Tra le novità in libreria, tanti romanzi dedicati a figure femminili forti, che si confrontano con temi personali, ma anche con vicende storiche di ampio respiro. Ve li raccontiamo nella Gallery, ma prima facciamo due chiacchiere con una delle autrici

 

Le imperfette è un romanzo intenso, con cui Federica De Paolis ha vinto il Premio letterario Dea Planeta.

“Le imperfette” è un titolo forte, che assume diversi significati nel libro. Ce lo commenti?

«La protagonista, Anna, è sposata con un chirurgo estetico, Guido, che lavora nella clinica di famiglia diretta dal padre di lei. Guido appella le clienti come “le imperfette”: è un nomignolo dispregiativo, sottintende il fatto che le donne hanno bisogno di modificarsi, perché esiste un’insoddisfazione latente. Per il padre invece la definizione assume un valore più positivo, le chiama “imperfette” poiché vede le donne in divenire, come se ambissero a un continuo miglioramento. Per Anna le imperfette siamo noi, le donne che vivono un sentimento di fuori fuoco rispetto a tutti i ruoli che cerchiamo di ricoprire. Ma andando avanti, la parola assume un significato più ampio: imperfette sono le persone con i loro chiari-scuri, le debolezze, le fragilità. Per me il significato di imperfezione ha un colore positivo. Viviamo in un momento storico in cui si ambisce e si esibisce la perfezione: estetica, sentimentale, interiore. La perfezione non esiste, è un’illusione e inseguirla è un’assoluta chimera». 

Il romanzo è sia un percorso di crescita, sia un confronto con i temi della femminilità e della maternità. Quale senti più centrale?

«Entrambi, nella misura in cui nel romanzo, sono temi legati tra loro. Anna vive la maternità più come un dovere che una gioia, e lo stesso vale per il suo matrimonio. Come se esistesse una sorta di pilota automatico che la fa viaggiare su una strada di cui non conosce la meta. È come se fosse totalmente inconsapevole rispetto a ciò che sta accadendo intorno a lei, fino a quando qualcosa si rompe e lei è costretta a ricentrarsi, ad aprire gli occhi. Come madre e come donna. Il tema che mi interessava indagare è proprio questo, come si arriva alla presa di coscienza di sé».

Che effetto ti ha fatto ricevere il premio?

«È stata un’emozione immensa. Inoltre ho partecipato al premio con il nome di mia madre, che ho perso quando avevo 29 anni. La sua morte ha rappresentato “un risveglio” nella mia vita. Ho cominciato a scrivere subito dopo averla persa, ho capito che non c’era più tempo da perdere e se davvero volevo diventare una scrittrice dovevo muovermi e anche in fretta. Vedere il suo nome sui giornali è stata un’emozione quasi più grande che vedere il mio, era come se fosse ancora viva».

 

Da Confidenze n. 26

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