Fiera di essere testarda

Cuore
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Vi riproponiamo sul blog “Fiera di essere testarda”, pubblicata sul n. 45 di Confidenze, è la storia più votata della settimana sulla pagina Facebook

 

Sapete qual è il mio sport preferito? Il motocross. E pazienza se qualcuno lo trova strano, visto che sono nata senza braccia e con una gamba non sviluppata. Ho imparato sulla mia pelle che una disabilità può trasformarsi in punto di forza

Storia vera di Nadia Luricella raccolta da Lorenzo Iero

 

Una volta, mentre parlavo con una signora in fila al supermercato, le avevo rivelato che il mio sport preferito è il motocross. Lei mi aveva rivolto uno sguardo tra l’imbarazzato e il perplesso: «Sta scherzando, vero?». Considerava la cosa impossibile. Riuscivo a leggere i suoi pensieri: “Come fa una ragazza senza braccia e con una protesi alla gamba a correre su una moto?”.

Nonostante ciò, non mi ero lasciata intimorire dal suo pregiudizio e le avevo risposto con orgoglio: «No, signora, non scherzo. Non le dico l’ebbrezza che provo quando salgo sulla moto. L’aria che muove i capelli, la velocità che dà quasi la sensazione di volare… L’unica differenza è che a portare la moto c’è un bravissimo istruttore proprio dietro di me».

Uno dei luoghi comuni più difficili da sradicare sui disabili è che la loro vita sia complessa, piena di barriere e privazioni. Per me, che sono una siciliana testarda doc, non è mai stato così: non riuscire a fare una cosa nel modo convenzionale non impedisce di farla, basta usare un metodo alternativo.

Mi chiamo Nadia, ho 26 anni e sono nata a Racalmuto, in provincia di Agrigento. A causa di una rara malformazione chiamata focomelia sono nata senza braccia e con una gamba non sviluppata. Da ragazzina mi vergognavo di farmi vedere sui social e pubblicavo solo foto del mio viso. Non perché non mi piacessi: io mi sento bellissima e non mi sono mai posta il problema di essere vanitosa. Però avevo il timore che le persone si soffermassero troppo sulla mia condizione e mettessero in secondo piano la mia bellezza. Col tempo ho capito che una disabilità non rende una donna meno desiderabile, né costringe necessariamente gli altri a provare pena. Ognuna è bella a modo suo e l’unico vero limite è quello mentale: superarlo è indispensabile per vivere serene con se stesse. Quando finalmente me ne sono resa conto, ho pubblicato foto che mi ritraevano a figura intera.

Prima che io e mia sorella gemella nascessimo, il dottore non aveva riscontrato alcun tipo di problema nel mio sviluppo. È stato solo al mo- mento del parto che mia madre ha ricevuto la bella sorpresa: niente braccia per Nadia! In più, la mia colonna vertebrale era curvata e parte degli arti inferiori non erano sviluppati. Superato il turbamento iniziale, i miei cari mi hanno sempre dato il loro sostegno, trattandomi alla stessa maniera di Sara, la mia gemella. Forse è per questo che non ho sentito il peso della mia condizione. Loro erano consapevoli degli ostacoli che avrei dovuto superare, mentre io pensavo solo a giocare con gli altri bambini. Perché avrei dovuto preoccupami? Per me era una cosa normalissima fare tutto con i piedi: mangiare, truccarmi, scrivere. Posso confermarvi che la natura sa quello che fa e, se c’è qualche lacuna, interviene l’adattamento. Che io ricordi, non ho mai subito atti di bullismo per la mia condizione, ma a volte penso di essere stata fin troppo fortunata: da bambina i miei compagni facevano addirittura a gara a chi si doveva sedere accanto a me. Grazie a tutte le figure di supporto che ho avuto, sono cresciuta come una ragazza qualunque. Anche io sono stata fan sfegatata dei Tokio Hotel e non perdevo una puntata di Buffy e Vampire Diaries. E come tante altre, ho avuto anche io qualche delusione amorosa.

Anche se non ho mai subìto angherie, ho ricevuto sguardi invadenti che accendevano insicurezze e abbassavano la mia autostima. Pensavo che se gli altri mi vedevano disabile, allora forse lo ero davvero, e mi sentivo in difetto di qualcosa. Col tempo, però, ho capito che la disabilità esiste solo negli occhi di chi non sa vedere oltre. Mi sono resa conto di potercela fare quando, nel 2016, ho intrapreso un percorso per rimettere le protesi e ho imparato che se mi viene detto che sono testarda, posso sempre rispondere: «Grazie. Sono fiera di esserlo».

Bisogna seguire i nostri sogni, anche se si scontrano con quelli delle persone che ci sono vicine, perché poi sarà più bello far cambiare loro idea. Grazie alla protesi ho raggiunto una nuova consapevolezza: tendiamo sempre a nascondere la parte del corpo che odiamo, ma se ci fermassimo a riflettere, comprenderemmo che possiamo modificare quello che non ci piace, almeno ai nostri occhi, se non materialmente. Basta cambiare la percezione e una menomazione può trasformar- si in un punto di forza. Occorrono tanta buona volontà e una discreta dose di menefreghismo. A me sono bastati un paio di collant effetto “tatuaggio” per far sì che la protesi diventasse fashion ai miei occhi.

Prima di iniziare a fare sport avevo un grave problema posturale, ma io, testarda come un mulo, ho trovato una palestra che ancora oggi mi segue. Nella vita tutti abbiamo un Everest da scalare ed è importante non rinunciare all’impresa spaventati dalla prima bufera.

Lo sport ha contribuito a migliorare la percezione che avevo di me, del mio corpo e a sentirmi meno insicura davanti allo specchio.
Nel 2019 ho messo delle nuove protesi! Sì, ho avuto delle braccia anche se, per truccarmi, continuo a usare il piede sinistro: è più semplice ed è un’abitudine che ormai fa parte di me.

Una volta ottenute le braccia e la gamba, ho pensato di festeggiare a modo mio andando in moto, ovviamente! Non sai quanto sei forte fino a quando esserlo non diventa la sola scelta che hai. Quando mi proposero di diventare socia di MotorLife, l’associazione che organizza gare speciali di motocross per giovani disabili, all’inizio avevo il timore di non riuscire a mantenere l’impegno. Per chi non lo sapesse, la mototerapia è un’attività che serve per stimolare chi soffre di disabilità: ha un grande effetto terapeutico salire su una moto e sfrecciare a tutta velocità con il vento in faccia. È un emozione indescrivibile.

Questa esperienza è possibile ormai da qualche anno, grazie a Vanni Oddera, il campione di motocross che ha pensato di aiutare le persone disabili portandole con sé in moto per regalare loro momenti spensierati.

Ogni volta che salgo sulla moto mi sento imbattibile. Questo sport rappresenta la mia voglia di abbattere ogni barriera, fregandomene di quello che per tutti può essere la normalità. Il mio prossimo obiettivo è trovare un lavoro che mi renda indipendente. Non voglio demoralizzarmi al primo inciampo perché sono sicura che con la mia determinazione riuscirò a raggiungere anche questo risultato.

E poi, perché no, sogno di trovare un compagno. In fondo sono bella, di complimenti ne ricevo molti. E se i ragazzi di oggi sono intimoriti e non fanno il primo passo, non è certo per la mia disabilità: sono le donne forti a fare questo effetto. L’importante è non incontrare un testardo come me, altrimenti sai che scintille!

 

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