Christmas in London

Cuore
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A Londra mi ero trasferita per dimenticare Corrado. Mi sentivo sola e lontana da casa quando suonò il campanello... Da allora tutto è cambiato. Ma solo oggi che si avvicina il 24 dicembre, sento di aver chiuso un cerchio

STORIA VERA DI FRANCESCA B. RACCOLTA DA CATERINA CATERINI

Sola. Era la Vigilia di Natale e, per la prima volta in vita mia, l’avrei passata lontano dalla mia famiglia. Ero a Londra e lavoravo come cuoca in un ristorante italiano. Sola, nel silenzio dell’appartamento che dividevo con due colleghe, per non pensare a quella strana Vigilia, iniziai a ripensare al passato e a scrivere di me, cercando di rimettere in ordine i fatti che mi avevano letteralmente fatta fuggire dal mio paese del sud Italia per ritrovarmi qui, in questa notte speciale.
Passo indietro: era l’estate della mia maturità e mi ero appena diplomata alla scuola alberghiera come cuoca. Mi avevano assunta in un ristorante per la stagione e facevo una vita da pazzi: tutte le sere in cucina fino a mezzanotte e poi in discoteca con le amiche fino al mattino. Non so come facessi a resistere, ma ricordo quel periodo come uno dei più felici e spensierati della mia vita. Il mondo era mio e avevo mille sogni per il futuro: volevo farmi un po’ d’esperienza come cuoca e mettere da parte qualche soldo per poi aprire un ristorante tipico da qualche parte all’estero. Pensavo a tutto fuorché all’amore. Fino alla sera in cui, mentre mi stavo scatenando in discoteca facendo oscillare i miei lunghi riccioli neri, mi accorsi che due occhi scurissimi mi stavano scrutando.
Corrado non era un ragazzo, ma un uomo di 33 anni. Mi stupì che potesse interessarsi a me che ero poco più di una ragazzina. Era così bello, così maschio, così disinvolto mentre mi corteggiava. Penso che fosse infatuato della mia gioventù o forse veramente innamorato di me. Non so, so soltanto che io persi completamente la testa per lui. Faceva l’avvocato e aveva uno studio suo, mi disse che aveva bisogno di un aiuto per le pratiche così, invece di continuare il mio lavoro come cuoca, mi ritrovai ad assumere io stessa il ruolo di segretaria. Lasciai perdere la cucina e i miei vecchi sogni: il suo studio andava bene e i soldi non mancavano. Dopo un paio d’anni ci sposammo.
La mia vita scorreva serena, Corrado apprezzava il mio aiuto allo studio e questo mi faceva sentire importante. Non rimpiangevo il lavoro al ristorante, ma continuavo a esercitare le mie doti culinarie cucinando per Corrado e per i nostri amici. Io ero ancora molto giovane, ma le coppie che frequentavamo avevano tutte più o meno l’età di mio marito e iniziavano ad avere dei bambini. Corrado mi disse che, secondo lui, era giunto il momento anche per noi di avere un figlio e io accettai l’idea con gioia. I mesi passavano e, per quanto lo cercassimo, il bambino non arrivava. Una sera, dopo l’ennesima delusione giunta con l’arrivo del mio ciclo, Corrado mi suggerì di andare dalla ginecologa per fare degli accertamenti. Ci rimasi un po’ male perché il modo in cui me lo disse mi fece sentire vagamente sotto accusa, come se mio marito volesse insinuare che la “colpa” dei nostri insuccessi fosse mia. Feci comunque le analisi e risultò che tutto andava bene. La ginecologa mi disse che, a quel punto, mio marito avrebbe dovuto fare degli esami, ma quando ne parlai a Corrado, lui reagì in malo modo. «Ma che cosa crede quella cretina, che la colpa sia mia? Io non ho mai avuto problemi, piuttosto impari lei a fare il suo lavoro!» disse, risentito. Cercai di fargli capire che non si trattava di “colpa”, ma che forse sarebbe stato opportuno fare tutti e due le analisi per escludere che ci fossero dei problemi. Quella sera andammo a letto tutti e due di cattivo umore senza neanche darci il bacio della buonanotte: qualcosa fra di noi si era spezzato. Dopo quell’episodio non affrontammo mai più l’argomento bambini, come se fosse diventato tabù. Andammo avanti occupandoci del lavoro, ma i rapporti fra noi si erano raffreddati.
A Corrado erano state affidate delle cause importanti e impegnative, così decise di allargare lo studio entrando in società con una collega. Silvana era una bella donna, sulla quarantina e occupò l’ufficio accanto a quello di mio marito. Era molto carina e gentile con me e dimostrò di apprezzare le mie capacità, adesso che mi occupavo di fare da segretaria anche a lei. Iniziò a far parte anche della nostra vita privata perché spesso, con il marito, si univa al nostro gruppo di amici. Fu proprio durante una di queste cene che Teresa, che faceva parte della nostra compagnia e della quale ero diventata amica, mi mise in guardia: «Stai attenta all’avvocata, ho paura che abbia una tresca con Corrado».
All’inizio mi indignai rifiutando di crederle, ma poi cominciai a osservarli con attenzione. Una volta notai che, mentre leggevano insieme un documento alla scrivania dell’ufficio, le loro braccia si accostavano ripetutamente.  Stavo malissimo, ma volevo sapere, per questo un pomeriggio dissi che dovevo andare a casa un po’ prima e dimenticai intenzionalmente il cellulare sulla mia scrivania, creandomi così la scusa per poter tornare poco dopo a riprenderlo. Mi sedetti in macchina e aspettai: 20 minuti, 25, mezz’ora. Scesi dalla macchina e tornai in ufficio con il cuore che mi batteva all’impazzata. Mi sarebbe bastato sentire i risolini e gli ansimi che venivano dall’ufficio di Corrado, ma la porta non era chiusa e volli vedere: seminudi, facevano l’amore sulla scrivania. Me ne andai silenziosa per non farmi sentire, come una ladra. Salii in macchina e mi diressi verso la casa dei miei genitori. Piansi per una settimana.
Corrado, non trovandomi a casa la sera al suo ritorno, mi chiamò sul cellulare senza ottenere risposta. Quando più tardi telefonò a casa dei miei, gli rispose mio padre che gli raccontò che cosa era successo, riempiendolo d’insulti. Gli disse che doveva lasciarmi in pace e uscire dalla mia vita per sempre. Corrado mi mandò una serie di messaggi chiedendomi perdono, dicendo che era stata solo una scappatella. Io mi sentivo talmente umiliata e distrutta che, a quel punto, non sapevo più cosa provavo per lui. Una sera mio padre entrò nella mia stanza e si sedette sul mio letto, vicino a me: «Non hai più un marito, ma visto quanto valeva il tuo, direi che questa è una cosa positiva. La casa è di Corrado quindi rimarrà a lui, ma sai che puoi restare qui quanto vorrai. La cosa peggiore è che sei senza un lavoro perché per colpa di quel bastardo hai lasciato perdere i tuoi sogni e tutte le tue aspirazioni».
Annuii tirando su col naso e dissi: «Potrei trovare lavoro da un altro avvocato. Adesso sono diventata brava, ma in realtà non mi  piace. Potrei cercarmi un lavoro come cuoca, però non ho voglia di restare in paese: non mi va di rischiare d’incontrarlo per la strada, né di farmi compatire dagli altri. Di una cosa sono sicura, chiederò la separazione».
Sono figlia unica ma ho una cugina, Carmela, che è quasi una sorella. Fu lei che mi disse che aveva degli amici che gestivano un ristorante italiano a Londra che mi avrebbero presa in prova. Ne parlai con mamma e papà e loro furono d’accordo con me: allontanarmi dal paese mi avrebbe fatto bene e poi avrei potuto dedicarmi alla cucina che era da sempre la mia grande passione. All’inizio non fu facile e dovetti rispolverare l’inglese che avevo studiato a scuola, ma me la cavai. E così ecco come mi ero ritrovata da sola la sera della Vigilia di Natale.
Quell’anno al ristorante non potevano darmi le ferie nel periodo natalizio e i miei non potevano raggiungermi per via del loro lavoro, perciò ero sola a scrivere questa specie di diario. Stavo appunto scrivendo quando sentii bussare alla porta. Non aspettavo nessuno. I colpi alla porta si ripeterono un po’ più insistenti, così andai ad aprire. Era il mio vicino di casa, uno scozzese altissimo col quale ci scambiavamo un saluto, niente di più. Le mie coinquiline mi avevano detto che era a Londra per fare la specializzazione in veterinaria e che la sera lavorava in un pub per mantenersi. Non sapevo nemmeno come si chiamasse, nella mia mente lo avevo soprannominato “Braveheart” perché era uno dei pochi uomini che conoscevo che sarebbe stato benissimo se avesse indossato un kilt. Esordì dicendomi che quella sera era solo, ma siccome era la Vigilia di Natale aveva deciso di farsi un piatto di spaghetti che voleva condire con un sugo pronto e già questo mi fece inorridire. Proseguì confessandomi che non sapeva se gli spaghetti andavano messi nell’acqua fredda o se invece bisognava aspettare che l’acqua si scaldasse un po’. A quel punto non potei fare a meno di offrirmi di cucinarglieli io, con il mio ragù. Sapeva che ero italiana, ma non che ero una cuoca. Quella era decisamente la sua serata fortunata perché gli preparai una delle mie cenette che, anche se non era  all’altezza della Vigilia, mi riuscì proprio bene.Annaffiammo il tutto con un buon vino rosso che ci rese entrambi un po’ brilli.
William, così si chiamava, mentre faceva scarpetta con il pane mi disse che stava per laurearsi in Veterinaria e che poi sarebbe tornato in Scozia dove la sua famiglia aveva una fattoria.
”Un veterinario di campagna, come James Herriot, lo scrittore. Ed è anche un gran bel ragazzo” pensai. Ormai ero ubriaca e mi veniva da ridere per niente. Le cose peggiorarono quando William volle farmi assaggiare il vero whisky scozzese. L’ultima cosa che ricordo di quella sera è che, quando William vide il quaderno con i primi capitoli della mia storia che avevo iniziato a scrivere prima che lui bussasse alla mia porta, mi misi a leggergliela traducendola simultaneamente in inglese, fra scrosci di risate da parte di entrambi. Temo che lui purtroppo fosse abbastanza sobrio da aver capito tutto, ma me ne sarei vergognata solo il giorno dopo, perché ormai ero partita. Mi pare che alla fine mi baciò, ma non ne sono sicura, so solo che ci addormentammo sul divano. La mattina dopo William doveva partire per la Scozia per andare dai suoi, così ci salutammo in fretta.
Prima di uscire però lui memorizzò il mio numero di cellulare dicendo che mi avrebbe scritto e mi diede un rapido bacio sulle labbra. Sarebbe tornato per l’ultimo dell’anno perché era di servizio al pub disse, e allora avremmo potuto vederci. Rimasi a guardarlo mentre si allontanava con lo zaino in spalla, i capelli biondi lunghi e disordinati, così diverso dal mio ex marito sempre tanto perfetto e curato. Pensai che con Corrado non mi ero mai divertita così. Mi accorsi di contare con trepidazione i giorni che mi separavano dal suo ritorno e mi detti della sciocca: in fondo fra noi non era successo quasi nulla e bisognava tenere in considerazione il tasso alcolico che aveva accompagnato quei momenti. Forse era stato gentile con me perché gli avevo fatto pena rivelandogli la mia triste storia di giovane moglie tradita. Insomma, non era detto che gli piacessi e di sicuro non come lui piaceva a me. In quei giorni però mi mandò parecchi messaggi carini e foto della sua fattoria che mi fecero venire voglia di visitarla e finalmente, il 31 dicembre, mi chiamò per accordarci per quella sera. Decidemmo che l’avrei raggiunto al pub appena finito il turno al ristorante. Quando arrivai al locale William mi accolse con un sorriso radioso da dietro al bancone. Poi mi venne incontro e ci baciammo augurandoci buon anno, mi presentò i suoi amici e mi fece sedere al loro tavolo. Erano un’allegra compagnia e aspettai insieme a loro che William finisse il turno fra brindisi e risate. Finalmente arrivò l’ora di chiusura e uscimmo tutti dal pub. Faceva freddo e mi strinsi al braccio di William mentre, insieme al gruppo, ci avviavamo verso il centro. Qualcuno propose di tirare fino al mattino ma William mi sussurrò: «Ti va di andare a casa?» e io annuii. Così salutammo gli altri e restammo soli. «Non ricordo bene cosa è successo l’ultima volta che ci siamo visti» confessai.
«Nemmeno io» disse William «però so cosa succederà questa volta». Ridemmo e iniziammo a baciarci.
Sono passati cinque anni e adesso vivo nella campagna vicino ad Aberdeen con William e i nostri gemellini di due anni: Emma e Kevin. Lui fa il veterinario di campagna e io, questa volta, non ho rinunciato ai miei sogni: con l’aiuto dei miei ho aperto un ristorante italiano. Io e Corrado abbiamo divorziato in maniera pacifica e mi piacerebbe sposarmi di nuovo con una magnifica festa scozzese con pranzo nel mio ristorante. Prima o poi lo faremo. I genitori di William ci aiutano con i gemelli che crescono fra gli animali della loro fattoria. Mi sento completamente felice, con William posso essere me stessa e lui mi accetta per come sono ed è anche per questo che lo amo. Durante il mio matrimonio mi sentivo perennemente sotto esame e facevo di tutto per compiacere Corrado e adesso so che sbagliavo. Ora che sono io la proprietaria del ristorante ho deciso di concedermi un paio di settimane di ferie per il periodo natalizio per andare in Italia a trovare i miei, lasciando tutto nelle mani dei miei collaboratori. Siamo venuti tutti e quattro in Italia ed è di nuovo la Vigilia di Natale. Questo pomeriggio, mentre William è andato con mio padre a visitare il cane dei vicini, sono uscita per portare i gemelli ai giardini. Li ho messi sulla giostra che faccio girare piano fra i loro gridolini di gioia. Nel sedile accanto a quello di Emma c’è un bel bimbo di colore, un po’ più grande di loro, sorvegliato da un papà che conosco molto bene: è Corrado, il mio ex marito.
«Ciao Francesca, come stai?» mi dice.
«Ciao Corrado, bene grazie. Ma questo è il tuo bambino?».
«Sì, e questi sono i tuoi, immagino». Chiacchieriamo un po’ e io mi accorgo di non serbargli rancore. Mi sento così diversa da quella ragazza che faceva di tutto per essere la sua brava mogliettina.
«Allo studio le cose non funzionano così bene come quando c’eri tu. Sei una segretaria insostituibile». Io rido e Corrado continua: «Sei anche una moglie insostituibile e io sono stato un idiota a farti scappare. La storia con Silvana non era una cosa seria ma, dopo che te ne sei andata, ho incontrato Monica e abbiamo cercato di avere un figlio. Avevi ragione, la “colpa” non era tua, sono io che ho dei problemi. Così abbiamo finito per adottare Giuseppe che ho chiamato come mio padre».
Ci voltiamo verso i nostri figli che, nel frattempo, si sono stancati della giostra e stanno correndo verso il prato tenendosi tutti e tre per mano, con Giuseppe nel mezzo. «Hanno già fatto amicizia» dico sorridendo «È così facile essere bambini».

Pubblicata su Confidenze 52/2021

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