Come si parla ai cani

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Con i nostri amici quattrozampe comunichiamo utilizzando i più svariati registri linguistici: nomignoli, parole storpiate. Ecco il mio personale inventario

I vezzi che si usano con i cani sono inconfessabili, ma li confesserò. Avevamo una grossa pastora belga, Stella, che ci capiva solo se le parlavamo con la A. Per 14 anni. Offriremo l’ausilio di una traduzione.

–      Vàa la zappa? (Vuoi la zuppa?)

–      Andama a spassa! (Andiamo a spasso!)

–      Dalancanta, hàa pascata sal tappata! (Delinquente, hai pisciato sul tappeto!)

–      Stalla! Ta sa fragata al prascatta?  (Stella! ti sei fregata il prosciutto?)

Quando mia figlia andò per la prima volta in vacanza da sola, in fondo alle lettere le aggiungevo sempre due righe di ammonimento da parte di Stella, naturalmente con la A, tipo: “Fala daratta, a nan dara canfadanza aa gavanatta” (Fila diritta, e non dare confidenza ai giovanotti). Che sono cose sciocchine, ma grazie a questo efferato moltiplicatore dell’idiozia che sono i media, se lo mettete su Facebook pare geniale, e diventa una moda. Poi arrivò una trovatella di nome Bionda. Essendo di piccola taglia, a lei parlavamo con la “i”.

–      (Al parco)- Bindi, virghigni! Pirchì ii mirsichiti li vicchi? (Bionda, vergogna! Perché hai morsicato la vecchia?) Mi schìsi signiri…cioè, mi scusi signora.

–      Mi scusi un cavolo, io la denuncio! Gli metta la museruola a quella stronza!

Al gatto abbiamo provato a parlare con la “e”, sperando di acquistare autorità – Gé del lette, schestemete!” (Giù dal letto, scostumato!). Ma il gatto è un animale anarchico. Ha imparato ad aprire il frigo da solo, dell’alfabeto se ne frega.

Confidenze