La storia “Lettere d’amore dalla sterilizzatrice” che trovate su questo numero di Confidenze è frutto del nostro laboratorio scrittura Confylab che, dopo il successo della prima edizione, torna in una nuova edizione (seguite la nostra presentazione in diretta Facebook il prossimo 10 giugno).
Il racconto, dal titolo un po’ surreale, ci porta a riflettere su un dato di fatto: la morte delle lettere d’amore.
Sparite dalla circolazione (se non come genere letterario dove si spazia da Stendhal a Sartre, da Leopardi a Kafka) sono state nell’ordine sostituite da: telefonate (quelle con l’apparecchio fisso, intendo) email, Sms e WhatsApp. Insomma spazzate via dall’era digitale che impone comunicazioni sempre più brevi e sintetiche, dove i sentimenti e le emozioni sono compressi nello spazio di un emoticons (alzi la mano chi le conosce tutte e ne sa distinguere il significato… io ho sempre paura di sbagliare).
Così nessuno prende più carta e penna per dichiarare l’intensità dei propri sentimenti, se non magari nella quiete della propria stanza e senza trovare il coraggio di imbucare la lettera.
Faccio parte di una generazione che per ragioni anagrafiche di lettere d’amore ne ha scritte e ricevute, se non altro perché nella mia adolescenza non esistevano ancora le comunicazioni cellulari e con la fine della scuola e l’inizio delle lunghe estati si poneva il problema di restare in contatto con i fidanzatini. E allora per i più romantici quale strumento migliore della lettera?
Volete mettere la trepidazione dell’attesa e l’emozione nell’aprire una busta, giunta magari dopo giorni e giorni di viaggio? E poi sì, diciamolo, nella scrittura l’animo umano riesce a trovare una profondità e una capacità di aprirsi raramente eguagliabili in una dichiarazione d’amore verbale.
E d’altronde lo testimoniano le lettere d’amore più belle passate alla storia: Leopardi che scrive a Fanny Targioni Tozzetti (ne abbiamo parlato su Confidenze di recente) Frida Kahlo che si rivolge al suo Diego Rivera con “la mia notte è un cuore ridotto a uno straccio” (Lettere Appassionate, Abscondita, 2002) ); Ernest Hemingway che intrattiene una corrispondenza epistolare (e probabilmente un amore platonico) per trent’anni con Marlene Dietrich e persino l’austero Giuseppe Verdi che nel 1842 scrive a Emilia Morosini: “Io sono sempre tenero, appassionato, ardente, mezzo morto per lei…”
Insomma c’è un lungo elenco di “insospettabili” di cui sono giunte testimonianze di passione inaspettate e mai sopite, scolpite nella carta e con l’inchiostro. Una volta ricevute, le lettere venivano infatti gelosamente conservate e custodite per diventare all’uopo anche un’arma di ricatto verso l’amato. Altro che selfie e foto sexy della ex fidanzata da sbertucciare sul web… Quanta eleganza in più…scusate.
Ma siccome i tempi cambiano e non possiamo farci niente, ai nostri figli che affidano i loro palpiti d’amore ai “dlin” di WhatsApp o Snapchat potremmo dire di scoprire lo stesso il piacere di lasciare qualche bigliettino al loro amato o amata, un pensiero che non viaggi solo sui bit della comunicazione cellulare e di non vergognarsi a farlo. Perché come scrive Fernando Pessoa di cui vi riporto una celebre poesia, “solo coloro che non hanno mai scritto lettere d’amore sono ridicoli”.
Tutte le lettere d’amore sono
ridicole.
Non sarebbero lettere d’amore se non fossero
ridicole.
Anch’io ho scritto ai miei tempi lettere d’amore,
come le altre,
ridicole.
Le lettere d’amore, se c’è l’amore,
devono essere
ridicole.
Ma dopotutto
solo coloro che non hanno mai scritto
lettere d’amore
sono
ridicoli.
Fernando Pessoa
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