Io e Babbo Natale

Cuore
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Ho spesso ripensato a quella Vigilia di tanti anni fa, la prima senza la mamma, e all’uomo delle bancarelle. Fu lui a regalarmi il Pinocchio di gomma sbiadita. Mi servì per un attimo a ritrovare la magia dei giorni sereni. Non l’ho mai dimenticato

STORIA VERA DI LORENZO P. RACCOLTA DA GIOVANNA MORINI

Lo ritrovo per caso, un sabato che decido di riordinare lo stanzino. Era in fondo a una scatola di scarpe, tra biglietti d’autobus scaduti, matite senza punta e guanti di lana spaiati: un piccolo Pinocchio di gomma sbiadita che se lo stringi emette una specie di fischio soffocato. Rimango a guardarlo, tenendolo nel palmo della mano, e seguendo i ricordi mi ritrovo nella casa in campagna che papà aveva preso in affitto per passarci le feste di Natale. Avevo dieci anni, allora, e non capivo come mai papà avesse deciso che quel Natale dovessimo passarlo soltanto tra noi, in quella casa persa nella campagna. Forse lui credeva che un posto diverso ci avrebbe aiutati a stare un po’ meglio, ma si sbagliava; neppure l’albero di Natale che aveva addobbato nel grande soggiorno, riusciva a rallegrare l’atmosfera.

Quello era il primo Natale senza la mamma. Una mattina di sei mesi prima lei era uscita in bicicletta; se avesse preso la macchina l’incidente sarebbe capitato lo stesso? Dopo la disgrazia papà mi aveva portato da una dottoressa che voleva sapere che cosa provavo. Ma come poteva capire ciò che si prova quando all’improvviso ti dicono che la mamma non tornerà mai più a casa? Il dolore e la rabbia mi stringevano il cuore così forte che non riuscivo neppure a piangere. Come mai i momenti felici con la mamma non ero più capace di ricordarmeli?

Stavo guardando svogliatamente la tivù quando Matteo, il mio fratellino di quattro anni, mi avvertì che papà ci aspettava fuori; era la sera della Vigilia e voleva che andassimo comprare qualcosa di buono nel paese vicino. Dopo aver fatto la spesa ci ritrovammo in piazza dove si teneva il mercatino natalizio. Rammento che camminavo tra le bancarelle illuminate seguendo controvoglia Matteo e mio padre; fu quando loro due si fermarono a comprare dei biscotti, che la vidi, quasi nascosta tra gli altri banchi. C’era una grande scatola di cartone piena di vecchi giocattoli, come se li avessero abbandonati lì intere generazioni di bambini. Cominciai a frugare tra pupazzi, trenini e soldatini quando qualcosa che mi parve stranamente familiare, attirò la mia attenzione: un piccolo Pinocchio di plastica sbiadita. «T’interessa?» mi sentii chiedere dall’uomo dietro il banco. Alzai lo sguardo verso di lui: portava uno strano berretto con un pompon e, nonostante la piazza fosse illuminata, del suo viso riuscivo solo a scorgere gli occhi posati su di me. «Allora ragazzino, quel pinocchio ti interessa?» ripetè l’uomo. Aveva un accento con una cadenza insolita, quasi musicale. «Che me ne faccio? È anche rovinato» risposi, notando delle scalfitture sul naso del pupazzo.

Ero consapevole di essere stato sgarbato, ma adesso che ci penso, la mia maleducazione era un modo per allontanare un inspiegabile disagio. «Prendilo lo stesso, te lo regalo» mormorò l’uomo. Io esitai un attimo, poi senza ringraziarlo me lo misi in tasca e mi allontanai. Mentre raggiungevo mio padre e mio fratello, mi accorsi che continuava a guardarmi. Nonostante le cose buone, quella fu una cena triste, col papà che rispondeva a monosillabi alle domande mie e di Matteo. Prima di andare a dormire, il mio fratellino aveva voluto lasciare un bicchiere di latte e dei biscotti per Babbo Natale, poi quando si era addormentato, avevo aiutato papà a mettere i regali sotto l’albero.

Era ormai notte fonda, ma io non riuscivo a prendere sonno. Guardando Matteo che dormiva tranquillo nel letto, presi una decisione: la mattina dopo gli avrei spiegato che Babbo Natale non esiste, e che i regali sotto l’albero li aveva messi il papà. “Meglio che sappia la verità e non si faccia illusioni; tanto la realtà fa schifo e non c’è spazio per i sogni”, pensavo allora.

«Lorenzo, ti senti male? Ho visto la luce accesa», papà in pigiama era in piedi sulla soglia. Risposi che stavo bene, ma c’era qualcosa che continuava a tenermi sveglio: perché quel Pinocchio di gomma mi era parso così familiare? Corsi a prenderlo nella tasca della giacca a vento, e guardandolo attentamente alla luce della lampada, lo riconobbi. Con quel Pinocchio di gomma ci giocavo quando ero piccolo come Matteo; mi parve di scorgervi sopra il segno che un giorno feci col pennarello arancione, e quelle scalfitture sul naso sembravano proprio le impronte dei denti di Nic, il cagnolino che avevamo allora. Ma com’era possibile che fosse finito in quella bancarella?
Stringendo tra le mani quel vecchio pupazzo sentii tornare un ricordo… Era la vigilia di Natale di sei anni prima, Nic scondinzolava per la stanza e io, elettrizzato perché quella notte sarebbe passato Babbo Natale, facevo fischiare il Pinocchio di gomma che tenevo in mano. La mamma e il papà, seduti sul mio lettino, ridevano allegri e la mamma era proprio bella con quel vestito a fiori. Intorno a me tutto era pieno di gioia e di magia, da tanto non mi sentivo così felice e al sicuro. Di colpo il ricordo svanì. E finalmente in quella stanza estranea, nella casa in mezzo alla campagna, cominciai a piangere. Piangevo per la mamma, per i momenti con lei che non sarebbero più tornati. Piangevo anche per Nic, il cagnetto che morì l’anno dopo quando avevo sette anni. Più piangevo, più il dolore si scioglieva e faceva meno male. Asciugandomi gli occhi guardai Matteo che sorrideva nel sonno e mi sentii soffocare dalla tenerezza: non gli avrei detto che Babbo Natale non esiste. Non gli avrei portato via la magia di quella notte.

Tornai in soggiorno a sbocconcellare i biscotti destinati a Babbo Natale per far credere che li avesse mangiucchiati lui, e ripensando all’espressione di meraviglia sul viso del mio fratellino, per la prima volta dopo tanto tempo mi venne da sorridere. Mio padre, il giorno dopo, disse che quel Pinocchio di gomma non poteva essere lo stesso con cui giocavo da piccolo. Probabilmente mi era parso di riconoscerlo perché sentivo il bisogno di crederci. Ma io ho spesso ripensato all’uomo della bancarella e per tanto tempo ho creduto che stesse aspettando me. E che in quella strana sera d’inverno, forse ho incontrato Babbo Natale.

 

 

Pubblicato su Confidenze 1/2018

Foto: Istock

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