Era la sera della vigilia

Cuore
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Quest’anno sono giù perché il conto in banca è un disastro. Sara e io possiamo fare a meno dei regali, però mi spiace non fare felice nostro figlio con qualcosa di bello. Poi, capita un’occasione. Che io, per un soffio, ho rischiato di perdere

STORIA VERA DI ANTONIO C. RACCOLTA DA ROBERTA GIUDETTI

 

Manca una settimana a Natale e ancora non sono riuscito a comprare nemmeno un regalo. Non è una questione di tempo, magari fosse quello, è una questione di budget. Il vil denaro che acceca l’animo, soprattutto quando non ce l’hai. Ti spinge a fare cose che di solito non faresti. Sono stanco, forse un po’ depresso. Non riesco a togliermi dalla testa il pensiero che non era questa la vita che avrei voluto offrire alla mia famiglia.
Ieri ho dato un’occhiata al nostro conto corrente e mi è venuto da piangere. Rata del mutuo e dell’auto, spese condominiali, bollette, dentista, gita scolastica fuori programma: non ce la posso fare. Non mi era mai capitato di arrivare a Natale senza poter fare un regalo decente a mia moglie e a mio figlio.

Mi ritrovo in centro e non so come ci sono arrivato. Ho freddo. Mi guardo attorno: ho la sensazione che le vetrine siano meno scintillanti degli anni scorsi, ma non è così. Sono io, io che guardo dentro ai negozi e rosico. L’invidia è una brutta bestia, lo so, e non sopporto di sentirmi così. Invidio tutti quelli che in questo momento non hanno i miei problemi.

Quelli che non devono disperatamente far quadrare i conti a fine mese. Che possono offrire alla propria famiglia un Natale da sogno. Lo sapevo che sarebbe stata più dura: quando l’anno scorso Sara è stata messa in cassa integrazione, ho cercato di tranquillizzarla, ci abbiamo riso sopra, ma sapevo che sarebbe stato più complicato.

«Ce la facciamo, vedrai! Avrai più tempo per te. Magari riesci a iscriverti a quel corso di pilates dove va la tua amica».

Al corso non si è mai iscritta e i 300 euro sono serviti per le bollette rincarate. Abbiamo continuato a sorridere. A fingere che tutto andasse bene o che si sarebbe sistemato di lì a breve. Abbiamo sempre condotto una vita morigerata ma a un certo punto abbiamo dovuto rinunciare a tutti gli extra: cinema, ristoranti, vacanze. Niente di niente. Che poi, Sara e io non abbiamo bisogno di chissà quali regali. Ma Gianluca, nostro figlio, ha quasi 17 anni. I suoi amici sfoggiano scarpe da calcio costose e cellulari ultimo modello. Abbiamo fatto molti sacrifici io e Sara per riuscire a mandare nostro figlio in quel liceo, convinti che una buona istruzione rappresenti sempre una marcia in più. Questo Natale avremmo proprio voluto fargli trovare sotto l’albero lo smartphone dei suoi sogni. Ma, ora come ora, dovrei rubare per poterglielo regalare. So che sicuramente c’è gente che sta peggio di noi ma questo non mi consola.

Cammino, e ormai le prime ombre del mattino avvolgono i miei passi. Non ho voglia nemmeno di entrare in quel centro commerciale dove so che qualche stupidaggine a basso costo la troverei. Mi sento svuotato. Mi assale la voglia di casa. Mi manca il profumo degli ziti al ragù e della pastiera di mia madre. Quel profumo che mi inebriava nei giorni che precedevano il Natale e che quest’anno non sentirò perché ovviamente non abbiamo i soldi per il viaggio. So che se ne parlassi a mia madre, mi manderebbe all’istante i suoi risparmi, ma non voglio. Non riabbracciare lei, i miei fratelli, sentirmi leggero e felice, circondato dalle persone che amo: questo mi mancherà davvero a Natale. Ma anche risparmiando su tutto, non ce la possiamo fare. Non è tanto per i regali in sé che non possiamo acquistare, è per la situazione. So perfettamente che Gianluca è un ragazzo in gamba, e se sotto l’albero troverà solamente una felpa sarà comunque felice e capirà. Lui capirà, ma io continuerò a sentirmi uno schifo. Perché i sacrifici sono diventati troppi. Salgo su un tram anche se non ho il biglietto, non so nemmeno in quale direzione sto andando. A un tratto, guardando fuori dal finestrino, mi sembra che alla fermata ci siano i controllori. “Anche questa no!” mi dico, e mi precipito verso le porte per scendere. Corro finché mi perdo. Mi ritrovo in un vicolo che non conosco. È ormai buio. Inciampo in qualcosa. Mi cade l’occhio su un fagotto: è una borsa da donna. Mi fermo, la raccolgo, la apro. Non ci sono documenti.

Nella borsa ci sono un fazzoletto di stoffa con delle roselline ricamate e un vecchio portadocumenti di pelle pieno di fotografie. Niente soldi. Nessun recapito. La borsa però mi sembra in buono stato per cui la porto a casa, deciderà Sara cosa farne.

Mia moglie la vede e scoppia a ridere. «Solo tu potevi portare a casa un reperto bellico simile! Mia nonna ne aveva una così». Anche Gianluca ride. Sara estrae il contenuto dalla borsa, lo dispone sul tavolo. Poi assume un’espressione concentrata e continua la sua ispezione. «La borsa di mia nonna aveva una tasca segreta proprio qui…». Strabuzza gli occhi e dalla fodera della borsa cucita sul fondo, tira fuori una busta. E dalla busta saltano fuori dei biglietti da 50 euro. Ci guardiamo basiti. Non diciamo una parola. Li contiamo: sono 600 euro. Una somma che non cambia la vita a nessuno. In questo momento però ci permetterebbe di fare un piccolissimo respiro. Un regalo a nostro figlio. I biglietti per andare a trovare mia madre. E per una frazione di secondo, anche due, il pensiero mi sfiora. L’occasione fa l’uomo ladro, quanto è vero.

Io e Sara ci guardiamo senza dire una parola, sa cosa penso: sono solo 600 euro.
Poi nostro figlio rompe il silenzio. «Ci sarà pur un modo per rintracciare la proprietaria di questa borsa» dice.

Mi riprendo all’istante e annuisco. Bravo ragazzo.
Gianluca inizia a osservare tutte le foto. Le guardiamo insieme, sorridiamo. «Deve essere una nonna» dice Sara.

«Una brava nonna orgogliosa dei suoi nipoti» aggiungo io. Foto di famiglia, alcune in bianco e nero. Di bambini in posa. Di persone sorridenti che si abbracciano. Poi, in una di queste foto, una splendida tavolata in un locale e si legge il nome del ristorante.

«Lo conosco!» dice Sara. «È in centro. Domani chiamiamo». Non ci mettiamo molto a trovare il nome e il recapito della persona a cui hanno rubato la borsa, ovvero la nonna dello chef di quel ristorante. Quando le riporto la borsa, mi abbraccia e mi chiama eroe. E non riesce a credere che

lo scippatore non si sia accorto della tasca segreta prendendo solo il portafogli.
«Avevo prelevato la mia pensione per fare le buste di Natale per i miei nipotini» precisa. «Come posso sdebitarmi?».

«Ci mancherebbe» rispondo. Tornato a casa, vado a dormire con il cuore leggero.
Vorrei potervi dire che la nonnina derubata era una milionaria che ci ha inviato una bella ricompensa, ma non è così. Nonna Lina però, questo il suo nome, ci ha ugualmente fatto un grande regalo: un invito a cena con i controfiocchi. Così io, Sara e Gianluca ci siamo vestiti eleganti e la sera della Vigilia siamo andati al ristorante stellato della foto e abbiamo trascorso ore indimenticabili insieme a nonna Lina. Abbiamo assaporato prelibatezze e brindato con spumante d’annata. Per una sera ci siamo scordati delle preoccupazioni sentendoci dei signori. A conferma che i soldi non sono tutto, ma tolgono certi malumori. Soprattutto a Natale. ●

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