L’omino di pan di zenzero

Cuore
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La mia tendenza a fare la crocerossina non mi aveva portato fortuna in amore. Così, mi ritrovavo single, dopo varie delusioni, e avevo accettato di partecipare a quegli incontri al buio. In fondo, che cos'avevo da perdere?

STORIA VERA DI CINZIA L. RACCOLTA DA ANNA BALTIA DELFINI

Non sono mai stata fortunata in amore. Da adolescente poi c’è da dire che mi remava pure contro il fatto che non fossi una bellezza da copertina ecco. Ero anzi la bruttina della classe, forse anche della scuola, o quanto meno ero nella “top five” delle peggiori, almeno secondo le famose e crudeli liste di bellezza che si usavano fare ai miei tempi. Col tempo poi, complice la fine della tortura dentale dell’apparecchio e la perdita di qualche chilo, ci avevo guadagnato, cambio di capelli e tacco e il gioco era fatto, ero diventata piacente. Le cose però a livello sentimentale non è che fossero migliorate poi così tanto. Il problema era la mia attitudine empatica che mi portava a pensare che tutti avessero bisogno del mio aiuto, ragion per cui finivo per immischiarmi in situazioni assurde, dove più che la fidanzata o la compagna, ricoprivo il ruolo della vera e propria crocerossina. Prima era stata la volta di Fabio, un ragazzo conosciuto a Vieste durante una vacanza, situazione familiare disastrosa e incapacità di affrontare i problemi della vita reale. Dapprincipio era stato tutto magico, sembravamo vivere in una bolla, ma poi quando si era trattato di metterci a tavolino a discutere in che modo gestire quella relazione inevitabilmente a distanza, tutto era crollato. Io vivevo a Pescara e sebbene fossero appena tre ore di macchina, Fabio non possedeva un auto, ma soprattutto non aveva tutta questa voglia di trovarsi un lavoro per pagarsela o quantomeno viaggiare in treno. Dopo di lui era stata la volta di Giordano, un mio compagno di università, un tipo tutto testa e razionalità, testardo e poco affettuoso che mi ero in qualche modo incaponita di voler cambiare e intenerire. Naturalmente non ci ero riuscita, la nostra era stata più che altro la tipica relazione giovanile in cui fare progetti sembrava anche un po’ da “vecchi”. Io però li facevo, li ho sempre fatti, è la mia natura e questo poi nel corso del tempo mi aveva portato non di rado a far allontanare gli uomini, anche quelli con i quali ero coinvolta da poco o in relazioni palesemente squilibrate. Dopo Giordano ero stata con Mario, un uomo di 13 anni più grande, professionista affermato nel mondo dell’immobiliare. Stavamo bene, o almeno credevo, il fatto è che era maniacalmente ossessionato dalla pulizia e dall’ordine e passare anche una sola notte a casa sua diventava una tortura nell’ansia di aver spostato qualcosa o aver rifatto male il letto. Era un uomo troppo rigido e alla fine era finita. È stato allora che ho conosciuto Demetrio. Già il nome era un programma. Mi aveva raccontato che l’aveva ereditato dal nonno paterno, anche a lui non piaceva granché, ma non era uno di quelli che si cambiava il nome con strani diminutivi inglesizzati per sembrare figo. Poi anche a volerlo fare, usciva il nome di una nota catena di supermercati. Quando me l’aveva detto ero scoppiata a ridere di gusto. Era cominciata così. Ci eravamo conosciuti a una festa, il metodo più banale per far incontrare amici single, eppure nel nostro caso aveva funzionato. Demetrio lavorava in una piccola ferramenta di famiglia, non che gli piacesse poi così tanto, ma avevo imparato presto a capire che lui era il tipo che faceva in sintesi quello che si doveva fare, o che qualcuno gli diceva di fare. Non aveva hobby né interessi particolari a parte il calcio e passava le sue giornate in ferramenta occupandosi un po’ di tutto quello che gli altri due fratelli non avevano voglia di fare, approfittando della sua natura servizievole. È sempre stato una persona dall’animo buono, gentile, anche se spesso non era in grado di manifestarlo. Era abbastanza riservato, per non dire chiuso a livello sentimentale e forse anche per questo con me era stata una storia da subito travolgente. Io, al contrario di Demetrio, avevo sempre avuto un carattere esuberante.

A lui piaceva che lo coinvolgessi in mille cose, che lo portassi nei musei, a fare gite fuori porta, alle terme, perfino a fare un volo in elicottero o un giro in canoa. Accoglieva sempre tutto con entusiasmo e partecipazione e la cosa mi piaceva da matti, a tal punto che me l’ero sposato. In famiglia i miei non erano troppo felici e anche gli amici forse si aspettavano per me il solito “qualcosa di più”. Pensavano che un uomo che gestisce una ferramenta non fosse un buon partito. Chissà perché poi. A me interessava più che altro che ci trovassimo bene fra noi e dapprincipio era stato così, anche a letto. Poi però, col tempo qualcosa era cambiato. Era subentrata l’abitudine e la noia e il fatto che notoriamente Demetrio non fosse un tipo ricco di iniziativa, non aveva fatto altro che peggiorare la situazione. Mi mancava il romanticismo. Non che

Demetrio non mi amasse, ma era pigro e accondiscendente in un modo che avevo finito per detestare. Non discutevamo nemmeno. Diceva sempre di sì e la cosa a un certo punto aveva iniziato a infastidirmi, senza contare che lui non era in grado di ricordare una ricorrenza che fosse una. Ero passata sopra perfino all’anniversario, ma Demetrio per cinque anni di fila di matrimonio aveva dimenticato il mio compleanno! A un certo punto non ero più riuscita a tollerare le sue mancate attenzioni e mi ero lasciata sedurre da un collega dello studio legale dove lavoravo. Non era successo niente fra noi, ma era bastato per far suonare più forte del solito quel campanello di allarme che avevo ignorato a lungo. Non so dire di preciso come sia finita con Demetrio, a un certo punto era successo. Non c’erano stati litigi né rancore da parte di nessuno dei due, ci eravamo semplicemente allontanati. Il nostro matrimonio era durato solo pochi anni. Dopo la fine del nostro rapporto avevo avuto una breve storia con quel collega ma poi non era andata bene e per un paio di anni ero rimasta single. «Un mio amico organizza una serata speed date per single “natalizi”» aveva esordito Greta, una mia amica, in occasione di un pranzo insieme a dicembre, poco prima delle festività.

Avevo inarcato le sopracciglia un po’ perplessa e un po’, devo ammetterlo, incuriosita. «Di che parli?».
«È un incontro al buio per persone non accoppiate che devono affrontare il Natale da soli ecco. Si iscrivono lo stresso numero di donne e di uomini e poi si vedono in un locale, dove il mio amico organizza l’evento. Si passano alcuni minuti al tavolino a parlare con qualcuno e poi si passa al successivo».

«Ho capito, tipo scegliersi un probabile marito da un catalogo!». Ero scoppiata a ridere, ma Greta invece si era fatta seria.

«Ma no scema, è un modo anche per conoscere persone. Io da single poi non ti so proprio vedere, lo so che nel profondo desideri stare in una coppia vera e dopo Demetrio ecco…».

Mi ero immalinconita al pensiero del mio matrimonio fallito, ma in effetti Greta aveva ragione, mi mancava
la complicità della relazione, gli abbracci, le decisioni insieme. Ma la mia unica esperienza di nozze non aveva dato i frutti sperati. Avevo chiesto qualche informazione in più sull’evento e Greta mi aveva spiegato che il suo amico, al quale si era decisa a fare una corte un po’ spietata, organizzava tutta una serie di incontri e viaggi in giro per il mondo a tema single. Lo speed date di Natale, al di là della mia facile ironia, voleva in qualche modo dare una possibilità a tutti quelli, come me, che avevano sempre immaginato di trascorrere le feste con qualcuno. E non solo il Natale possibilmente.

Alla fine, sull’onda della mia ben nota esuberanza, avevo accettato di partecipare, anche perché sarebbe venuta con me Greta, che già preparava il suo piano d’attacco per l’amico organizzatore di eventi per “scoppiati”. Ci eravamo preparate a dovere, entrambe elegantissime e impeccabili e ci eravamo presentate alla serata.

L’amico di Greta ci aveva accolto sorridente e lei naturalmente non aveva mancato occasione per fare un po’ la svenevole.
«Che spilletta volete?» ci aveva domandato poi indicando due cestini pieno di pins a tema natalizio, una per le donne e una per gli uomini. C’erano piccoli alberelli, Babbi Natale, bastoncini di zucchero bianco e rosso, elfi, renne eccetera eccetera. Insomma tutto l’armamentario di simboli delle festività. «Perché la spilletta?» avevo domandato incuriosita.
«Vogliamo dare una chance al destino».

Mi aveva risposto il tipo, io però continuavo a non capire.
«In che senso?».
«Nei due cestini ci sono due coppie di spillette identiche. Proviamo a vedere se quelli che senza saperlo azzeccano l’accoppiata della spilletta, poi sono altrettanto ben appaiati come coppia. È una specie di porta fortuna» disse sorridendo.

«Bisogna arrivare in orario allora, altrimenti si pescano gli scarti degli altri!».
«Magari anche quella può essere opera del destino, in ogni modo tu sei fortunata, sei fra le prime, che spilletta scegli?».

Avevo rimestato un poco come una bambina nel cesto delle donne e alla fine mi era finita fra le dita una deliziosa spilletta a forma di omino di pan di zenzero. Li adoravo, spesso li cucinavo durante le feste e li appendevo all’albero insieme a qualche mandarino, come mi aveva insegnato mia mamma, che diceva sempre che così il 6 gennaio l’albero era già spoglio e pronto per essere messo via. Una donna sempre molto pragmatica, o secondo mio padre pigra.
«Prendo questa».

Mi ero appuntata l’omino sul bordo della generosa scollatura e mentre Greta si tratteneva a chiacchierare con il suo amico, avevo preso posto a uno dei tavolini. Su ciascun tavolo era presente un numero e a ogni partecipante veniva dato un mazzetto di fogli con tutte le immagini delle spillette. Se l’incontro ti colpiva bisognava fare una X su quel simbolo. Gli organizzatori poi avrebbero fatto il resto per mettere in contatto i due che si erano scelti. L’amico di Greta aveva dato inizio ai giochi e così la sala che era già piuttosto affollata, aveva iniziato a ordinarsi con uomini e donne disposti a specchio lungo il serpentone dei tavoli. Un timer su ciascun tavolo segnava il momento in cui bisognava cambiare seduta e passare al successivo incontro.

Era divertente. C’era una gran quantità di persone davvero curiose, molti uomini con cui avevo parlato uscivano da qualche tipo di relazione strana o bizzarra: uno era stato tradito cinque volte dall’ex moglie, un altro voleva uscire solo con donne bionde, un altro ancora collezionava tappi di penne. C’era una bella fauna umana insomma. Dapprincipio la serata era stata simpatica, mi divertivo ad ascoltare le storie di ognuno di quei single che si sedeva davanti a me, ma la verità era che non c’era davvero nessun partito interessante. Molti degli uomini che partecipavano erano più grandi di me di almeno 15 anni e non li portavano esattamente come distinti gentleman. I più giovani invece nella maggior parte dei casi non erano attraenti.

Mi aveva colpito soltanto un tipo, un certo Walter, che aveva invece un aspetto interessante. Peccato però che dopo poche battute scambiate con lui avevo subito intuito che sarebbe stato un altro fallimento, troppo concentrato su se stesso e anche un po’ troppo vanitoso, non aveva fatto altro che guardarsi continuamente intorno come in cerca della preda successiva.

Il mio mazzetto di foglietti era rimasto ancora senza nessuna X. Avevo ancora un mucchio di tavoli da cambiare e di persone da conoscere, ma iniziavo a stancarmi. Avevo cercato fra la folla lo sguardo di Greta, ma l’avevo persa, probabilmente alla fine aveva vinto la sua guerra di seduzione.
Io invece me ne restavo lì a rimbalzare fra i tavoli sempre più annoiata. Di nuovo il timer, ”ecco adesso me ne vado” avevo pensato, ma proprio mentre stavo per alzarmi fingendo di dirigermi al tavolo successivo per prendere invece la porta, un uomo si era già seduto al mio tavolino.

Non riuscivo a crederci: era Demetrio.
Eravamo rimasti almeno un minuto in silenzio, stupitissimi entrambi di trovarci in quel luogo, ma soprattutto io, perché il Demetrio che conoscevo io una cosa così pazza non l’avrebbe mai fatta, era troppo riservato e timoroso, troppo insicuro. Alla fine ero scoppiata a ridere e lui con me.
«Ma che ci fai qui?» gli avevo domandato fra le risate. «Potrei chiederti lo stesso… Ma in effetti è più una cosa da te! È stato mio fratello, dice che devo svagarmi un po’, trovare una donna, muovermi».
«E naturalmente tu non hai saputo dirgli di no. Non sei cambiato, mi pare».
Avevo sorriso amaramente, ma Demetrio aveva scosso la testa.
«Un po’ sì dai. Se ti siedi ti racconto. Aiutami ti prego c’è una tipa con i capelli rossi che mi fa paura. Sembra che voglia mangiarmi».
Ero di nuovo scoppiata a ridere e mi ero riseduta. Demetrio mi aveva raccontato di aver iniziato a cucinare, lui che mai si era avvicinato ai fornelli quando stavamo insieme, e di aver persino iniziato un corso di inglese perché voleva fare un viaggio a Londra. Mi sembrava davvero un’altra persona, ma gli aspetti più belli del suo carattere, come la dolcezza e i sempre generosi sorrisi, non li aveva persi. Mi aveva confessato che la solitudine dopo il matrimonio gli aveva insegnato molte cose, che prima non aveva capito.

«Ti trovo bene» gli avevo detto con un pizzico di imbarazzo, ma era vero. Aveva perso qualche chilo e la barba brizzolata che si era fatto crescere gli dava un aspetto più affascinante. Nel complesso, era proprio un bel tipo.

«Anche tu sei bellissima».

Avevo abbassato lo sguardo arrossendo. Che cosa assurda sentirmi così davanti al mio ex marito, quando per giunta a lasciarlo ero stata io. La vita è strana, ma forse a volte ci vuole un po’ di distacco per accorgersi degli errori che abbiamo commesso, della fretta nel giudicare, della poca disponibilità alla mediazione. Il timer stava per scattare, Demetrio mi aveva guardata sorridendo malizioso: entrambi avevamo la spilletta dell’omino di pan di zenzero. ●

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Pubblicato su Confidenze 1/2022

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