Appagatissimo (o forse no)

Cuore
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Una delle storie più apprezzate del n. 5 di Confidenze è “Appagatissimo (o forse no)” di Giovanna Sica. Ve la riproponiamo sul blog

 

Diciamo la verità, io piaccio. Sono uno sciupafemmine, che sa come prendere e lasciare. Ecco, è questo il problema: non sono attrezzato per essere lasciato

Storia vera di Alessandro B. raccolta da Giovanna Sica

 

“D’altronde, nessuno va in giro a cercare qualcos’altro quando è appagato dalla sua relazione”. Quante volte mi imbatto in questa frase. Sui giornali. In televisione. Scrittori, psicologi e compagnia cantante ce l’hanno sempre pronta, come se fosse un diktat. Non è così. Non è vero per tutti. Almeno per me non lo è mai stato.

Nella mia relazione con Federica io stavo bene. Appagato? Appagatissimo. Eppure quando mi capitava l’occasione di andare a letto con altre donne, non mi tiravo mai indietro. Perché avrei dovuto? Io non toglievo niente alla mia donna, almeno così credevo. L’intrattenermi con altre signorine non lasciava in me nessun segno. Resettavo completamente quando poi stavo con Fede. Si trattava di incontri occasionali, e anche dall’altra parte non c’era nessuna aspettativa che non fosse di passare insieme qualche ora di buon sesso. Di solito erano donne a loro volta impegnate in  storie stabili che non avevano alcuna intenzione di sostituirmi al consorte ufficiale. Solo che poi arrivò Lucia e con lei fu tutto diverso.

Lucia che non era impegnata e io che mi guardai bene dal dirle che c’era un’altra che mi aspettava a casa. E non lo feci perché capii subito che una come lei non avrebbe mai dato confidenza a un uomo già impegnato. Lucia mi piacque all’istante. Una ragazza dolce. Occhi che ridevano in mezzo a una faccia trasparente puntellata di lentiggini e un mare di onde castane in testa. Ci conoscemmo a una festa di piazza. Io ero col mio amico Tommaso a passeggio fra le bancarelle quando mi venne voglia di comprare le caldarroste. Prima di me, in fila, c’era Lucia. Prese lo zucchero filato e girandosi me lo arruffò sulla maglietta. Arrossì e si scusò tanto. Io le dissi che per farsi perdonare ora le toccava aiutarmi a consumare le castagne e la presi sottobraccio. Io mi dimenticai di Tommaso che andò a farsi una birra al bar e Lucia si dimenticò della sua timidezza.

Parlammo tanto e di tante cose. Le parole ci venivano fuori veloci, fluide, come se nel tempo di una serata volessimo farci entrare le nostre vite. Lucia, più piccola di me di sette anni, mi raccontò dell’ Università, delle amiche, di come ci si sente a vivere in un paesino di tremila anime. Mi raccontò ogni cosa di sé, senza tenersi niente. Io pure le dissi tutto, tranne la cosa più importante: che c’era una fidanzata che amavo. Appagato? Appagatissimo. Restammo insieme fino a tardi. La accompagnai a piedi a casa, nel centro storico del paese in festa e le stampai un bacio sulle labbra prima di salutarla. Mi risultò facile continuare a vedere Lucia senza rischiare che Federica mi sgamasse.

Il paesino dove viveva era parecchio lontano dalla mia città; io di solito ci andavo solo una volta all’anno per la sagra delle castagne, e questa volta ci avevo conosciuto la ragazza dagli occhi che ridevano. Appena potevo correvo da lei. Non era come con le altre: stavolta mi portavo a casa gli strascichi dei baci di Lucia. Il vento di montagna che si incagliava fra i suoi capelli belli. La sua voce. Quel suo modo ingenuo e irresistibile di atteggiare un sorriso con la punta delle labbra. La verità è che io, Lucia, la pensavo pure quando tornavo nella mia vita. Però Federica non si toccava, io l’amavo, lei era la donna mia. Non traballava il suo scranno. Punto.

Finché arrivò il giorno che il mio castello di bugie mi cadde addosso e io rimasi schiacciato sotto le macerie. Un venerdì che ero libero da impegni lavorativi decisi di fare una sorpresa a Lucia. Non era mai andata al Museo di Capodimonte e desiderava tanto vedere da vicino “La flagellazione” di Caravaggio. Ne parlava come di un’opera grandiosa, di quelle che devi guardare da vicino e da lontano per trovare la distanza giusta fra te e lei, per capire quanti passi ti occorrono per entrarci dentro, per infilarti nel quarto superiore, quello buio dove c’è una luce speciale. Diceva. Bah.

 

 

Io l’ascoltavo stranito, però mi piaceva quel suo essere così vaga. Federica non le assomigliava affatto. Federica era come me. Pragmatica, organizzata, cinica. Andammo a Napoli. Lucia era entusiasta. Mi avrà detto grazie un milione di volte. Dopo la visita al museo, passeggiammo nel bosco di Capodimonte e poi la portai a mangiare la pizza in un’antica pizzeria. Trascorremmo una giornata bellissima. Lucia era così felice. E anch’io. Quando la riaccompagnai a casa, lei mi abbracciò  forte, più forte delle altre volte.

In quella stretta più vigorosa e più prolungata io ci lessi ancora un grazie, e anche tutto il bene che mi voleva. Se avessi saputo che quello sarebbe stato il nostro ultimo abbraccio, l’avrei trattenuta di più sul mio petto, forse non l’avrei lasciata andare. Ma io in quel momento non sapevo che una volta tornato a casa dalla mia compagna sarei andato a fare la doccia dimenticando il telefono sul divano. Un errore imperdonabile per uno che ha cose da nascondere. Quelli come me il telefono ce l’hanno sempre con sé.

Non sapevo che Lucia, ma che stupida, avrebbe desiderato ancora dirmi grazie. L’ennesimo. Stavolta sotto forma di messaggino. Con tanto di cuoricini. Non sapevo che Federica avrebbe letto, che avrebbe chiamato Lucia urlandole addosso tutte le parolacce che conosceva, che avrebbe preso a pugni il box doccia, che avrebbe fatto venire giù il mondo. Non sapevo niente di quello che sarebbe successo da lì a poche ore quando Lucia mi strinse a sé per l’ultima volta. Federica sbatteva forte le mani contro il vetro della doccia. Uscii subito, temevo che me l’avrebbe fracassato addosso, quel vetro in cristallo che avevamo scelto quando andammo a vivere insieme. Abbandonai il getto d’acqua ancora tutto insaponato, mi allacciai un asciugamano in vita e cercai di calmare Federica, ma lei non sentiva ragioni.

Diceva che dovevamo metterci in macchina e andare subito da questa Lucia che mandava cuori al suo uomo. Questa Lucia che aveva passato col suo uomo una delle giornate più belle della sua vita. Questa Lucia che io tenevo segnata come Lucio in rubrica. E non riuscivo a convincerla che era una persona che avevo incontrato per lavoro. Che eravamo stati a Napoli per un convegno. Che l’avevo segnata come Lucio per sbaglio, digitando la o al posto della a e nemmeno me ne ero accorto. Che forse la giornata le era parsa indimenticabile perché proprio in quell’occasione aveva saputo che la sua azienda l’aveva assunta a tempo indeterminato. Io non c’entravo niente con la sua felicità a cuori. Ed ero sicuro di me mentre snocciolavo a una a una le mie bugie, perché quelli come me nemmeno quando vengono scoperti ammettono le proprie colpe. Mai. Mentire sempre. E con convinzione. Ma Federica che fessa non era non riuscivo a persuaderla, quella sera. Volle richiamare Lucia. E lì la situazione sfuggiva al mio controllo.

 

 

Lucia che aveva capito tutto, anziché dire come stavano le cose alla mia fidanzata, anziché urlarle che lei non ne sapeva niente della presenza di un’altra, che io mi ero spacciato per single, mi resse il gioco. Incredibilmente, la ragazza dagli occhi che ridevano che stavo ingannando da sette mesi scelse di non sputtanarmi. Avrebbe avuto tutto il diritto di dire come stavano le cose, di mandare al diavolo me e Federica che la stava insultando con parole inenarrabili, e invece Lucia diede conferma delle mie menzogne. Ci eravamo visti per lavoro, sì. Un convegno, sì. La sua felicità era dovuta all’assunzione a tempo indeterminato sì. I cuori? Perché i cuori? Ah, quelli li metteva sempre, senza darci troppa importanza. Era solo una stupida sentimentale, sì.

Federica si calmò, forse nemmeno lei aveva la coscienza così pulita come voleva far credere quella sera. Lucia non volle rivedermi mai più. Provai a chiamarla tante volte. Le scrissi infiniti messaggi di scuse. Le giuravo che con lei ero stato davvero bene, che non avevo mentito sui miei sentimenti. Ma non le dissi mai che avrei lasciato l’altra per stare con lei. E non lo feci perché Federica era la mia donna, Federica non si toccava. Non traballava il suo scranno. Io e lei condividevamo tante cose. Progetti per il futuro. Un’ottima intesa sessuale. Gli amici. Gli aperitivi nei locali più trendy. La passione per gli abiti firmati. Non le potevo dire che avrei lasciato la mia compagna per lei perché io, quando fu il momento di scegliere, scelsi Federica. Per tutta la vita. E poi, non credo che Lucia mi avrebbe perdonato, anche se avessi voluto cominciare con lei una storia d’amore con tutti i crismi. Lucia era una donna troppo pura per immischiarsi con la mia meschinità, una volta che l’aveva scoperta. Forse per questo non ebbi dubbi nello scegliere Federica, lei era come me. Con Lucia mi sarei sentito quello cattivo a vita.

«Ti ho fatto anch’io un regalo, ieri. L’ultimo. Non ti azzardare a cercarmi mai più» le sue uniche parole il giorno dopo Napoli. Il giorno dopo il Caravaggio. Dopo quella pizza buonissima che non riuscivamo a staccare la mozzarella dalle fette e ridevamo. Il giorno dopo la felicità.

 

 

Tempo dopo, la storia con Federica è finita. Si è messa col suo capo. Banale, vero? Lucia la spio qualche volta su Facebook. Sono passati quattro anni dalla nostra relazione. Sei mesi fa si è sposata. Vestita di bianco era più bella che mai. L’uomo che è diventato suo marito mi sembra uno a posto. A posto sì, tranquillo. Oddio, lei poteva fare di meglio, secondo me, però lui forse la ama. Come io non ho saputo amarla. Ho rubato la sua foto vestita da sposa. Sorride, sembra felice. La ragazza con le lentiggini sparse su un viso trasparente con un bouquet di gerbere in mano. L’anulare sinistro su cui luccica un cerchietto d’oro. La fede nuziale che attesta che lei appartiene a suo marito. E se l’ha giurato davanti a Dio so che Lucia manterrà la sua promessa di amore e fedeltà, quelle come lei credono in quello che dicono. “Ehi, Ale, cos’ è questo? Un rimpianto?” mi interrogo. Ma no, quelli come me non hanno mai rimpianti.

Parliamoci con onestà, io e Lucia non siamo fatti della stessa pasta, non avrei resistito, per questo quando arrivò il momento di scegliere non ebbi dubbi. La ragazza dagli occhi che ridevano veniva dalla montagna, io no. A me il suo paese andava bene una volta l’anno per la sagra delle castagne. Forse anche la sua aria perennemente incantata, alla lunga, mi avrebbe stancato. Io sono uomo di città. Di aperitivi in locali trendy. Di vestiti firmati. Di viaggi di lavoro in business class. Amavo Federica perché lei non metteva in discussione nessuno dei miei must have. Anzi, li rafforzava. Amare lei mi permetteva di amare ancora e sempre me stesso perché in lei mi rispecchiavo. Però, lo stesso, l’ho salvata sul telefono. La foto di Lucia vestita da sposa. Ogni tanto me la vado a guardare.

 

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