L’intramontabile magia del lavoro a maglia

Cuore
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Lo sapevate che il lavoro a maglia è un potente antistress e migliora l'autostima?

Su Confidenze in edicola trovate la storia vera Seguendo un filo di Daniela Granieri, leggerla mi ha fatto ritornare indietro nel tempo e sentire particolarmente vicino alla protagonista. Anch’io come lei appartengo alla generazione nata negli anni 60 e come lei sono cresciuta con una nonna che mi ha insegnato l’arte del lavoro a maglia e più in generale del taglio cucito e ricamo, che una volta costituiva un patrimonio imprescindibile nell’educazione di noi bambine.

Accanto alla nonna ho imparato a fare l’orlo giorno agli asciugamani, ad andar di dritto e rovescio, calare le maglie nel modo giusto, fare i maglioni coi disegni norvegesi e persino a lavorare all’uncinetto, che per una mancina come me, rappresentava una vera mission impossible.

Nei lunghi pomeriggi estivi del mese di giugno, quando finiva la scuola e ci portavano in campagna coi nonni, ho imparato quanta pazienza ci vuole nel montare le maglie sui ferri e lavorarle nei primi giri, quando è più difficile sbagliare, ma anche quanta soddisfazione si prova nel veder procedere passo passo qualcosa che è davvero fatto con le tue mani e che non vedi l’ora di veder finito e indossato, anche se spesso occorrono mesi di lavoro. La nonna che nella vita era stata maestra elementare, una volta in pensione, aveva ripreso questa sua vena creativa e aveva cercato di trasmetterla a noi nipoti femmine. C’era tutto un rito dietro a ogni golf o giaccone, che cominciava con la scelta della lana: allora a Milano esisteva un grandissimo magazzino specializzato in via Nino Bixio dove solo ad entrare si restava incantati: interi scaffali di legno alti fino al soffitto pieni di matasse ordinate per sfumature di colore, soffici fili di angora, mohair o shetland facevano bella mostra di sé, spesso srotolati su un enorme bancone che prendeva l’intera lunghezza del locale, e dietro il quale premurose commesse si muovevano come agili folletti in quegli spazi enormi e sempre affollati di signore, capendo al volo appena aprivi bocca se eri una principiante o una lavoratrice esperta.

La nonna sguazzava tra gli scaffali e senza esitazione sceglieva la giusta quantità di lana, che una volta a casa bisognava srotolare dalle matasse e farne tanti gomitoli. Un lavoro noiosissimo che solitamente si faceva appoggiando la matassa di lana alla spalliera della sedia o nell’alternativa peggiore porgendo le braccia su cui avvolgere la matassa.

A ripensarci oggi sembra roba di un secolo fa ma era la fine degli anni 70 e inizio 80. Che cosa mi è rimasto di questa militanza o apprendistato che dir si voglia? A parte i manufatti (giacconi di lana perfetti che sembrano fatti a macchina, maglioni di infinite fattezze, sciarpe, cappelli, guanti e borsette che quando qualcuno pensa di eliminare, viene fermato dalla solita frase: «questo no, l’ha fatto la nonna è un suo ricordo»), il lavoro a maglia mi ha insegnato a prendermi cura di me stessa. Sembrerà strano ma quelle ore trascorse seduta in poltrona a sferruzzare sono state un balsamo, a volte per cacciar via malinconie e dispiaceri, altre per darmi quella fiducia in me stessa che mi mancava.

Cosa c’è di più gratificante infatti che veder finito un lavoro fatto solo con le tue mani?

Non a caso oggi si parla spesso di lanaterapia, perché il lavoro ai ferri o all’uncinetto aiuta a recuperare la calma in una situazione di stress o ansia. Uno studio dell’Istituto neurologico Besta di Milano, riportato dal quotidiano La Repubblica qualche giorno fa, dice che: «Lavorare a maglia distrae dalle preoccupazioni, fa percepire meno il dolore, agevola i processi di socializzazione e migliora l’autostima perché implica un obiettivo e il suo raggiungimento».

L’hanno scoperto anche tanti vip che con il loro esempio stanno restituendo una seconda giovinezza a questo passatempo così antico: da Carherine Zeta Jones, Meryl Streep, Sarah Jessica Parker sono tutte amanti del “Knitting” il termine inglese che indica il lavoro a maglia, e persino un campione sportivo come il nuotatore olimpico Tom Daley ha fatto notizia facendosi riprendere mentre sferruzza tra una gara e un’altra, per rilassarsi.

Tornando alla mia esperienza personale, nel tempo la frequentazione con gomitoli e ferri è stata sviata da altri interessi che con l’arrivo dell’adolescenza avevano reso desueto questo passatempo e così il cesto da lavoro di vimini è rimasto dimenticato in un angolo della casa. Ma ogni volta che c’è stato un momento topico della mia vita sono tornata a sferruzzare: quando doveva nascere mio figlio per esempio, ed ero a casa in maternità, ho sentito il bisogno di placare ansie e paure riprendendo in mano il dritto e il rovescio, o ricamando le iniziali del nome sui bavaglini, era un modo per stare con se stessi, per far fluire pensieri ed emozioni e come tutte le cose imparate da piccoli, aveva il vantaggio di venirmi naturale e senza fatica. Così quando ho letto la storia Seguendo un filo di Daniela Granieri non ho potuto che essere solidale con lei e tifare perché possa riprendere in mano se stessa, proprio seguendo quel filo. Chissà che un giorno anch’io possa riprendere in mano quel filo e passarlo come ideale testimone a qualcuno.

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