La prima Vespa non si scorda mai

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Lo scooter più famoso del mondo, la mitica Vespa, ricorda a tutti noi un aneddoto particolare. A me, per esempio...

L’editoriale Emozioni bomba pubblicato sul numero di Confidenze in edicola adesso inizia con una dichiarazione-ricordo della mamma del direttore: «Che passione avevamo per la Vespa». La mia risposta? «Cara signora, sono perfettamente d’accordo con lei. Lo scooter della Piaggio è senza dubbio il modello a due ruote che più ha entusiasmato tutti: motociclisti, aspiranti tali, passeggeri e chi cercava un mezzo sprint con cui muoversi in tutta libertà».

In questa nutrita e infervorata folla naturalmente ci sono anch’io. Che ho iniziato a macinare chilometri e, soprattutto, ad assaporare la libertà proprio a cavallo del mitico Vespino 50 Special, che ha sostituito la mia fedele bicicletta appena ho compiuto 14 anni.

Così, una volta ritirato il bolide (a cui ho subito messo il sellino lungo come si usava a quei tempi), dopo una vita di fatiche ai semafori per ripartire quando scattava il verde ho scoperto la magica sensazione di inserire la marcia e, senza ulteriori sforzi, sentire il mezzo che si muoveva da solo. Ma la Vespa, per me, non è stata solo quello.

Ha incarnato, infatti, l’opportunità di girare per tutta Milano alla velocità del lampo. La possibilità di trasportare le amiche nonostante alla mia età fosse vietatissimo andare in due (non potete immaginare la quantità di multe-salasso che mi sono presa). L’occasione per sentirmi grande e indipendente. E poi, l’idea che nessun posto fosse più irraggiungibile. Neanche l’adorata Courmayeur, ovvero la meta del mio primo viaggio lungo.

Zaino in spalla, sono partita una mattina convinta di intraprendere un’avventuretta da nulla. Ma ad appena 200 metri da casa ho capito che mi sbagliavo, visto che ha iniziato a piovere. Eppure, carica di entusiasmo come una pila, non mi sono lasciata prendere dallo sconforto e ho continuato per la mia strada.

Morale, prima di Novara ero fradicia come una spugna. Verso Quincinetto barbellavo dal freddo. Ad Aosta ho iniziato a pensare che non sarei mai arrivata sana e salva. E giunta miracolosamente a Courmayeur, sono corsa a casa con l’intenzione di infilarmi nella doccia calda (fatto) e di rifugiarmi nei vestiti asciutti. Questa seconda ambizione, però, non è andata a buon fine. Infatti, rinchiuso nello zaino non del tutto impermeabile (o comunque incapace di resistere a nove ore sotto il diluvio), il mio bagaglio era come uno stagno, pieno di abiti trasformati in melma dalla pioggia.

Mi succedesse oggi, credo che mi verrebbe una crisi di nervi pronta a sfociare in un pianto a dirotto. Ma allora la condizione di derelitta aggiungeva fascino all’avventura non ancora finita. Perché non è che ho acceso il camino e mi sono rilassata. No! Ormai in preda al delirio dell’eroina (inteso come eroe al femminile, nulla di stupefacente), ho rimesso il pullover e i pantaloni grondanti di acqua, sono balzata di nuovo in sella e sono andata al tennis (se mi legge qualcuno di quei tempi, dal Croux) dove ci incontravamo con gli amici. E lì, neanche fossi una sopravvissuta del Titanic (in fondo un po’ lo ero), ho vissuto un momento di gloria di cui vado fiera ancora adesso.

Una pazza esaltata? Niente di più facile. Ma tra le mille magie della Vespa, c’è anche quella di farti sentire Wonder Woman.

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