La cultura dell’invecchiamento

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Finalmente un libro che restituisce dignità alla vecchiaia, ridotta dalla nostra società a unità di consumo. Qui l'uomo torna uomo con i suoi limiti e paure

Sono sempre più stufa della retorica sulla bellezza della vecchiaia, esaltata per motivi commerciali: la pubblicità ha abolito la morte. I vecchi come chiunque altro sono considerati solo unità di consumo, e li si adula perché spendano e acquistino. La vecchiaia è stata destituita della sua dignità, di cui fa parte il dramma della fine. Mi sgomentano le coppie ultraottantenni che si vantano in tv della loro scintillante vita sessuale. Si lasciano intervistare compiaciuti da giornalisti compiacenti e danno conto perfino di quante volte consumano.

Niente di male? Be? un po’ sinistro: i giovani non fanno più figli, e i fasti di Venere sono celebrati dai nonni. Ma ecco ogni tanto un lampo di verità, di buon senso colto e geniale. Leggo in ritardo La cultura dell’invecchiamento, di Michele Lo Foco, (Gennarelli Bidelli Edizioni), uscito nel 2016, che allora mi sfuggì e riscopro con gioia, tanto da eleggerlo a manifesto di anticonformismo e saggezza.

Qui finalmente l’uomo torna uomo, con i suoi limiti, le sue paure, le sue tenerezze. L’autore cita Marquez: quando allo specchio ti accorgi che somigli a tuo padre, vuol dire che stai invecchiando. Comprendiamo lentamente ma non completamente  che gli altri non ci vedono più come prima, mentre noi ci sentiamo e ci vediamo come prima. Cita Galimberti: “La liberazione sessuale all’insegna della vitalità è stato un modo per esorcizzare la morte, per interdirla, per farne un disvalore assoluto”.

Michele Lo Foco si oppone al diktat della sessualità come obbligo sociale fino all’ultimo respiro. “La scienza, risolvendo il problema meccanico, ha dato delle grandi possibilità agli anziani maschi, ma li ha anche proiettati in una dimensione virtuale (…) che può creare disagi non meno gravi del disagio per cui è stato curato. Lo spegnersi del desiderio, come fatto naturale, consente una serenità di vivere prima ignota. (…). Non sto dicendo che il Viagra è opera del diavolo, ma che talvolta le nuove medicine, irrompendo  con la virulenza di un uragano, creano un rivolgimento che solo il passare del tempo riesce a plasmare”.    

Finalmente! Grazie, Lo Foco. E grazie soprattutto per quel capitolo dove smantella un altro pregiudizio stupido del nostro tempo: che la vecchiaia è una tragedia soprattutto per le donne. Il pregiudizio sul quale si fonda l’obbligo talebano della plastica, la spinta a nascondere l’età che ha colpito con violenza le donne negli ultimi decenni, creando qualche bel viso e tanti mostri, maschere di un carnevale triste, dove invece delle rughe vedi labbroni e guancioni atti a cancellare la storia e la personalità di chi li porta. Spesso per aver ceduto al ricatto sul lavoro.

Non occorre essere donne di spettacolo, anche se fai la commessa dopo i quaranta cominciano a pressarti con la necessità della bella presenza- cioè, fatti dare una stirata, se no perdi il posto. Nel capitolo Senilità maschile e femminile, finalmente una semplice verità: che le donne invecchiano meglio. Mentre l’uomo annaspa nella diminuzione della sua funzionalità e cerca affannoso elementi sostitutivi alla sua decadenza, la donna ha acquisito certezze e complicità  che la rendono più indifferente al passare del tempo.(…). La donna anziana che abbia raggiunto il suo obiettivo (crearsi una solida indipendenza)  è meno fragile, più sicura, certamente più sana e meno nevrotica. (…) E soffre meno di solitudine. Ecco, torniamo alla consapevolezza perduta. Ognuno ha la propria parabola verso una meta disconosciuta cui si avvicina spesso senza prendere atto che ci sarà un momento nel quale non ci saremo più, e sarebbe tanto meglio arrivarci con la dolcezza di un atterraggio.

L’umanesimo esiste ancora, finché non seppelliamo le parole, e con esse i significati. Qui li ho ritrovati.

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