Pranzi insieme a me?

Cuore
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Ho invitato Pietro pensando di fargli un favore, ma è stato lui a offrirmi qualcosa di importante: l’esempio che amare non è mai sbagliato. E che non possiamo restare prigionieri del passato

STORIA VERA DI SILVIA G. RACCOLTA DA BARBARA BENASSI

 

Vivo in un piccolo paese di provincia e lavoro da anni come cassiera in un negozio di orto-frutta e alimentari. Non fa parte di nessuna grande catena, ma si limita a vendere da sempre prodotti del territorio, non solo perché il proprietario è un fissato del chilometro zero, ma anche per i costi ridotti e i cibi genuini.

Ho messo piede per la prima volta nella bottega di Sebastiano a 18 anni per chiedere se avesse bisogno di un’apprendista e da allora non ne sono più uscita: se mi sarà concesso, cercherò di rimanerci il più a lungo possibile. Fin da subito qui mi sono sentita a mio agio. Mi piaceva sorridere alle battute dei ragazzi della scuola superiore, calmare i bambini con un lecca-lecca per facilitare gli acquisti delle mamme e ascoltare i racconti degli anziani che passavano volentieri da noi anche solo per fare due chiacchiere. Ma uno come lui non lo avevo mai visto. Arrivava solo il martedì e il giovedì verso le 11, pulito, in ordine, quasi elegante, e con calma faceva la spesa. Prendeva poche cose, prediligendo pane e verdure di stagione e concedendosi solo il giovedì un pezzetto di formaggio stagionato, il tutto sempre in quantità ridotte.

Al momento di pagare, mi riservava un sorriso tenero e io, dopo aver incassato, ogni volta gli rifilavo molti buoni acquisto in più di quanti gli spettassero. Lui rimaneva un momento a osservare il ricco bottino sul palmo della mano e poi mi ringraziava felice.Via via che il tempo passava avevamo anche iniziato a scambiarci qualche commento gentile.

«Oggi sei radiosa, Silvia» mi salutava.
«E lei Pietro sempre in forma» ricambiavo con brio. Piccoli complimenti, niente di particolare, ma che a poco a poco erano arrivati a scaldarmi il cuore tanto che con l’arrivo della stagione fredda, quando per terra si stendeva un velo di ghiaccio già dal mattino e l’aria si faceva color del piombo, avevo preso l’abitudine di aspettarlo. Un giorno avevo finito il mio turno e, prima di tornare a casa, deviai con il motorino per andare a sbrigare alcune commissioni. Mentre stavo posteggiando proprio davanti alla parrocchia di don Vincenzo, vidi il mio vecchietto composto, in fila con altri, in attesa di un pasto caldo. Quasi non riuscii a muovermi tanto ero stupita. D’istinto assai gli occhi per non rischiare di incrociare i suoi e metterlo in imbarazzo, ma fu questione di un secondo e i nostri sguardi finirono uno dentro l’altro. Non accennai un gesto, non un saluto, giusto il tempo di rimettere in moto il motorino e di filare via veloce lasciando perdere le commissioni, confusa e sconcertata.

Il giorno seguente il mio amico passò in negozio alla solita ora, acquistò pane, verdura e l’usuale pezzettino di formaggio del giovedì: come se nulla fosse, mi salutò con un sorriso sereno che mi sollevò non poco, ma che non mi dissuase dal passare in canonica per chiedere informazioni.

Don Vincenzo era uno di quei parroci attivi e ben inseriti nella comunità e subito capì di chi stavo parlando.

«Sì, Pietro è una persona distinta e gentile. Si è trasferito in paese da poco, non so da dove né perché, e tre sere a settimana viene qui a cena. Ora non ci sono solo i senza tetto a riempire la nostra mensa, ma tante persone che hanno perso il lavoro, piccoli commercianti e artigiani che hanno dovuto chiudere, e sempre più pensionati».
Il martedì successivo arrivò carico di nebbia e di pensieri scuri che si diradarono non appena vidi Pietro entrare in negozio.
«Ciao, come stai?» mi chiese sempre garbato una volta finita la spesa.
«Bene, grazie, solo che oggi ho la pausa tra poco e la mia amica non è venuta. Mi chiedevo se le andasse di mangiare qualcosa insieme a me tra cinque minuti» buttai lì con tutto il coraggio che avevo, consapevole della richiesta assurda e fuori contesto.

«Sicuro, con piacere, a patto che lasci che offra io!» mi sorprese Pietro con il suo sguardo da passero. Entrammo al caffè poco distante dalla bottega dove lavoravo e ci sedemmo al mio solito tavolino.

Come ogni giorno, c’era Luca al banco ad asciugare tazzine e bicchieri. Luca, un arcangelo caduto dal cielo con un sorriso da pirata, Luca che incomprensibilmente aveva una cotta per me, Luca che tenevo a distanza da sempre e che in quel momento si era materializzato al nostro tavolo per sapere cosa prendevamo.

Dopo aver ordinato, me lo scrollai dai pensieri e mi concentrai su Pietro.
«Lavoro da tanti anni al negozio e non l’ho mai vista». «Sei troppo giovane per parlare di tanti anni, comunque sì, mi sono trasferito da poco».

Pietro iniziò a raccontarmi di sua moglie, dell’amore profondo che li legava, della pena di non avere figli, ma comunque di una vita piena di gioia condivisa fino alla malattia fatale che gliel’aveva tolta. Era stata lei a esprimere il desiderio di riposare qui nel suo paese d’origine. «E io l’ho seguita. Qui le sono vicino, posso andarla a trovare, e quando verrà il mio momento potrò essere sepolto al suo fianco».

«Un grande amore».
«Sì, Silvia, un amore profondo che mi fa superare tutte le difficoltà che sto incontrando ultimamente. Sono un maestro in pensione, ho cresciuto generazioni di allievi e ancora oggi ne ricordo molti con affetto».

«Deve essere dura per lei» accennai con delicatezza. «Ho avuto delle spese e la mia pensione non basta più anche se faccio attenzione a ogni cosa. Ma sappi che la mia passione per i libri e il tuo sorriso mi fanno dimenticare tutto. Ma vedo che non sono il solo che lo apprezza…» affermò indicando con il mento il bancone del caffè. L’angelo caduto dal cielo era concentrato a passare un’ordinazione in cucina, mentre io arrossivo fino a soffocare e mi dibattevo per accennare un sorriso imbarazzato. «Chi Luca? Ma io non… Io no!».
«Lui sì, te lo assicuro» rispose Pietro con uno sguardo sornione.
«Io però non sono portata per le relazioni» balbettai abbassando lo sguardo.
«Quindi nessun fidanzato?» insistette lui caparbio.
«No, nessuno.Vede, mio padre ha lasciato me e mia madre per un’altra donna, un’altra famiglia, altri figli. Dopo la morte del nonno, l’unico uomo a cui abbia voluto bene con tutta me stessa, ho smesso di credere di essere interessante per gli uomini, dato che quelli della mia vita mi hanno abbandonata. Meglio lasciar stare».

«Be’ tuo padre lo ha fatto, tuo nonno, invece, non ha potuto scegliere di restarti accanto. E poi, credimi bambina, mia per vivere davvero bisogna liberarsi del passato e abbandonare la pretesa che le cose sarebbero dovute andare come avremmo voluto noi. Immagina di prendere un pullman per andare in un luogo dove sai che ti aspettano tante avventure: mentre sei in viaggio, il pullman si rompe, ma in qualche modo ce la fa a portarti a destinazione. Ora sei arrivata, ci sei, e invece di viverti ogni giorno le mille peripezie e concentrarti su come affrontarle, rimani a rimuginare sul fatto che il tuo pullman ha avuto dei problemi. Ti ha portata a destinazione? Sì, e allora basta, non puoi correggere il passato, il pullman rotto, ma puoi cambiare il tuo modo di vivere il presente. Quindi non rimuginare su tuo padre o tuo nonno e apri il cuore all’amore, Silvia. Ne vale la pena, te lo assicuro».

Pietro aveva colpito nel segno, tanto che feci appena in tempo ad asciugare una lacrima che mi scendeva lungo la guancia prima che Luca arrivasse con le nostre portate. «La devi aver amata tanto tua moglie se in suo nome sopporti tutto» ripresi con tono rauco appena fummo di nuovo soli.

«È stata la crisi economica, sommata ad altri problemi, a portarmi alla mensa della parrocchia se è questo che intendi» rispose Pietro senza giri di parole. «La chiesa fa tanto, ma penso che si potrebbe fare ancora di più per dare una mano a chi deve ricorrere agli aiuti alimentari. Negli ultimi anni di insegnamento avevo studiato con i miei alunni un sistema per recuperare molti alimenti che arrivano alla scadenza e non vengono consumati. Hai mai pensato a quanto cibo viene buttato ogni settimana da supermercati ed esercizi simili?» domandò mentre contava i soldi per saldare il nostro conto.

Restai a fissare Pietro fino a che non mi spiegò nel dettaglio ciò che insieme ai suoi scolari aveva studiato: da quel giorno ciò che ascoltai mi si piantò nel cuore, mise radici e, piano piano, germogliò.

Per prima cosa al lavoro convocai una riunione con il mio capo e i colleghi e cercai di illustrare al meglio la mia idea. «Abbiamo tanti alimenti prossimi alla scadenza, ma sempre buonissimi, che andranno buttati. Potremmo invece raccoglierli in pacchi e fissare un orario in cui chi lo desidera può venire in negozio per acquistarli a un prezzo simbolico. Un modo discreto per evitare a tante persone di passare per le strutture benefiche sentendosi anche utili nell’evitare gli sprechi. E noi avremmo piazzato prodotti che sarebbero stati gettati inutilmente».

Dopo alcuni giorni, coadiuvati da don Vincenzo, io e Pietro eravamo già al lavoro. In fondo era stato lui a ispirare ogni azione che era seguita al nostro pranzo e mi era venuto automatico di coinvolgerlo.

I pacchi venivano preparati e alle 19,30 in punto erano pronti per il ritiro. Stabilimmo un prezzo meramente simbolico e, come omaggio a coloro che passavano, davamo pane e pizza di giornata, così contribuivano ulteriormente allo smaltimento. Fu un successo. Arrivarono madri con bambini, signore anziane, tanti pensionati e persone indirizzate dalla parrocchia.

Quell’anno il Natale ci sorprese che eravamo nel pieno dell’attività e per questo decidemmo che avrebbe dovuto essere speciale perché ci sentivamo, a torto o a ragione, tutti un pochino migliori. Con lo staff, le famiglie e molti nostri clienti che utilizzavano i pacchi organizzammo un pranzo nella sala grande della parrocchia, accolti a braccia aperte da un don Vincenzo euforico.

Grazie a Pietro la vita del nostro piccolo paese era cambiata in meglio, e sempre grazie a lui anche la mia. Quel Natale arrivai in canonica sorridente mano nella mano con Luca, felice di aver trovato il coraggio di lasciare il passato alle spalle permettendo all’arcangelo di entrare nella mia vita e con lui tutto l’amore che l’avrebbe resa piena e degna di essere vissuta. ●

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