uscire senza di me.
Sono una fan sfegatata di gialli, è inevitabile che inizi a fare attenzione ai dettagli e per qualche tempo la preoccupazione è leggermente attenuata dal brivido dell’investigazione. Detective Erica in azione! Con una scusa, contatto la banca dove lavora. Almeno, appuro che non diserta e che non è stato licenziato.
A cena è esausto, come se avesse sgobbato in miniera. Scioccamente, gli chiedo se va tutto bene, e Tancredi, altrettanto scioccamente, risponde di sì. Ma io lo vedo, c’è qualcosa di strano: è insolitamente inquieto, nervoso, impaziente per non so cosa. Entrambi sappiamo che vivrà l’ennesima notte insonne. Allora gli preparo una camomilla. Tancredi la scruta dubbioso, un po’ diffidente.
«Mica l’ho avvelenata!» gli dico.
«E chi lo sa, visto che impazzisci per Agatha Christie» ironizza sfinito, dando il primo sorso.
Noto che fa la battuta senza alleggerirla con il suo tipico sorrisetto, un altro segnale di pericolo. La camomilla non sortisce alcun effetto visto che Tancredi rimane sveglio per circa quattro ore su sette di riposo.
Che cosa sta succedendo, cosa mi nasconde? Sono quasi certa non abbia commesso un omicidio. E se stesse progettando un colpo proprio alla banca dove lavora? Improbabile, ma l’investigatrice che è in me non tralascia nessuna pista. Comincio a cercare su Internet le cause di stanchezza e insonnia. I risultati suggeriscono soprattutto la dipendenza da alcol.
Tancredi in effetti mi aveva confessato che, da adolescente, ha rischiato di perdersi in eccessi di vario tipo. In più, Lea, la mia amica, mi ha riferito di averlo incrociato un paio di volte davanti a un bar: pare che lui sia stato evasivo, evidentemente scontento di essere stato pizzicato. Esamino la dispensa: i liquori sono come li avevo lasciati, ma se ha un briciolo di buonsenso non prosciuga certo le riserve domestiche, facili da controllare. Mi fiondo a frugare nel suo armadio, nelle tasche di giacche e pantaloni, alla ricerca di uno scontrino, un indizio, qualsiasi cosa. Mi lascio travolgere dalla foga della detective e non mi accorgo del rientro di mio marito.
Mi fissa a lungo interdetto. «Che stai facendo? Sembri un procione».
Sobbalzo e ritraggo di scatto la mano affondata nella tasca di un suo calzone. Per l’agitazione si impiglia nella stoffa e tirando riesco a scucirla. «Cercavo… le mentine».
«Nei vestiti puliti e stirati?».
Oddio, e adesso? Sì, ok, non ho proprio l’astuzia di Sherlock Holmes, diciamocelo. Comunque, improvviso. «Già. Scusa, oggi sono più rintronata di un campanaro».
«In ogni caso, le mentine sono finite da una settimana e mi dimentico sempre di comprarle» aggiunge.
Mi butto fra le sue braccia e approfitto per annusargli l’alito: nessun sentore di alcol. Da un lato sono sollevata, dall’altro mi strizzo le meningi per formulare ulteriori ipotesi. Sarebbe utile interrogare i suoi colleghi, ma suonerebbe sospetto e metterei Tancredi in allarme. Aspetto e osservo, vigile. Mi accorgo che, appena può, Tancredi messaggia col cellulare, preferibilmente lontano dal mio sguardo.
Un altro comportamento sospetto. Contatti coi complici del futuro colpo alla banca, forse? Quando lo becco per l’ennesima volta a smanettare con lo smartphone, decido di farmi avanti con un sorriso più falso dei cosiddetti diamanti usati in bigiotteria. «Con chi ti scrivi, Tanni?».
«Con nessuno: sciocchezze che inviano i colleghi nella chat di gruppo».
«Posso ridere anch’io?».
«Ma non fanno ridere! E poi sono stanco. Vado a letto».
Annuisco, assumendo un’espressione comprensiva. Ma appena Tancredi è fuori portata, piombo sul suo smartphone per spiare con chi ha messaggiato. Già, perché il mio istinto da detective me lo dice chiaramente: lui mente. Passo il pollice sul display… Dannazione, ha inserito il pin! C’è una sola spiegazione: sta nascondendo qualcosa di grosso e di spiacevole. Un’amante. Riaffiorano come incubi le insicurezze che mi hanno accompagnata per 30 anni. Faccio due tentativi con il codice e resta solo il terzo prima che il dispositivo si blocchi. A malincuore, rinuncio: in quel momento il cellulare mi sfugge dalle dita, atterrando con uno schianto sul tavolino. Pare funzionare ancora.
Tancredi si affaccia. «Che cosa combini, Erica?».
«Ho sbattuto il ginocchio».
«Dovresti stare più attenta».
Mai raccomandazione fu più tristemente appropriata.
Da quel momento, ogni frase lasciata a metà, ogni silenzio, ogni gesto anche solo accennato mi fanno pensare che sia colpevole, che mi stia tradendo e che pensi di depistarmi confidando nella mia buona fede. Non sa di avere a che fare con il detective Erica!
Il mattino seguente mi fiondo in banca a richiedere una stampata delle uscite nel conto che abbiamo in comune. Impallidisco: Tancredi ha prelevato di recente una discreta somma in un’unica volta e a mia insaputa. Non è una cifra esorbitante ma, che io sappia, non ci sono state spese da giustificare il prelievo. La detective Erica rimugina: cosa potrebbe averci fatto con quei soldi? Comprare un bel gioiello alla sua amante è la risposta più ovvia. E se invece fosse cascato nel vizio del gioco d’azzardo?
No, è assurdo! Il Tancredi che conosco, l’uomo di cui mi sono perdutamente innamorata non farebbe rapine, né scommesse, né mi tradirebbe. Mi assale lo sconforto: lui, il punto fermo della mia vita, il mio porto sicuro, si è trasformato in un estraneo, in una fonte di insicurezze. Sono tentata di lasciar perdere tutto e di mettermi in attesa degli eventi, ma una vera investigatrice è abbastanza masochista da voler scoprire la verità, qualunque sia, a ogni costo.
E io voglio sapere, lo esigo!
La sera, alle 11 passate, mentre ripiego i pantaloni di Tancredi che intanto è già a letto distrutto, anche se si sveglierà tra meno di un’ora, sento della carta in una tasca. Dopo averla tirata fuori, sgattaiolo in cucina. Nulla di rilevante, fino a quando trovo il tagliando di un parcheggio piuttosto lontano da casa e anche dalla banca dove lavora. Sondo la zona con Google Maps e noto che a due passi dal parcheggio c’è un ristorante extralusso. Una cena romantica con l’amante pagata con i nostri soldi!
Devo rimettere le carte nei pantaloni di Tancredi, ricominciare a respirare e fare il punto della situazione. Sono così sconvolta e disorientata, che non riesco a chiudere occhio neanch’io. Dovrei decidermi ad affrontarlo, a dirgli che ho capito e che non deve prendermi per una stupida. Le sue premure mi fanno ancora più male. Ma sono terrorizzata di sentire la verità uscire dalla sua bocca e da quello che verrà dopo. Ho paura di perderlo definitivamente. Non riesco a introdurre l’argomento temendo un litigio, specie quando incrocio i suoi meravigliosi occhi. Può un uomo con occhi così buoni essere anche tanto falso?
Igiorni scorrono in un lento tormentoso stillicidio. Basta, non può continuare così. Un pomeriggio, Tancredi accampa l’ennesima scusa per uscire da solo e rientrare chissà quando. Lo saluto tranquilla, ma la detective che è in me si fa avanti. Se non risolvo adesso la faccenda, forse non ne avrò più occasione. Grazie al traffico, riesco a pedinare in bici la sua auto. Parcheggia e cammina spedito. Poi, compare lei, bionda, alta, strepitosa, in equilibrio sui tacchi, e proseguono insieme. Accidenti, è come pensavo. Voglio sapere dove sono diretti. Incespico goffamente in un cassonetto facendo un gran chiasso. Tancredi e la bionda si voltano, ma riesco a nascondermi giusto in tempo.
Finalmente arrivano alla loro meta, un garage. Mentre la saracinesca sale, decido di entrare in scena. «Tancredi, ti ho colto sul fatto: confessa, e lo terrò in considerazione».
«Che cosa ci fai qui?» balbetta, allibito.
Sembra che abbia visto un fantasma. Anche se più composta, la sua amica non è meno turbata.
Li supero, entro nel garage e accendo la luce. Certo, non mi aspettavo minimamente di trovare ciò che vedo. Terrari pieni di foglie morte, cortecce e pezzi di frutta, l’habitat ideale per allevare gli insetti chiamati “cervi volanti”. Faccio un passo indietro impallidendo e mi sento svenire, non so se per il sollievo o per il disgusto.
Tancredi mi sorregge e dice con il suo usuale tono pacato: «Scusami, avevo intenzione di dirtelo, ma avevo paura che… Insomma, lo so che gli insetti ti fanno ribrezzo, ma allevarli è il mio sogno. Questa è la professoressa Enrica C., entomologa» e indica la strepitosa bionda. «Ha ottenuto il permesso per allevare a scopo di studio i cervi volanti e io le farò da assistente».
Dunque c’era un motivo per tutto: i soldi sono stati spesi per l’affitto del garage; lo smartphone serviva per accordarsi con la professoressa; il parcheggio era vicino a un negozio specializzato che vende terrari; la stanchezza era dovuta all’intenso lavoro per allestire l’ambiente e curare i coleotteri. Infine, l’insonnia nasceva dal rimorso.
Tancredi prosegue sommesso: «Mi dispiace, Erica, non volevo che lo scoprissi così, davvero. È che conosco la tua avversione per gli insetti e temevo che, se te l’avessi detto, non mi avresti più voluto».
«Me l’hai detto dal primo giorno che adori questi cosi».
«Allevarli è diverso e avevo paura…».
«Come hai potuto pensare che ti piantassi per una passione ripugnante, ma innocua? Sei veramente uno sciocco, più sciocco di una mantide maschio già decapitata».
«Sei già entrata nell’atmosfera» ridacchia rincuorato col suo mezzo sorriso che conosco bene e ci abbracciamo.
Anche l’entomologa sorride fra sé.
Tancredi dunque può coltivare la sua passione alla luce del sole, anzi dei neon. Mi rende partecipe perfino dei minimi dettagli e siamo più uniti che mai. Non posso dire di aver iniziato ad amare quelle creaturine inquietanti, però mi sono ripresa la mia felicità anche grazie all’effetto benefico che hanno su mio marito. E la detective Erica ha risolto il suo primo caso!
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