La primavera del cuore

Cuore
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Vi riproponiamo sul blog La primavera del cuore, pubblicata sul n. 13, è la storia vera più votata della settimana

 

«Vedrai, all’inverno segue sempre la stagione della rinascita e sarà un nuovo inizio» mi diceva nonna Ester. Era difficile crederle in quel momento: ero senza lavoro, delusa dall’amore e in crisi con la mia famiglia. Eppure, oggi so che aveva ragione lei

STORIA VERA DI MIRKA V. RACCOLTA DA BARBARA BENASSI

 

Mi accarezzo la pancia, è bella rotonda, ormai manca poco al parto. Nostra figlia nascerà a breve e non posso fare a meno di pensare a mia nonna Ester che c’è sempre stata per me, in ogni momento, soprattutto in quelli difficili, soprattutto dopo Lanfranco. A ripensare a lui, adesso, mi sembra sia passato un secolo, invece tutto è successo solo due anni fa. Se quel giorno la famiglia dove seguivo Luca, un bambino con difficoltà di apprendimento, non mi avesse annunciato di averlo inserito in un programma speciale e che di conseguenza la mia collaborazione non era più necessaria, probabilmente questa storia sarebbe stata diversa. Soprattutto perché, sconvolta, non sarei corsa a casa prima del solito. Molto prima. Varcai la soglia dell’appartamento con quasi tre ore di anticipo e questo non era stato previsto né da Lanfranco né dalla mia amica Linda. L’immagine dei loro corpi avvinghiati sul letto, le facce stravolte, le urla imploranti, si mescolarono in un’unica nebulosa tossica che lì per lì mi impedì di pensare. Quello che oggi è un ricordo lontano allora fu un dolore forte e vivo. Scappai via dopo aver buttato qualcosa alla rinfusa dentro una valigia, per cercare aiuto nell’unico posto dove da sempre sapevo di poterlo trovare: tra le braccia di mia nonna Ester.

Dopo un viaggio in macchina di circa un’ora mi presentai da lei. Le raccontai tutto, provando rabbia e vergogna nel ripetere le parole pronunciate da Lanfranco mentre mi rincorreva. Sosteneva che in fondo fosse anche colpa mia se era finito nelle braccia di Linda, che lei lo faceva sentire importante e che lui era disposto a darmi una seconda possibilità se solo mi fossi fermata ad ascoltarlo. Linda invece non aveva aperto bocca, si era limitata a correre in bagno e a chiudersi dentro. Mia nonna mi lasciò parlare e solo alla fine del mio racconto fu lapidaria.

«Dimentica entrambi, non sono persone che possono stare al tuo fianco».
Decisi di fermarmi qualche giorno e con tutte le mie forze mi aggrappai a quella donna piccola e forte. Nessuna era come lei. Mia madre, succube di mio padre, autoritario e dispotico, non riusciva a farsi valere e a esprimere il suo affetto con autenticità e mia sorella Sara, dalla quale una volta ero inseparabile, era diventata inspiegabilmente fredda e distaccata. Lei aveva sempre goduto del pieno appoggio di mio padre e non aveva certo bisogno di rifugiarsi da nessuno. Sì, perché mia sorella era avvocato, felicemente sposata e con due splendidi figli. Mentre io ero la pecora nera, nubile e con il sogno strampalato di poter coniugare l’insegnamento con la mia passione per il teatro. Attività a dir poco disdegnate da mio padre, ma non da mia nonna che da sempre mi supportava come poteva.

«Starai qui tutto il tempo che ci vorrà per rimetterti in sesto. Avvertirò io i tuoi. Vedrai, all’inverno segue sempre la primavera e ci sarà un nuovo inizio, mia cara» disse accarezzandomi i capelli.

Nel giro di una settimana mi ero inserita nel ritmo della sua vita quotidiana. L’aiutavo nelle faccende, nel giardinaggio, facevo la spesa con lei e spesso l’accompagnavo al centro yoga e a giocare burraco, sua grande passione.

Una sera mi telefonò e pretese, cosa insolita, che l’andassi a prendere al circolo. La trovai insieme alla sua compagna di gioco intenta a disputarsi la vittoria con un uomo anziano e uno molto più giovane. Non appena conclusa la partita, mia nonna passò alle presentazioni. Scoprii che Nino e Massimo erano anche loro nonno e nipote. Una volta in macchina, nonna Ester si disse molto soddisfatta di avermi presentato Massimo. «È un ragazzo gentile e intelligente. Ha perso la moglie tre anni fa e ha bisogno di ricominciare a vivere. Anche per lui l’inverno dei sentimenti deve finire, non credi?» mi domandò con un’espressione maliziosa. Non le risposi, mia nonna sapeva vedere lontano mentre, in quel periodo, la mia visuale non andava oltre il mio naso. Confesso però che quel ragazzo alto, con i capelli tirati dietro le orecchie e un’espressione triste persa negli occhi, mi colpì molto.

Dopo alcuni giorni, nonna Ester pretese, altra cosa strana, che andassi al supermercato per procurarle alcuni ingredienti mancanti per la crostata e qui, guarda caso, incontrai nuovamente Massimo. Ci salutammo e iniziammo a chiacchierare del più e del meno in piedi con le buste in mano, per poi finire seduti davanti a un caffè.

Mi disse di abitare vicino a suo nonno e di essersi trasferito lì quattro anni prima. Arrivato a questo punto, dopo che una nuvola scura gli si era posata sugli occhi, smise di parlare e chiese di me. Non so perché ma non mi trattenni davanti a quello sconosciuto. Gli descrissi per filo e per segno gli eventi che mi avevano

portato fino a lì: la crisi lavorativa e quella sentimentale dalle quali a poco a poco cercavo di riprendermi e gli confidai anche che ancora non avevo parlato di persona con i miei. Dopo avermi ascoltata attentamente, lui mi esortò a fare un passo alla volta. Prima di tutto tranquillizzare i genitori, poi ricominciare a vivere. Non ero abituata a un uomo così interessato ai miei sentimenti, non mio padre, né tantomeno Lanfranco. Quel pomeriggio, la considerazione di Massimo e la sua premura mi sostennero a tal punto da decidere di provare a mettere in pratica i suoi consigli. Telefonai ai miei e andai a trovarli. Raccontai loro quanto mi era successo. Mio padre fu implacabile. Come suo solito mi rimproverò per le mie scelte: il mio compagno e il mio lavoro non erano altro che la dimostrazione di quanto fossi priva di carattere e di ambizione. Mia madre cercò più volte di intervenire, ma fu subito messa a tacere, mentre mia sorella ascoltò e non disse nulla: lui aveva il controllo assoluto.

Non ebbi scelta. Uscii da quella che era stata la mia casa d’infanzia in lacrime, decisa a non sopportare più le pressioni di un uomo che non era mai stato capace di vedermi e di accettarmi per come sono. Quella sera mia nonna mi tenne stretta a sé a lungo, poi mi sussurrò di nuovo quello che ormai avevo imparato a riconoscere come il suo motto: «Vedrai, all’inverno segue sempre la primavera e ogni volta è un nuovo inizio. Non pensare al passato, ma guarda il presente e le possibilità che ti offre». Poi con un sorriso dolcissimo aggiunse che Massimo mi

aveva cercata per avere mie notizie. Non appena lo richiamai, lui mi invitò a casa sua e seduta sul divano sorseggiando vino rosso, anche questa volta gli riferii ogni cosa. Con lui riuscivo a parlare delle mie emozioni, ad accettarle e al tempo stesso a razionalizzare la situazione. Massimo mi suggerì di parlare almeno con mia sorella da sola, se eravamo state complici da bambine, perché non potevamo esserlo ancora? In fondo era vero. Era un uomo intelligente e sensibile, ciononostante sentivo che anche lui aveva le proprie pene e si ostinava a portarle sulle spalle da solo.

Fino a quella sera.
Non so come, ma fu un’alchimia. Sull’onda di quel momento di intimità, riuscì a dirmi che era vedovo da tre anni e che per lui era difficile superare
la perdita della moglie e del progetto di famiglia che ancora albergava nel suo cuore. Si era trasferito in provincia per stare vicino al suo adorato nonno e per far nascere e crescere i figli nel verde e con tutte le comodità della piccola città, ma tutto era andato in fumo. Quelle confidenze, raccontate a bassa voce, con gli occhi lucidi, segnarono l’inizio di un’amicizia profonda, fatta di stima e rispetto, che ci aiutò ad affrontare uno a uno i nostri rispettivi fantasmi. Quando suo nonno ebbe un attacco cardiaco io ero al suo fianco, mentre quando andai a parlare con la direttrice dell’istituto scolastico e con quella del centro diurno per anziani per proporre il mio progetto di scuola di teatro, era lui il mio sostegno. Supportandoci a vicenda ricominciammo a poco a poco a camminare con le nostre gambe. Fino alla sera in cui la nostra amicizia si colorò di tinte nuove.

Tutto accadde in modo naturale. Ci baciammo dopo una cena al ristorante. Un bacio lungo e talmente appassionato da essere irreparabile. Cosa che mi lasciò felice e al tempo stesso frastornata.

Ma nonna Ester esultò. «Te l’avevo detto, dopo l’inverno arriva sempre la primavera. Questo è solo l’inizio… Io e il nonno di Massimo ci siamo impegnati a fondo per farvi incontrare, ma ne è valsa la pena» dichiarò con un’espressione innocente.

Seduta sulla sua poltrona, composta e dritta sulla schiena, con un misto di pudore e orgoglio, mia nonna mi confidò che lei e Nino, il nonno di Massimo, si conoscevano da molti anni. Entrambi appassionati di burraco nel tempo avevano condiviso, oltre che partite memorabili, anche tante confidenze. Nino era un uomo di gran cuore che amava quell’unico nipote come un figlio e vederlo sempre solo e sofferente per la perdita della moglie lo angustiava tantissimo. Desiderava per lui il meglio, non che dimenticasse il passato, ma che lo superasse per ricominciare a vivere nel presente cercando un po’ di felicità.

Dal canto suo, anche mia nonna, aveva un solo pensiero fisso: la mia serenità. Sapeva che avevo bisogno di iniezioni di fiducia, che mio padre, con il suo atteggiamento di eterno scontento, non aveva fatto altro che rendermi insicura e demoralizzata e che un incontro “fortunato” avrebbe potuto rimettere in moto la mia energia e la mia autostima. E “fortunato” o “combinato” poco importava, erano solo dettagli per lei. Massimo era il candidato perfetto tra l’altro. Ragazzo per bene, sensibile, intelligente e soprattutto solo e bisognoso di affetto come me. Così tra una giocata e l’altra, mia nonna e Nino avevano elaborato il loro piano per far sì che i rispettivi nipoti potessero rappresentare la soluzione l’uno per l’altra. Mi spiegò che fecero di tutto per farci incontrare e per far sì che prima o poi qualcosa nascesse tra noi. Con veloci e furtive telefonate si aggiornavano sui nostri movimenti e si accordavano per un luogo di incontro plausibile dove farci “incrociare per caso” alla stessa ora. Inoltre a casa propria ognuno esaltava con nonchalance e con le più consumate tecniche di propaganda sia le mie qualità che quelle di Massimo. Insomma, a mano a mano che nonna Ester procedeva nel racconto, emergeva un intenso lavoro di intelligence che alla fine, grazie all’esperienza e alla perspicacia dei due ottuagenari, si era concluso con un indiscusso successo. Ero senza parole di fronte alla sua espressione soddisfatta. Non sapevo se prendermela o se essere infinitamente grata a quegli attempati, adorabili sensali.

Intanto, con il tempo, il rapporto con mia sorella era molto migliorato e di conseguenza anche quello con mia madre. Grazie al consiglio di Massimo, avevo chiamato Sara al telefono. Malgrado fossi emozionata, riuscii a dirle che io e la nonna parlavamo sempre di noi due bambine, che lei mi mancava molto e

che non aveva mai perso, nemmeno per un attimo, il posto fondamentale che occupava nel mio cuore. Dopo un primo momento di freddezza, i suoi toni si rabbonirono e iniziò a raccontarmi del marito, delle figlie e della professione.

E non per vantarsi. Anche lei aveva i suoi problemi che non si sentiva di condividere con i nostri genitori, in particolare con nostro padre sempre alla ricerca di un’aderenza alla sua visione di perfezione. Mi confessò di essere stanca e di sentirsi molto più debole di me in quanto incapace di ribellarsi e di lottare per una vita che fosse solo sua e non la proiezione dei desideri di qualcun altro. Mi disse che nostra madre sapeva di non essere stata in grado di difenderci o forse di non averlo fatto a dovere, che soffriva tantissimo per questa situazione e che anche a lei mancavo molto. Disse così con la voce rotta dal pianto mentre io l’ascoltavo all’altro capo del telefono con il viso rigato di lacrime. Fu una telefonata lunghissima, un vero balsamo per i nostri cuori.

Tanto che dopo questa chiacchierata chiarificatrice iniziammo a vederci con costanza, io e lei da sole, altre volte con i miei nipotini e molto spesso con mia madre il cui umore si risollevò decisamente, fino a farle ritrovare il sorriso.

Mio padre era sempre in disparte, ma lui ormai non influenzava più la mia autostima. I miei progetti didattici teatrali erano stati accettati sia dalla scuola che dal centro diurno, cominciavo a camminare di nuovo da sola, stavo riacquistando fiducia in me stessa e questo grazie a Massimo. Io e lui eravamo un’ottima squadra e soprattutto eravamo diventati una vera coppia sotto l’egida di nonna Ester che vegliava, ora alla luce del sole, sulla nostra unione. Così fu per molto tempo, fino al giorno in cui lei si ammalò.

Il periodo che seguì dopo le sue crisi respiratorie fu molto duro. Mia madre si trasferì al suo capezzale, mentre mia sorella passava ogni giorno a trovarla e questo ci unì ulteriormente. Sapevo che le sue condizioni erano disperate, ma il mio dolore fu alleviato dall’affetto ritrovato delle donne della mia famiglia, dall’amore di Massimo e dalla notizia di aspettare un bambino.

Quando la mattina del 20 marzo il mio test di gravidanza risultò positivo, la prima persona a cui lo dissi, prima ancora di mia madre e Massimo, fu naturalmente mia nonna. Ricordo come fosse adesso le sue parole: «Tesoro i tempi bui e freddi ora sono solo un ricordo. Oggi è una data speciale, per una notizia speciale! L’equinozio di primavera mette fine all’inverno. Con questo figlio nasce la tua nuova famiglia. Oggi è stata la tua annunciazione, come per i cristiani lo fu per la Madonna, sai? E questo tuo figlio arriverà a dicembre, proprio come arrivò il suo! Un grande dono» riuscì a dire con un filo di voce, forse consapevole che lei non sarebbe riuscita a vederlo.

E aveva ragione.
Mia nonna oggi non c’è più, se n’è andata una sera regalandoci un ultimo sorriso prima di volare in cielo. E mentre me ne sto sdraiata ad accarezzarmi questa pancia rotonda, nell’attesa di conoscere la nuova, piccola Ester, penso con gratitudine a quella donna minuta e saggia che mi ha guidata attraverso i tempi bui e freddi dell’inverno verso la luce di una primavera che solo lei riusciva a vedere. ●

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