La cattiva strada di Sébastien Japrisot

Cuore
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Più che un romanzo è una poesia, una preghiera d'amore e una sfida oltre le convenzioni

“Voglia di Denis. Voglia di baciarlo, di accarezzarlo, di essere sua. Voglia di vederlo, di sentirlo ridere, di sentirlo parlare del loro amore. Ridere, parlare, muoversi con la vivacità di una bambina felice. Il rimorso, una stretta al cuore. La felicità, il mio cuore premuto contro il tuo. Lontano da te, il mio cuore sprofonda nella notte. ‘Denis, angelo mio’, gli disse una volta ‘non riderò più delle poesie da cartolina, delle canzoni d’amore, dei cuori incisi sul tronco di un albero, ora lo so, parlavano di noi’. 

La spossatezza, la tristezza della prima sera, quella sorta di disgusto nei confronti di se stesso, rimasero incomprensibili per Denis. Forse era quello che succedeva a tutti. Ma poi l’amore tornava limpido come il cielo. Lei aveva slanci meravigliosi, gli si abbandonava con una tenerezza che riaffiorava in lui in ogni istante, tanto che in classe, o a casa, aveva sempre l’aria trasognata. ‘Denis ha la testa tra le nuvole’ diceva suo padre. E ben presto si sorprese a dire come lei: ‘Sai una cosa?’, davanti ai suoi compagni, o, per spiegarsi meglio, a inquadrare il vuoto con le mani, come faceva lei. 

Aprile passò, i bagnanti sulla spiaggia si infoltirono e così pure le foglie sugli alberi. Il sorvegliante della terza divisione cambiò. Le classi si calmarono e anche Denis era più tranquillo. Dio è morto? Esiste qualcun altro oltre a noi? A noi due insieme? Dio è morto. Esistiamo solo noi”

Che belle, le stanze che la letteratura ci concede di abitare! Sono stanze libere dalla mobilia scomoda dei nostri rimpianti, dei nostri pregiudizi: tra le pagine torniamo puri, pronti ad ascoltare, pronti a gioire, pronti a piangere. I libri ci rimettono al mondo, sono una terapia fortissima contro l’incupimento da inettitudine esistenziale.

Ecco, immaginiamo di svegliarci un giorno e di ricevere una telefonata. Una nostra amica in lacrime ci racconta che suo figlio, neanche 14 anni, ha una relazione con una donna di 26. Che questa donna è una suora. Che il ragazzo insiste nel dire che non è stato plagiato, che è amore, che vuole condividere con lei i loro due ‘sempre’. Immaginiamolo. Cosa diremmo? Come reagiremmo? Presteremmo ascolto alle ragioni del giovane e a quelle della donna?

Domanda retorica: ovviamente no. Diremmo che lei è pazza, deviata, pedofila. Che lui è una vittima, un martire.

Nelle stanze in cui ci ospita la letteratura, le stesse dove si consuma l’amore tra Clotilde e Denis, siamo spogli. Non abbiamo addosso l’armatura della paura, della vergogna; non ci pesano, spaccandoci le ossa della meraviglia e dello stupore ‘buono’, tutte le nostre rinunce fatte in nome di quanto è socialmente opportuno.

“Fosse anche la cattiva strada, l’abbiamo presa insieme. E da questo punto di vista siamo sulla buona strada. Custodiremo il nostro amore”. Questo si dice Clotilde, quando sceglie di scegliere, quando guarda dritto in faccia il suo cuore e non trova la Croce ma il sorriso di Denis.

Questo romanzo, ambientato durante la Seconda Guerra Mondiale (e davvero strepitosa, politicamente forse scorretta ma formalmente molto coraggiosa, è la lettura che di quegli anni tetri e tremendi fanno i due amanti), è una poesia. È una sfida. È una preghiera d’amore. È un volo. È un Paradiso. Dove, sono certa, Dio ha accettato di cedere il suo trono.

 

Sébastien Japrisot, La cattiva strada, Adelphi

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