Metti una sera a cena

Cuore
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La storia più apprezzata della settimana è “Metti una sera a cena” di Mariella Loi, pubblicata sul n. 26. Ve la riproponiamo sul blog

 

Gli diedi APPUNTAMENTO nel locale dove eravamo stati all’INIZIO. Volevo solo spiegargli che la PAUSA di riflessione non era servita, ma senza dirgli quello che avevo SCOPERTO. Gli avrei dato un’ultima possibilità?

Storia vera di Viola C. raccolta da Mariella Loi

 

Gli avevo chiesto di vederci per l’ultima volta all’Osteria del Corso. Era quello il posto dove eravamo andati a cena la prima sera ed era lì che volevo si chiudesse il cerchio. Al mio arrivo lo trovai davanti all’ingresso, fermo ad aspettarmi, un quarto d’ora prima dell’orario convenuto.

«Sai bene come sono fatto, amo giocare d’anticipo» mi disse, come scusandosi.

Quella frase mi risuonò in testa beffarda e, intanto che prendevamo posto a sedere, mi chiesi se sarei riuscita fino all’ultimo a recitare la parte che avevo scelto.

Fu solo il dubbio di un attimo, perché l’immagine di lui in quella foto, abbracciato a una sconosciuta bionda e sorridente, tornò a fare capolino nella mente, rafforzando il mio proposito.

«Vi porto qualcosa da bere o volete ordinare subito?».

La voce del cameriere, sopraggiunto nel frattempo alle mie spalle, mi fece sussultare bruscamente, distogliendomi per un attimo da quell’immagine.

«Il menu verdure e piada era buono l’ultima volta e il prosecco pure» intervenne Luca.

Feci cenno di sì con la testa e svogliatamente lasciai che fosse lui a scegliere cosa ordinare; due decisioni in una giornata sola erano decisamente troppe per me.

Parlammo per un’ora del più e del meno, come si conviene a due persone che non si vedono da un po’ di tempo: casa, amici, famiglia. Di tutto, tranne che di noi.

Non gli chiesi notizie del suo ultimo viaggio di lavoro, quello di cui, a sua insaputa, avevo visto su un social network le foto in compagnia femminile, né, per fortuna, lui fece alcun cenno al riguardo. Non avrei sopportato di vederlo mentire, e forse, avrei apprezzato ancor meno gli echi dolorosi di una verità tardiva.

«Ho ricevuto una proposta di lavoro interessante a Parigi e ho deciso di accettarla» esordii quando tutti gli argomenti di conversazione a disposizione erano esauriti.

«A Parigi?» ripetè Luca con tono interrogativo mentre mi guardava con aria attonita.

Per l’ultima volta mi chiesi se fosse una buona idea nascondergli che la vera ragione di quella decisione era la scoperta del suo tradimento, ma le immagini affettuose di lui e dell’altra abbracciati furono sufficienti a distogliermi da ogni ulteriore proposito di limpidezza.

«A Parigi, per quanto tempo?» replicò Luca e in quella domanda metteva la determinazione di chi vuole sapere subito come stanno le cose.

«Un paio d’anni» risposi, ostentando un distacco che in realtà non provavo. Per rafforzarmi nel mio proposito pensai, in ordine sparso, al nuovo lavoro, alla vicinanza della mia amica Marie, al profumo nel pomeriggio delle vigne di Montmartre.

«Hai deciso senza neanche consultarmi e questo la dice lunga sull’importanza che ha sempre avuto per te il nostro rapporto» attaccò lui sulla difensiva.

Ignorai la sua provocazione. «Mi hai sempre detto di fare le mie scelte lavorative in piena libertà, e che tu avresti fatto altrettanto, nel caso se ne fosse presentata l’occasione» replicai, apparentemente priva di alcun dubbio.

 

Non avrei sopportato di rivivere lo stesso copione già vissuto in passato con Marco, quando mi aveva lasciata per Monica. All’epoca, avevo volutamente ignorato tutte le avvisaglie del caso, aspettando che passasse in silenzio la tempesta che mi aveva travolta.

A nulla erano servite suppliche e ricatti: Marco era andato via e a me non era rimasta neanche la magra consolazione di aver conservato intatta la mia dignità.

«Perché vai a Parigi?» mi incalzò Luca.

«È un’occasione lavorativa unica» mi limitai a rispondere. «E poi Milano non è lontana».

«È finita dunque?».

«È quello che volevamo entrambi, del resto. Nessuno di noi due ha mai creduto nelle pause di riflessione, ma almeno possiamo dire di averci provato» mi limitai a ribattere. Luca mi fissava incredulo. Avevo la sensazione che in lui si stesse facendo strada il sollievo di non dover affrontare a breve un confronto, altrimenti inevitabile.

Come erano cambiate le cose dalla sera di maggio di tre anni prima, quando ci eravamo conosciuti. I primi mesi insieme erano stati come vivere in un perenne stato di ebbrezza. All’epoca stavo per debuttare in teatro con Molière, un sogno che si realizzava.

Avevo sempre desiderato recitare, ma me n’era mancato il coraggio. Poi, a 35 anni, un pizzico di follia mi aveva spinta a frequentare una scuola di recitazione. Tre anni di studi serrati la sera, dopo il lavoro in un ufficio legale.

E con l’esordio sul palcoscenico, era arrivato anche Luca. La passione per lui e quella per il teatro erano cresciute di pari passo, con un’intensità unica, e io mi ero nutrita gelosamente di entrambe.

Non so quando Luca abbia smesso di amarmi: probabilmente è accaduto un po’ per volta, mentre io ero presa da una vita frenetica. Il primo sentore di un cambiamento l’avevo avuto dopo l’ennesimo viaggio di lavoro non programmato che ci aveva scombinato i piani di un fine settimana da passare insieme. Quel sabato avremmo dovuto partecipare al vernissage di un amico: pensavo fosse quella la ragione per la quale si era tanto risentito, ma probabilmente la crisi covava da tempo.

Ora so, che in mia assenza, a quell’evento non era andato da solo. Non avevo mai sospettato di lui, neanche quando mi aveva chiesto una pausa di riflessione.

A fine serata, anche se ne sono stata io l’artefice provo un senso di amarezza. Luca mi saluta con una stretta di mano augurandomi buona fortuna. Lo conosco, so che sta fingendo. Lo guardo, come si guarda qualcuno per l’ultima volta.

«Allora vado» dico e, senza aspettare la sua risposta, mi volto e mi allontano.

 

 

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