Se vi hanno diagnosticato la sindrome dell’intestino irritabile saprete già che si tratta di un disturbo di carattere funzionale (ovvero una semplice alterazione del normale funzionamento dell’intestino, senza danni d’organo), assolutamente benigno, ma che tuttavia può impattare severamente sulla qualità di vita.
I sintomi della sindrome dell’intestino irritabile (anche chiamata con il solo acronimo di SII o IBS, dall’inglese irritable bowel syndrome) risultano infatti non di rado assai fastidiosi e a volte obiettivamente pesanti da sopportare. Spaziano dai banali brontolii intestinali (definiti “borborigmi”), al meteorismo e alla pancia gonfia, al discomfort addominale, al vero dolore. E ovviamente all’irregolarità nell’evacuazione: ci sono SII di tipo stitico, altre a predominanza diarroica, altre ancora a carattere misto, in cui si verifica un’alternanza di momenti di costipazione intervallati da altri contrassegnati da emissioni ripetute di feci liquide o comunque non ben formate (si parla in questi casi di “alvo alterno”).
La sindrome del colon irritabile è una condizione patologica cronica, nella quale a periodi sintomatici possono seguirne altri di normalità e assenza di disturbi. Nel tempo, per di più, le manifestazioni cliniche della SII tendono a cambiare e non sono rari i pazienti che diventano stitici dopo anni, o addirittura decenni, di evacuazioni eccessivamente frequenti.
Chi presenta questo disturbo gastroenterologico sappia che si trova in buona compagnia: solo in Italia sarebbero almeno 6 milioni le persone che soffrono della sindrome dell’intestino irritabile, 2 dei quali in una forma severa.
La brutta notizia è che ignoriamo quale sia la cura definitiva dell’IBS e, a dire il vero, nemmeno ne sono certe le cause: una delle ipotesi più accreditate è che la responsabilità sia di un anomalo “dialogo” tra sistema nervoso e muscolatura intestinale e un’aumentata sensibilità viscerale. La notizia bella è che oggi conosciamo approcci in grado di cambiare la storia del colon irritabile, tenendo la patologia sotto controllo, alleviandone i sintomi, prolungando i periodi di benessere tra una “crisi” e l’altra, insomma facendo in modo che l’intestino ipereccitabile non dia più segni così vistosi di sé.
Mi piace segnalare che, tra le strategie più efficaci per il colon irritabile, le modifiche alimentari conquistano il gradino più alto del podio, offrendo spesso risultati persino più lusinghieri di quelli delle terapie farmacologiche, a fronte di un minor rischio di effetti avversi.
Attualmente viene tenuta in prioritaria considerazione la dieta FODMAP, un’alimentazione specifica che modula, per periodi limitati, l’assunzione di cibi ricchi di carboidrati a catena corta (sorbitolo, mannitolo e diversi altri). Questi zuccheri risultano difficili da digerire, vengono poco assorbiti dall’intestino tenue e quindi fermentano nell’intestino crasso a opera dei batteri qui residenti, dando così origine alla sintomatologia della SII.
Nonostante l’alimentazione a basso contenuto di FODMAP (dieta low-FODMAP) costituisca un valido approccio terapeutico, la dieta del soggetto sofferente di intestino irritabile in genere richiede particolari adeguamenti: i cibi all’origine della sensibilità intestinale variano da individuo a individuo e impostare l’alimentazione di chi è affetto da SII diventa un’opera di tipo “sartoriale”, un lavoro fatto su misura, individualizzato in base alle caratteristiche psicofisiche del soggetto, al suo stile di vita, ai fabbisogni di nutrienti, all’eventuale compresenza di altre malattie e terapie farmacologiche.
Disponiamo ormai di tante conferme scientifiche che dimostrano che una dieta personalizzata per la sindrome dell’intestino irritabile ha elevate probabilità di offrire risultati in un significativo numero di pazienti e di rappresentare una soluzione capace di migliorare la qualità della vita delle persone che ne soffrono.
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