L’amico in comune

Cuore
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Vi riproponiamo sul blog una delle storie apprezzate dalle lettrici sulla pagina Facebook, “L’amico in comune” di Giovanna sica, pubblicata sul n. 9 di Confidenze

 

La prima volta ha qualcosa di magico, non si dimentica. Soprattutto se è successo con una persona che ti piaceva. Ma vale la pena ricordate tutto?

Storia vera di Elvira P. raccolta da Giovanna Sica

 

Estate 1989. L’estate della Maturità. Di un tempo ormai lontano in cui 60/60 ancora decretava un successo indiscutibile. Premio per essermi diplomata col massimo dei voti: vacanza a Corfù. Io, Gianni e Mario. Sì, con due maschi, sono loro i miei amici del cuore, io amiche femmine non ne ho. Forse perché sono diversa dalle mie coetanee: a me non piacciono le unghie laccate e neanche gli occhi anneriti dall’ eyeliner. Non vesto alla moda. Non vado dal parrucchiere a farmi schiarire i capelli. Non ho mai avuto un ragazzo. E non ho mai fatto l’amore. Preferisco stare coi maschi, mi sento più simile a loro. Gianni viene a scuola con me, è il mio compagno di banco. Mario invece va già all’università, è più grande  di noi di un anno. Gioca a pallone con Gianni, così l’ho conosciuto e noi tre siamo diventati inseparabili. «E che fate, dormirete in un letto a tre piazze?» insinua la perfida Gloria. «Be’, può darsi, io non ho problemi a dormire coi miei amici, so che non mi salteranno addosso durante la notte. Tu hai qualche maschio che ti vuole bene e ti rispetta allo stesso modo?» le do subito il benservito. Invece poi dormiamo separati, ma solo perché l’appartamento che affittiamo sull’isola greca ha due camere, e quindi decidiamo che io vado nella stanza piccola dove avrò un lettino tutto per me, e Gianni e Mario si divideranno il materasso a due piazze della camera matrimoniale. A Corfù trascorriamo giorni indimenticabili. Con i motorini presi a noleggio ogni giorno ce ne andiamo a esplorare spiagge diverse. Acque cristalline in cui tuffarci e schizzarci. Nuotare a perdifiato che tanto siamo giovani e abbiamo i polmoni buoni, possiamo spingerci a largo, non ci succederà niente di male. E quando siamo in mezzo al mare scopriamo che l’orizzonte, qui, è diverso che dalla riva. In mezzo al blu la linea che separa l’acqua dal cielo è più vera e ci ricorda che la vita è tutta davanti ai nostri occhi. Siamo amici del cuore, noi tre. Ci siamo giurati che mai nessuno potrà interferire nel nostro rapporto. Non permetteremo mai ai fidanzati che verranno di sindacare sul nostro bene: chi ci vorrà dovrà prendersi il pacchetto completo. Elvira, Gianni e Mario. Siamo complici, attacco bottone con le turiste straniere perché i maschi del gruppo le vogliono conoscere e il mio inglese è nettamente migliore del loro. Ogni sera ceniamo in un posto diverso. Io non rinuncio mai all’insalata con cipolla, olive e yogurt greco. Gianni e Mario mangiano l’impossibile e mi prendono in giro; dicono che io mi cibo solo di lattuga perché ho paura di mettere su qualche etto, e invece sono così secca che senza vestiti addosso c’è il rischio che il vento mi porti via. Ridiamo.

 

 

Ridiamo per nulla. Siamo felici, felici davvero. Poi una sera, in un pub, mi metto a parlare fitto fitto con un ragazzo del posto; Mario si altera e decide che dobbiamo andare via, che la birra in quel locale fa schifo e che le noccioline sono riciclate. Per strada non dice nulla. Siamo a piedi, perché il pub è vicino casa nostra. Camminiamo in silenzio. Gianni propone la discoteca, Mario gli fa cenno di no con la testa, fa un gestaccio con la mano e poi ringhia a denti stretti: «Va’, vai tu». Ma alla fine non va neanche Gianni, ce ne andiamo tutti a dormire. Io non riesco a prendere sonno, non capisco lo scatto d’ira del mio amico: io sto sempre al gioco quando loro sono interessati a qualche signorina, perché per me non dev’essere lo stesso?

E poi me lo ritrovo addosso. Mario. Mi bacia nel sonno. Mi spoglia e non dice una parola. All’inizio credo che sto sognando. Poi la consistenza e il calore del suo corpo mi tolgono ogni dubbio: Mario è venuto nella mia camera e sta facendo l’amore con me. Non ha chiesto nulla. Forse non ce ne è stato bisogno, visto che il mio corpo ha accolto il suo con improvvisa sfacciataggine. Non ho pensieri mentre siamo una sola carne, ma subito dopo sì. Mi convinco che la storia della nostra grande amicizia è solo una farsa, che io e Mario ci amiamo, che ci desideravamo dalla prima volta che ci eravamo visti e che Gianni è sempre stato solo uno spauracchio fra di noi.

«Mario, per me tu sei il primo, il primo e l’ultimo… vorrei, eppure, te lo giuro, non ho mai pensato a te in questo modo. Domattina ne parliamo anche con Gianni» propongo candidamente.

«Noi a Gianni non diciamo proprio niente. Lui è innamorato di te, come hai fatto a non accorgertene mai? A me l’ha confidato tempo fa, ma comunque ci ero già arrivato da solo. Eppure, io stanotte non sono più riuscito a trattenere il desiderio di farti mia».

L’ultimo giorno di vacanza è impastato di tristezza. Sento che tornati a casa più niente sarà come prima. Quando scendiamo dalla nave abbraccio forte Mario che per il tutto il viaggio non mi ha mai rivolto la parola. Non lo rivedrò più, lo so. Gianni mi guarda perplesso indugiare più del dovuto fra le braccia rigide del nostro amico. Forse intuisce che fra me e lui c’è dell’altro che straborda dal nostro rapporto a tre.

Forse, Gianni non capì nulla quel giorno e neanche in tutti quelli che son venuti dopo.

E ora, quasi trent’anni dopo, Mario che dopo quell’estate se ne andò a vivere a Londra, è tornato, e Gianni, mio marito, ha organizzato una festa in suo onore. Sì, poi ho sposato Gianni, il compagno di banco. Il colpo sicuro. Il ragazzo che era sempre al mio fianco  e che mi voleva bene sinceramente. All’inizio soffrii molto la mancanza di Mario, poi mi rassegnai: lui non mi aveva mai amata, si era solo tolto la soddisfazione di portami a letto. Anche se il mio corpo e la mia mente ricordavano un’altra storia. Baci appassionati e occhi che urlavano amore. Ma forse era quello che volevo ricordare, quello a cui mi ero ancorata dopo per non sentirmi una stupida. A Gianni non rivelai mai che la Prima Volta l’avevo fatto con l’ amico in comune. E ora, il ricordo di Quella Notte stava per precipitarmi addosso. Tutte le volte che Mario era venuto a Roma si era visto con mio marito, ma non era mai passato per casa nostra. E io avevo trovato sempre delle scuse per non incontrarlo, ora però sottrarmi mi era davvero impossibile.

«Questo vestito rosso non sarebbe stato così bene addosso a nessun’altra», sento una voce che riconosco alle mie spalle.

«Mario» è tutto quello che riesco a dire e in un lampo dei suoi occhi scuri ritrovo intatto il ricordo dell’estate 1989: è tutto in quello guardo nero, Mario non ha dimenticato.

«Come stai, Elvira?» continua lui con piglio sicuro.

«Sto bene. Faccio la professoressa di Matematica come era scritto nel mio destino, sto con Gianni da quell’estate, ho due figli meravigliosi. Manuel studia Architettura e ha un blog di vignette; Alessandra vive per ballare, ora è a Parigi per uno stage», ma lui non mi fa finire, a lui non gliene importa nulla della famiglia da Mulino Bianco che ho tirato su.

«Ti ho pensata sempre» e dal tono della sua voce capisco che questa frase ha il valore di una dichiarazione d’intenti. Non so cosa rispondergli, d’altronde cosa potrei dire, adesso? Qualcosa tipo: «Oh, Mario, mi sei mancato anche tu. Ho fatto tante volte l’amore con mio marito immaginando di stringere te e non lui fra le mie braccia. Io non ero brava a fingere quell’estate, me lo insegnasti tu, me l’hai scritta tu la parte che dovevo recitare. E io ho imparato subito. Tu te ne andasti senza dirmi una parola, lo seppi da Gianni che ti eri trasferito a Londra. Mi mancò il coraggio di mettermi su un aereo e volare fino a te. Fino al sogno di stare con te. E poi ero arrabbiatissima. Mi sembrava chiaro che tu non mi volessi fra  piedi. Ero troppo orgogliosa per chiederti cosa provavi davvero. Se mi stavi allontanando per Gianni o perché ti eri pentito di essere venuto a letto con me mandando all’aria la nostra amicizia. Ora che ci penso non so come abbia fatto Gianni a non chiedersi a cosa era dovuta tutta quella distanza che all’improvviso stavi mettendo fra te e noi. Fra te e me. Perché con lui, invece, ti sei rivisto tante volte. Sono stata io l’esclusa. Quella che non c’entrava più niente con voi. Sì, lo so quello che stai pensando e hai ragione: ho fatto la scelta più facile, mi sono presa Gianni, quello che era da sempre innamorato di me. Ma tu dov’eri? Era te che volevo ma tu non c’eri più. Ecco come è andata. E ora non ti permettere di giudicarmi. Non ti permettere di confondermi. Non ti permettere di guardarmi dall’alto in basso mentre ti racconto della famiglia che con fatica e devozione ho tirato su. Non ti permettere di tirare fuori questa stronzata del vestito rosso».

 

 

Ecco cosa avrei voluto urlargli, ma io non sono capace di tirare fuori le parole che mi esplodono nella testa. Così non ho detto nulla, ho fatto finta di non aver capito, ho guardato da un’altra parte.

Mi sono allontanata prima che Mario aggiungesse altro, prima che mi afferrasse per un braccio e mi desse un bacio in bocca.

Me ne vado in giardino perché in casa l’aria ora mi manca. Ma lui non mi molla stasera. Ha deciso che la tregua fra di noi è finita. Non intende più lasciarmi perdere come ha fatto in tutti questi anni. «Mi sono pentito per tutta la vita di averti lasciato a lui. In amore non si può essere leali a nient’altro che ai propri sentimenti. Sarò a Roma per dieci giorni, sono alla vecchia casa dei miei genitori, ti ricordi dov’è?».

«Certo, ricordo benissimo i pomeriggi che io te e Gianni passavamo sul tuo letto ad ascoltare gli Spandau Ballet e a sognare il nostro futuro e ora quel tempo futuro l’abbiamo vissuto e sorpassato. Ce l’abbiamo alle spalle, il tempo passa veloce che non ci si crede».

«Verrai a trovarmi?» insiste, quello che un tempo era il mio amico.

«Mario, ti prego, non mettermi in difficoltà. Io sono felice con Gianni, lui mi ha dato esattamente quello che desideravo: una famiglia, una vita serena. Vuoi sapere se negli anni ho ripensato alla prima volta che ho fatto l’amore? Sì, tante volte. Ma il nostro futuro lo decidesti tu, quando mi vietasti di dire a Gianni quello che era successo fra di noi e poi te ne andasti a Londra. Forse quell’unica notte d’amore è rimasta impressa dentro di noi proprio perché non c’è stato un seguito. Un tempo per litigare, per annoiarsi, per decidere di lasciarsi. Ma ora non possiamo più saperlo. Non c’è più tempo. Stasera mi appari sbiadito come uno di quei  disegni a matita che a volte si ritrovano in mezzo ai libri, scoloriti dai giorni che gli sono passati sopra. Sei solo un bel ricordo, Mario».

L’amico in comune non replica più nulla ora, d’un colpo ha perso la sua aria spavalda. E quei suoi occhi neri in cui prima avevo scovato lampi di luce, si fanno tenebrosi. Lo osservo andar via, a testa bassa, forse la sconfitta di stasera gli brucia in faccia. D’altronde, cosa si aspettava, che gli buttassi le braccia al collo? Che gli confessassi: «Mario, mi sei mancato, ti amo ancora. Ho costruito tanto mentre tu eri altrove, ma ora che sei qui, se vuoi, sfracasso tutto e vengo via con te». Una lacrima piccola mi attraversa il viso ma poi si perde nei contorni del mio viso. Dov’è? Non la trovo più. Era troppo piccola. Ho sorrisi più grandi, ci ho messo anni a cacciarmeli dagli occhi, non basterà un pensiero rarefatto a portarmeli via. Alla fine qualcosa sono riuscita a dirgliela, forse non esattamente quello che avrei voluto, ma devo essere stata convincente se lui non ha replicato più nulla. La casa dei suoi? Certo che ricordo dov’è. Certo che non ci andrò. Suvvia, sarebbe patetico. Siamo fuori tempo massimo. Non dico che non sono tentata e anche molto perché sarebbe una bugia, ma non ci andrò. Ho lasciato che lui mi amasse con tutto l’ardore della gioventù quella notte a Corfù, ora, quasi tre decenni dopo, sarebbe ridicolo pensare di essere ancora quei due ragazzi in vacanza. Sarebbe solo la storpiatura di un ricordo bellissimo. Ora saremmo solo la caricatura di noi stessi. E poi? Se pure per assurdo fosse bello anche solo la metà dell’estate 1989, se fare l’amore con Mario avesse come allora il sapore della felicità, cosa ne sarebbe poi di me? Se non riuscissi più a scrollarmelo di dosso, se mi entrasse nelle vene come un veleno, chi mi darebbe poi l’antidoto? Cosa ne sarebbe della famiglia che ho tirato su con sacrifici e rinunce? Sì, gioie, sacrifici e rinunce. Anche sacrifici e rinunce. I figli non crescono mica da soli. Le famiglie non sono vegetazione spontanea, ma piante che necessitano di cure. Di tempo. Sono le donne che portano avanti le famiglie, col loro immenso cuore e le loro immense fatiche. Basta basta basta.

 

 

Lo sapevo che non dovevo rivedere Mario. Lui ha il potere di destabilizzarmi, ancora. Eppure me la sono cavata bene ai suoi occhi. Perché allora tutto questo fuoco divampa dentro di me? Non lo so, ma ora io mi siedo e respiro. Poi aspetterò che passi. Che passi questo bruciore che sento dentro lo stomaco, e anche il cameriere col vassoio in mano. Chiederò al ragazzo con la giacca bianca di darmi qualcosa di forte, di consigliarmi un bicchierino che abbia il potere di calmarmi, di ricordarmi che sta a me scegliere, stavolta. Butto giù tutto d’un fiato una grappa barricata. La sento spandersi come un incendio. Nella gola. L’esofago. Lo stomaco. Brucia. Consuma. Annienta. Scendendo non è riuscita, la grappa, a resettarmi anche il cuore, almeno quella parte in cui Mario ancora resiste. Ancora butta calci. Ma non importa. Lo farò io. Sarò io a resettare, non mi serve l’alcol. Sono io che decido, stasera. Tanti anni fa Mario decise che non si poteva fare, fra di noi. Stasera sono io che scelgo.

E scelgo che ho troppo da perdere per lasciarmi invaghire da questo sospetto che fra di noi potrebbe essere ancora bellissimo. Scelgo che sono una donna felice, che ha la vita che vuole. Scelgo di alzarmi dalla sedia. Ordino alla mia testa di smettere di girarmi e al mio cuore di rallentare i suoi colpi. E poi vado a cercare Gianni, mio marito, mentre l’amico in comune sta lasciando la festa in suo onore.

 

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