STORIA VERA DI MATTIA L. RACCOLTA DA SIMONA MARIA CORVESE
Lancio un’occhiata fulminea all’orologio del pc portatile che ho sul letto, dove campeggia la foto di mia glia con me al parco, sorridenti. Sono le nove, di sabato. Afferro lo schermo e lo chiudo con un colpo secco. Faccio scivolare le mie gambe giù dal letto e vado a sedermi al tavolino vicino alla finestra.
Abbasso lo sguardo sul vassoio della colazione, attratto dal profumo del cappuccino e della fetta di strudel che Viola ha appena sfornato, e sorrido. Non sfugge nulla ai suoi occhi, lei sa ascoltare, anche se non abbiamo scambiato molte parole in questi mesi. Senza una governante in casa trascorrerei la giornata rintanato nel mio studio, a lavorare e rimuginare sul passato. Scosto la tenda dalla nestra. Una patina di brina fa da cornice ai vetri e al davanzale. Dalle grondaie pendono ghiaccioli e nuvole di vapore caldo escono dai camini e dalle prese d’aria dei tetti. Sui marciapiedi alberi scheletrici sono bordati di neve che scintilla al sole. Le persone, avvolte in cappotti gon , sciarpe colorate e guanti caldi, camminano caute. Mi appoggio allo schienale della sedia e afferro la tazza di cappuccino. In pochi sorsi lo nisco e la rimetto sul vassoio. Stamattina ho bisogno di più caffeina per affrontare la giornata. Mi alzo dal tavolo ed esco dalla camera ma già in corridoio mi arrivano dalla cucina le inconfondibili note del Valzer degli occhi di neve del balletto Lo Schiaccianoci.
Mi fermo sulla soglia della porta e davanti a me una ragazzina piroetta in punta di piedi, a tempo con la musica. Rimango a bocca aperta. «Lei chi è?» mi volto di scatto verso Viola, che ha uno strofinaccio in mano. Corruga la fronte. «Mi dispiace. È mia figlia Elisa, mia madre oggi assiste un’amica in ospedale…» stropiccia il canovaccio, «non può occuparsi di lei».
Faccio scorrere lo sguardo sulla ragazzina e mi soffermo sul suo volto: avrà 13, 14 anni al massimo. Viola si asciuga le mani: «Ti assicuro che lei non influirà sul mio lavoro».
Ridacchio. «Pensi davvero che sia una mia preoccupazione?» mi passo una mano tra i capelli. «Sono sorpreso di aver trovato una persona che non conosco nel mio appartamento. Tutto qui».
Lei appende lo strofinaccio a un gancio al muro. «È per pochi giorni. Mia madre…».
La fermo con un gesto della mano. «Tranquilla, Viola. Va bene se lei sta qui». Mi volto verso Elisa e le sorrido. «Ciao, ballavi bene sulle punte. Studi danza?».
Un luccichio si accende nei suoi occhi. «Studiavo ma ho smesso».
Viola s’intromette. «Avevi bisogno di qualcosa qui in cucina, Mattia?».
Torno a guardarla. «Giusto, perché ero venuto qui?» un sorriso mi affiora sulle labbra. «Certo, sì, volevo un altro cappuccino, ma ho cambiato idea». Guardo Elisa: «Adesso avrei voglia di una cioccolata. La vuoi anche tu, Elisa?».
La ragazzina sgrana gli occhi e il suo sguardo si fa complice. Si volta verso la madre. «Posso anch’io, mamma?».
Un po’ più tardi, sono di nuovo nello studio. «Sforzati di frequentare le persone: la vita va avanti, che tu lo voglia o no. Non puoi trascorrere le feste rinchiuso in casa». La voce della mia socia rimbomba , mi affretto a togliere il viva voce dal cellulare appoggiato sulla mia scrivania e indosso gli auricolari. «Non ce la faccio a gestire da sola la scuola e il saggio di danza, devi venire anche tu».
Sbuffo. «Giulia, ti aiuto da casa. Il nuovo programma informatico che ho installato sul sito per le iscrizioni ai corsi funziona».
«Il punto è che non t’interessa entrare in contatto con le persone».
Premo il tasto degli auricolari e regolo il volume ma non trovo il livello che mi va bene. Quasi quasi faccio cadere la linea: l’insistenza di Giulia che s’intromette nella mia vita mi fa mancare l’aria. Emetto un respiro profondo. «Giulia, io non credo più nel futuro e nell’amore. Finiamola qui con questa conversazione».
Il suo tono di voce si fa più dolce. «Tu credi di non essere degno di essere amato o di non essere capace di nuovi sentimenti, ma t’innamorerai ancora».
Non replico. Se dicessi quello che penso, finiremmo a discutere. Tiro il lo legato al cellulare e stacco lo spinotto. «Va bene, verrò alla festa di Natale. Ma non aspettarti di vedermi gioioso con i ragazzi e i loro genitori» e chiudo la chiamata.
Mi guardo intorno: la casa è in ordine, potrei dare a Viola qualche giorno di ferie per stare con sua figlia ma sono io che non voglio rimanere solo. Giulia ha ragione: se mi isolo, non ricomincerò più a vivere.
È arrivata la sera della festa. Giulia mi viene incontro nella sala da ballo. Aggira i tavoli da pranzo con le loro tovaglie bianche, le posate lucide e spaziate, i coperti e i centrotavola con le rose di Natale. Mi si ferma accanto, ma guarda incuriosita Viola e le tende la mano. «Posso stringere la mano alla donna che è riuscita a portare qui stasera Mattia alla festa di Natale?».
«Le donne, vorrai dire» e punto il dito verso Elisa che sta accanto alla mamma. «Sono tutte e due appassionate di danza. Perché non fai conoscere a Elisa i ragazzi della classe di danza classica?». Intercetto lo sguardo di Viola che ha sgranato gli occhi. «Se non hai nulla in contrario, Viola».
Lei fa un passo indietro, a disagio. «Certamente » e guarda Elisa. «Vai pure, cara». Giulia ed Elisa si fanno largo tra il fruscio dei tessuti degli abiti da sera dei ballerini che volteggiano nella sala da ballo. I loro primi passi riecheggiano sul pavimento in legno lucido, ma le note della piccola orchestra che suona dal vivo coprono quelli successivi.
Un cameriere con un vassoio in mano ci offre dello champagne e noi lo prendiamo. Con la mano libera s oro il gomito di Viola. «Vieni, andiamo in un posto più tranquillo» e saliamo una scala a chiocciola fino al piano superiore del salone, protetto da una balaustra in ferro battuto lavorato ad arabeschi. Ci fermiamo su un balcone panoramico, curvo. Lo sguardo di Viola scorre verso i soffitti a volta con bordi smerlati e medaglioni in gesso, poi si abbassa verso le spesse tende di velluto sopra le grandi porte- finestre. «La sede che avete affittato per la festa è davvero elegante. Complimenti per il buon gusto».
Sorrido al suo sguardo esterrefatto. «Non insegniamo solamente danza classica. Abbiamo tante classi di danze standard, frequentate da adulti».
Viola annuisce e guarda assorta i lampadari di cristallo a più livelli, che scintillano nella luce soffusa. «Scusami, se sono diretto, Viola» non riesco a guardarla negli occhi, così mi concentro su quello che accade giù.
Una passerella color rubino scorre lungo lo scalone d’onore e una signora affonda i tacchi nello spesso tappeto nell’atrio. «Perché sei cosi protettiva verso tua figlia e non vuoi farle frequentare danza?».
Lei fa un respiro profondo. «Perché è epilettica».
Le applique sul muro alle nostre spalle gettano un caldo bagliore sul suo volto preoccupato. Alzo un sopracciglio: «La danza non presenta rischi in
più rispetto alle normali attività quotidiane. Fidati, è il mio lavoro».
Viola abbassa lo sguardo verso le bollicine dorate che salgono nella sua ûte di champagne. «Mi preoccupo di quello che le potrebbe accadere se avesse una crisi convulsiva durante le lezioni».
Bevo un sorso e appoggio il bicchiere sul tavolino accanto a noi. «Tranquilla, il nostro personale è preparato e abbiamo anche un defibrillatore nella scuola. Tu però non starle troppo addosso o non sarà mai capace di prendere le sue decisioni».
Seguo la traiettoria del suo sguardo giù, verso i camerieri che circolano tra la folla per offrire tartine o scambiare bicchieri vuoti con altri pieni.
«La cosa più importante è che Elisa sia felice. Non voglio che qualcuno la ferisca, Mattia» dice e sorseggia il liquido frizzante dalla sua flute.
«Non nasconderla per proteggerla». Da quassù l’armonia degli strumenti musicali ci giunge nitida, ma le voci delle persone sono ridotte a un mormorio.
«Mio marito mi ha lasciata qualche anno fa e io sto facendo del mio meglio per crescerla».
Come posso essere franco con lei, ma parlarle con tatto? Mi passo una mano tra i capelli: «Comprendo la tua paura: ero anch’io già divorziato da mia moglie quando ho perso mia figlia».
Lei deglutisce e appoggia il bicchiere sul tavolino: «Degli amici mi avevano detto che avevi perso una figlia e che ti eri isolato dal mondo. Ma non sapevano esattamente cosa era successo».
«È mancata all’improvviso, durante una lezione. E aveva fatto un cardiogramma di recente, nulla che potesse destare sospetti».
Viola si porta una mano alla bocca. «Mi dispiace».
Annuisco. «Ho cambiato casa: troppi ricordi dolorosi». Mi volto a guardarla dritto negli occhi. «Ho smesso di fare lezioni ai ragazzini: vedevo il pericolo ovunque e temevo che potesse accadere anche a loro qualcosa di brutto». L’allegro tintinnio dei bicchieri e delle posate, le risate di un gruppo di persone giù in sala, stride con il mio stato d’animo. Appoggio la mia mano sul dorso di quella di Viola e lei non la ritrae. «Volevo rimanere solo per il resto della mia vita: il dolore che provavo era l’unico modo che avevo per continuare ad amare mia figlia».
Lei mi fa una carezza. «L’amore non finisce: si trasforma».
Annuisco. «Tu e tua figlia siete state la scintilla che mi ha riportato alla vita». Una sensazione di calore mi s’irradia in tutto il corpo «Sei bellissima, Viola».
Mi chino verso di lei, a un soffio dal sfiorarle le labbra, ma mi ritraggo. Vorrei non curarmi del significato di un bacio, ma mi fa paura provare di nuovo queste emozioni dopo tanto tempo. Non si è ritratta ma non mi è neppure venuta incontro. Ci guardiamo negli occhi, con il fiato corto. Un lieve rossore le s’insinua sulle guance. «Scusami, devo andare. Non vedo più Elisa nella sala».
Mi schiarisco la gola. «Sì, anch’io devo andare».
Ho fatto bene a fermarmi? Non ha senso baciare qualcuno che non mi corrisponde. E se invece l’avessi baciata e Viola fosse rimasta proprio per questo? Allora stasera le cose sarebbero cambiate… Ho sbagliato tutto.
Qualche giorno dopo, apro la porta della cucina ed Elisa mi viene incontro, raggiante. «Buona Vigilia di Natale, Mattia! Lo sai che la mamma mi iscrive alla classe di danza classica?».
Sgrano gli occhi. «Ma è una bellissima notizia!».
Elisa ride e prende dal ripiano una scatola di palline colorate. «Vado ad addobbarti l’abete in salone: è ancora tutto spoglio».
Le faccio l’occhiolino. «Lascia qualche pallina anche a me da appendere».
Viola mi dà le spalle. Ha un pennarello rosso in mano e cerchia una data sul calendario appeso al frigo. Ci giriamo tutti e due verso il gorgoglio e il sibilo del vapore che fuoriesce dalla caffettiera.
«Ci penso io. Ne vuoi anche tu?».
Lei prende le presine per il manico bollente e me le porge. «Sì, per favore».
Prendo due tazzine e ci verso il caffè bollente. «Elisa ancora non lo sa, ma torno a insegnare danza classica».
Viola si sistema dietro l’orecchio una ciocca sfuggita allo chignon. «Sono contenta che tu abbia preso questa decisione. Mi piacerebbe se tu fossi il suo insegnante».
«Grazie per aver fiducia in me». Le lancio uno sguardo di sbieco, ipnotizzato dai suoi caldi occhi marroni.
Lei mi posa una mano sul braccio. «Elisa segue una terapia, ma ha ancora delle crisi epilettiche. Sai cosa significa, vero?».
Faccio fatica a riprendere il filo della conversazione. «Ho trasferito le mie ferite e paure sugli altri per troppo tempo, ma voi due siete persone per le quali vale la pena di affrontarle».
Ho lasciato che il timore di perdere un’altra persona governasse la mia vita e ora di tutti i ragazzi con cui posso ricominciare a insegnare, Elisa è proprio quella che può sentirsi male di fronte a me, in qualunque momento.
Ma adesso basta. Sono un bravo insegnante e se la ragazza dovesse sentirsi male, sono preparato a intervenire. Elisa e Viola mi sono troppo care e voglio prendermi cura di loro. Mi faccio serio. «Scusa per il mancato bacio di ieri sera».
Lei mi guarda negli occhi, con tutta la sua attenzione. «Ti capisco».
Prendo dalla scatola di latta sul ripiano un biscotto casalingo a forma di fiocco di neve e lo appoggio sul piattino della tazzina. Un delizioso profumo d’impasto lievitato è nell’aria. «Viola, io provo un sentimento profondo per te». Ci guardiamo tutti e due negli occhi, «ma non so se sarò mai pronto per una nuova vita sentimentale».
«Tu hai paura e anch’io, ma non posso aprirti il mio cuore, sperando che prima o poi anche tu lo faccia» dice. Prende anche lei un biscotto e distoglie lo sguardo. «Sono già stata lasciata una volta. Mattia, provo anch’io qualcosa per te, ma tu mi chiedi un’attesa incerta e io non voglio soffrire ancora».
Ora sono io a incurvarmi nelle spalle. Lei mi sfiora l ’avambraccio con una carezza. «I momenti che ho trascorso ieri sera con te ed Elisa sono stati meravigliosi». La sua mano indugia sul mio braccio e si stacca. «Ma?».
«Ci siamo lasciati trasportare dai sentimenti, ma non siamo ancora pronti. È meglio se ci comportiamo da amici». Ho paura ma non ce la faccio più a tenermi questo peso al cuore. Faccio un respiro profondo. «Io sto bene con te ed Elisa, ma mi sento anche in colpa» mi passo una mano tra i capelli. «Temo di voltare le spalle a mia figlia e mettere da parte il suo ricordo.»
Viola sgrana gli occhi. «È impossibile, Mattia. Il dolore che provi è profondo quanto il bene che le hai voluto. E tua figlia ed Elisa sono due persone diverse».
«Io credo… per me lei vive. Un giorno la riabbraccerò ». Ho il fiato corto, ma se non mi decido adesso, perderò Viola. «Anch’io dopo il divorzio ho fatto di tutto per non soffrire più, Viola, ma amare ed essere amati è la cosa più bella che possa capitare nella vita» i battiti del cuore mi accelerano. «Mettiamo da parte le nostre paure e apriamo i nostri cuori, un passo alla volta». Mi chino verso di lei, ci abbracciamo e ci baciamo.
Ora sono pronto ad accogliere questa seconda possibilità che la vita mi dona
Pubblicato su Confidenze 51/2024
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