La prima cotta non si scorda mai (neppure la seconda)

Cuore
Ascolta la storia

Già da bambina il mio cuore andava in subbuglio. Anche se la prima cotta (e la seconda) avevano oggetti del desiderio irraggiungibili

Nell’articolo E tu, ti ricordi la prima cotta? (su Confidenze in edicola adesso), sei lettrici raccontano i giochi di sguardi adolescenziali scambiati con il ragazzino conosciuto al mare, sui banchi di scuola o con il vicino di casa quando ancora non sapevano bene cosa significasse innamorarsi.

Alcune, poi, hanno effettivamente avuto una storiella con l’oggetto del desiderio di allora. E una, pensate, l’ha addirittura sposato (complimentoni per la costanza e la stabilità sentimentale!!!).

Se vado indietro con la memoria io, invece, mi accorgo che a scatenare i miei primi batticuore sono stati scatenati uomini del tutto irraggiungibili. E quando dico “uomini” non sbaglio: già a cinque anni, infatti, non ero particolarmente interessata ai coetanei, ma orientata verso gente più grande.

Attenzione però: da bambina non ero una Lolita pronta a irretire il vecchiaccio di turno. Semplicemente, prendevo sbandate clamorose per personaggi dello spettacolo che vedevo in televisione o al cinema.

Così, il mio primo grande amore è stato Gianni Morandi. Bello come Adone sulla sua Mini Cooper bianca nello spot della benzina.

Ve lo ricordate? La scenetta si svolgeva in questo modo: Morandi si fermava al distributore, evidentemente in riserva sparata. Scendeva dall’auto tirando un sospiro di sollievo e ravvivando con la mano il ciuffo ribelle scompigliato dall’aria del finestrino aperto (l’aria condizionata sulle auto piccole non era ancora minimamente prevista). Quindi, sorridendo chiedeva il pieno.

Dopodiché, con quel fare amichevole che gli appartiene ancora oggi, ringraziava il benzinaio. Prima di risalire a bordo guardava in camera (nella mia fantasia si rivolgeva personalmente a me). Diceva: «Fai il pieno con Esso». E ripartiva con la zazzera al vento e il gomito fuori (fighissimo!).

Nel frattempo io, con il cuore in subbuglio, mi vedevo con la fede al dito, pronta a diventare la mamma di un nugolo di marmocchi (suoi), che presto avrei mandato a… prendere il latte.

Naturalmente quel sogno d’amore non ha avuto un seguito (neanche un inizio a dir la verità). Perciò, per evitare di massacrarmi di dolore ho dovuto indirizzare il cuore in un’altra direzione. Che mi portata dritta, dritta a Terence Hill. Il quale è riuscito a scaravoltare le tradizioni natalizie della famiglia Di Giorgio.

Nel pomeriggio della vigilia, infatti, andavamo sempre al cinema a vedere un cartone animato. Abitudine abbandonata con l’avvento degli spaghetti western con protagonista il bel Terence, “conosciuto” in occasione della proiezione di Lo chiamavano Trinità.

Correva l’anno 1970. Io ne avevo sei. Eppure, ero già pronta a giurare amore eterno al bel biondino dagli occhi azzurri, neanche fossi la più devota delle spose bambine.

La “nostra storia”, vi dirò, è durata parecchio. Sette lunghi anni (fino all’uscita del film I due superpiedi quasi piatti, nel ’77) che mi hanno vista trasudante di passione, con la camera tappezzata di poster, ritagli di giornale, adesivi che pubblicizzavano le sue pellicole.

Insomma, quella non è stata una semplice cotta, ma si è trattato di  una passione travolgente. Che ha rivelato la mia indole fedele già da allora, perché sentendomi in coppia con il signor Terence Hill, non ho mai degnato di uno sguardo il mio primo ammiratore in carne e ossa.

Si chiamava Pinuccio, a detta della mamma (io lo ricordo vagamente) era un bulletto in erba abbastanza strafottente nonostante la tenera età (quella delle elementari), deciso a far breccia nel mio cuore. Missione impossibile, perché batteva già all’impazzata per Trinità.

Confidenze