Ballo in maschera

Cuore
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Riproponiamo nel blog una delle storie più apprezzate del n. 7

 

Lo sconosciuto non smette di fissarmi, ha un abito elegante e il viso coperto. Accenna un sorriso ed è come uno schiaffo in pieno viso, una vampata di fuoco m’invade il petto. Tutto ciò che accade dopo ha dell’imprevedibile, ma ha cambiato in meglio la mia vita

STORIA VERA DI ANNA C. RACCOLTA DA SEBINA MONTAGNO

 

Non ero mai stata a Venezia. Anzi, a dire il vero mi ero quasi sempre rifiutata di uscire dalla mia isola. La Sicilia. I motivi di questa mia scelta? Molteplici. Una ritrosia nei confronti del mondo si mescolava ad anni sofferti, in preda a un amore impossibile. Lui era il classico bello, carismatico, affascinante e… sposato felicemente da circa 20 anni. Avrebbe potuto essere mio padre, eppure quella passione ci aveva colti in agguato, di notte, lasciandoci alla sprovvista di difese e ripari per l’anima.
Un giorno qualunque di piena estate, Giorgio, questo il nome della mia dolce ossessione, si presentò a casa mia, dicendomi che la moglie aveva scoperto tutto e che quindi quel nostro amore doveva essere soffocato. Dovevamo arrenderci, insomma, perire sotto i colpi di un presente impietoso.
Giorgio sparì subito, fedele a quella sua personale promessa e un dolore insopportabile prese a esplodermi nelle viscere.

Fu così per tre anni. Poi qualcosa cambiò. Il dolore si trasformò in cicatrice e io continuai a trascinarmi lungo il corso dei miei giorni obbligati.
Poi, non so nemmeno io quando, ho cominciato a respirare meglio. E ho finalmente deciso di cedere a un invito a dir poco insistente, da parte della mia amica d’infanzia, Sandra, accanita collezionista d’arte e di eventi mondani, trasferitasi a Venezia ormai da anni. Qual era l’invito in questione? Un esclusivo ballo in maschera organizzato dalla stessa Sandra all’interno di un palazzo veneziano di alta classe, uno di quegli ambienti a lei tanto cari, centri nevralgici e fucina di incroci ibridi, dove l’amore per l’arte e il collezionismo abbraccia spesso passioni ingiustificate verso un mondano che profuma di trasgressione. In genere, gli inviti di Sandra suonano più come delle minacce. Impossibile rifiutare. Ventiquattro ore dopo l’invito telefonico, ricevo infatti un biglietto aereo di sola andata. Destinazione Venezia. Il biglietto è corredato da un abito meraviglioso che sarò costretta a indossare per presenziare al ballo in maschera.

Bene, cosa potrei mai fare per ribellarmi a tutto questo? Assolutamente niente. Come sempre.

Il lasso di tempo che intercorre tra l’invito-minaccia di Sandra e il mio ingresso effettivo all’interno del famoso palazzo veneziano, somiglia più a una sorta di folle centrifuga, in grado di risucchiarmi completamente, preda e vittima di una nevrotica isteria da preparativi.

Così, prima ancora che la mia mente possa aver metabolizzato tutta quella sfilza di step e scosse violente, mi ritrovo fiondata all’interno dell’ormai celeberrimo palazzo.
Il posto brulica di individui bizzarri, in preda a una strana ossessione che sa di mondano e di alcolico. Sandra si dilegua non appena entrate, con la scusa di assicurarsi che il catering sia a posto. Quella vipera mi lascia sola in mezzo al nulla. Non conosco nessuno, non so che ci faccio qui. La odio per questo, ma cerco subito di distrarre il mio nervosismo, affidandomi all’alcol. Fortuna che tutti o quasi indossano una maschera e anche io ho la mia. Ringraziando il cielo, stanotte non dovrò affrontare nessuno a viso scoperto.

Mi avvicino al bancone e comincio a ingurgitare un drink dietro l’altro, mentre l’alcol fa subito effetto. La mia testa prende a volteggiare leggera, come sollevata di colpo da anni di carichi troppo pesanti.

Ma qualcosa non va. Mi sento osservata.
Avverto una presenza proprio dietro di me. Mi volto di scatto. E lo vedo.

Un giovane uomo, forse mio coetaneo, se ne sta appoggiato a una delle colonne che circondano l’ampia sala da ballo. Lo sconosciuto non smette di fissarmi. Ha un abito elegante, marrone chiaro, e porta anche lui una maschera che gli lascia scoperte le labbra sensuali. Il giovane sconosciuto realizza subito di essere stato colto in flagrante. Accenna un sorriso e distoglie lo sguardo. Quel sorriso. Quel sorriso mi schiaffeggia qualcosa addosso in pieno viso, di colpo, inaspettatamente, vigliaccamente.

Una vampata di fuoco prende a invadermi il petto e io non so ancora bene se sia per effetto dell’alcol o di quell’uomo. Ma continuo a fissarlo, cercando di infondere al mio sguardo un tocco di rimprovero. Sì, voglio inseguirlo, incenerirlo con lo sguardo mi dico, ma perché poi?

Lo spazio visivo tra me e lo sconosciuto prende presto a essere occupato da un folto gruppo di nuovi ospiti e così perdo di vista quegli occhi misteriosi e quel sorriso beffardo. Per fortuna, mi dico! Quella vampata di calore improvviso mi era sembrata subito foriera di cattivi presagi. Mi dirigo dall’altra parte della sala, persuasa a dimenticare presto la strana parentesi, mentre il mio corpo inizia a muoversi spontaneamente, in preda a una strana euforia alcolica. Inizio a ondeggiare a tempo di musica.

E poi tutto si confonde in una frazione di secondo. Mentre sono immersa in quell’euforia alcolica, una mano afferra la mia, da dietro, e mi trascina oltre le colonne, in fondo a uno dei corridoi laterali della grande sala.
Mi volto di scatto, mentre la stessa vampata di calore di poco prima torna a divorarmi le viscere, salendo fino al collo, alle guance, agli occhi. Mi convinco che sia solo l’effetto di tutto l’alcol che ho bevuto, ma in cuor mio so già che non è così.
Lo stesso giovane uomo mascherato che mi fissava un attimo fa con quel sorriso beffardo, mi ha appena trascinata, prendendomi per mano, verso un angolo semibuio, ai margini della sala.

Resto impietrita. Lo sconosciuto se ne sta fisso, immobile davanti a me e continua ad accennare quello stramaledetto, affascinantissimo sorriso.
«Ci conosciamo per caso?». Ecco cosa pronunciano le mie labbra d’improvviso, ma giuro, non è stato il mio cervello a suggerire loro le parole.

Lo sconosciuto smette finalmente di sorridere, ma fa di peggio: solleva la maschera, spostandola sulla fronte.
Io resto muta. Lo fisso dritto negli occhi, come posseduta. Quegli occhi, quelle labbra. Le vampate si moltiplicano. Il suo volto è perfetto. Non ho mai visto nulla di simile in vita mia.
«Credo di no, non ci conosciamo purtroppo» risponde lui, dopo un’eternità. Ci guardiamo, ci studiamo per un attimo. Quel volto ha qualcosa di incredibilmente irresistibile. Sento improvvisamente il terreno scivolarmi sotto i piedi. Realizzo che potrei non essere più del tutto padrona di me stessa. E poi accade. Presto. Troppo. Di colpo. Senza un filo logico.

Perdo completamente la lucidità, insieme alla capacità di interloquire. Un turbinio di emozioni potenti e sconosciute comincia ad assalirmi. Più lo sconosciuto mi fissa e sorride, più queste sensazioni si amplificano. Che cosa mi succede e cosa sto provando esattamente? Non lo so e questo mi atterrisce. Silenzio. Accade.

Lo sconosciuto si avvicina e mi bacia. Senza fretta. È un bacio lento, incerto, ma presente, vivo. Totale.
Sto permettendo a qualcuno di poggiare le proprie labbra sulle mie dopo un secolo. Qualcuno mi sta baciando dopo anni di forzata astinenza e logorio interiore e io non ho idea di chi sia questo sconosciuto.
Ma ecco subito una nuova parentesi inaspettata.
Lo sconosciuto si ritrae di colpo, mostrando per la prima volta uno slancio di timidezza improvvisa.
Io, d’altro canto, continuo a rimanere fedele alla mia immobilità.
«Scusami» bisbiglia poi con un filo di voce, improvvisamente mutato in volto. «Non so davvero cosa mi sia preso. Scusa, ho bevuto troppo, credo».
Lo guardo. Mi guarda. Un rossore improvviso, intenso, prende a esplodergli sul volto.
Il giovane sconosciuto si decide finalmente a distogliere quello sguardo dai miei occhi, sorride e abbassa la testa.
Accidenti! Di nuovo quel maledetto sorriso indecifrabile. Le mie labbra prendono nuovamente la tangente, come possedute da una volontà che io non controllo. Le parole arrivano affilate e sicure: «Non c’è niente di cui tu debba scusarti». Questa semplice frase, innocente all’apparenza, si rivela subito benzina sul fuoco.

Percepisco all’istante che quell’iniziale slancio di timidezza si è già mutato in ricordo lontano. Gli occhi del ragazzo misterioso tornano infatti sicuri su di me, pronti a sbranare il mio sguardo, come fiamme indomabili sbranerebbero senza pietà ettari di foresta.

Lo sconosciuto mi fissa per l’ennesima volta, poi mi afferra per la nuca e prende a baciarmi di nuovo.
Questo secondo bacio però non ha nulla a che vedere con il primo: è potente, sicuro, traboccante di tutto quel profondo desiderio che devo aver scatenato in lui, così come lui in me. Stavolta rispondo al bacio.

Lungo, dolce, violento. Ancora una volta, Totale.
Lo sconosciuto si stacca da me per un attimo. Mi afferra di nuovo per la mano e mi guida verso una piccola stanza antistante la grande sala, oltre le colonne.
Entriamo e lui chiude la porta a chiave, che si serra con un tonfo sordo.

Ci guardiamo di nuovo, per un attimo eterno. Gli occhi dello sconosciuto sono brilli. Anche lui, come me, ha ceduto al fascino di quella nottata alcolica. Quello sguardo diventa presto fuoco. E l’incendio divampa.
Il ragazzo mi sfila veloce il vestito e comincia a baciarmi dappertutto. Le labbra, il collo, le spalle, i seni, i fianchi. Resto immobile, nuda, incapace di reagire. Sono incredula. Completamente divisa a metà.
E poi succede. È una questione di secondi.
Lo sconosciuto si scosta dal mio viso, padroneggiando il mio sguardo, mentre inizia ad affondare piano dentro di me. Sento il suo desiderio, il mio e mi sembra di essere fuori dal mondo, insieme a lui, in uno spazio tutto nostro. Sto per svenire.
Continuiamo a fissarci per una manciata di secondi infiniti. Immobili. Inermi. L’uno dentro l’altra.
Facciamo l’amore totalmente rapiti. Assenti dal mondo. Qualcuno cerca di aprire la porta chiusa a chiave, poi bussa. Sento la voce di Sandra vibrare dall’altra parte della stanza: «Anna, Anna sei qui?».

Lo sconosciuto si blocca di colpo, tornando alla realtà. Quell’attimo sembra durare in eterno. Silenzio.
Poi il suono impertinente e acuto dei tacchi di Sandra prende a macinare il terreno, fino a dissolversi nel nulla.

«Devo andare». Due parole. Schiette, taglienti. In un secondo, il giovane si ricompone e si precipita fuori dalla piccola stanza, dove solo pochi attimi prima quell’esplosione di desiderio estremo era stata capace di far vibrare ogni centimetro di parete. Rimango per un attimo a fissare il vuoto, seminuda, con le labbra socchiuse. Dopo pochi minuti, decido di ricompormi anch’io e uscire là fuori.

Devo riprendere a pensare. Sandra mi stava cercando. Esco veloce da quella camera fuori dal mondo, ripercorro quel maledetto colonnato e mi insinuo tra la marea di folla danzante, alla disperata ricerca di Sandra. Voglio raccontarle tutto quello che è successo con quel tale. Chissà, magari lo conosce
Ho bisogno di abbracciare Sandra, di condividere con lei, con la mia amica di sempre, tutto questo turbinio di emozioni che sembra divorarmi dolcemente lo stomaco.

Riesco finalmente a scorgerla in mezzo a una marea di folla festante. Anche Sandra mi adocchia da lontano e mi fa cenno di raggiungerla. Non aspettavo altro. Mi precipito verso la sua direzione.

E poi accade l’imprevedibile.
Quel tizio, lo sconosciuto, è accanto a Sandra. I due si stringono per la mano. Provo una fitta al cuore.
«Ma dove caspita ti eri cacciata? Ti ho cercata ovunque» cinguetta felice Sandra.
La mia amica spinge lo sconosciuto verso la mia direzione. Sto per morire.
«Anna, voglio presentarti Alessandro, il mio fidanzato. Lui in realtà è il vero motivo per cui ti ho trascinata qui da me, a Venezia, con la scusa di questa festa».
Silenzio. Gelo. Sandra, ignara, continua a parlare. «Insomma, dopo sei anni di forzata singletudine che tu ben conosci, non potevo certo darti una notizia simile per telefono, no?».
Silenzio. Gelo. Parte seconda. Poi il colpo di grazia.
«Io e Ale ci sposeremo il mese prossimo. E non è tutto Anna… Aspetto un figlio». La mia amica guarda il proprio ventre, accarezzandolo con dolcezza: «Riccardo nascerà a maggio. Ora capisci perché dovevi venire a Venezia?». Altro eterno attimo di silenzio.
So che ora tocca a me interrompere quel tragico momento. Mi faccio avanti con un sorriso forzato e stringo la mano ad Alessandro, l’amore di Sandra.
«È un piacere Alessandro, mi chiamo Anna». Lo sconosciuto mi guarda impietrito. Anche lui in evidente stato di shock.
Rimango a fissare Alessandro per qualche secondo, con il sangue congelato nelle vene e il cuore impazzito.
E poi, un pensiero crudele e prepotente inizia subito a farsi largo dentro di me: lo stesso circolo vizioso torna a ripetersi. Qualcosa mi perseguita. Sono nuovamente vittima di una passione impossibile. Così com’era stato per Giorgio. L’unica mia discolpa è che stavolta, almeno, n’ero del tutto inconsapevole.
Non so come e con quale spirito inizialmente, ma continuo a sostenere con coraggio la serata, fingendo nonchalance e azzardando perfino qualche sprazzo di ironia.

Ma poi qualcosa di scioccante e paradossale prende improvvisamente a invadere la mia mente. Una nuova consapevolezza comincia a percorrermi veloce le vene, penetrando le ossa e ridondando lungo le mie tempie.
Una sorta di miracolo. Una rivelazione.
Al diavolo il circolo vizioso. Realizzo di essere guarita. Sono completamente guarita da quegli anni di atroci patemi interiori. Sono guarita da Giorgio e da tutto il male che mi sono fatta e che gli ho concesso di procurarmi. Quella passione di una notte, quella passione fugace, istantanea, paradossale, ha avuto l’incredibile merito di rimettermi al mondo. Di farmi rinascere. Ho imparato la lezione. Una lezione che mi è costata cara, certo.
La mia coscienza infatti non ha voluto saperne di tacere. Il giorno dopo la festa, ho raccontato tutto a Sandra, causando una straziante rottura della nostra amicizia. Ma per fortuna, solo temporanea.
Oggi sono seduta in un meraviglioso parco di Venezia, mentre gioco con Riccardo, il dolce frutto dell’amore di Sandra e del suo ex fidanzato Alessandro. ●

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