L’uomo sbagliato

Cuore
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Vi riproponiamo nel blog una delle storie più apprezzate del n.11

 

Capita a tante di finire tra le braccia di un impostore o di credere a false promesse, ma quando si incontra un narcisista patologico com’è successo a me, la vita dopo non è più la stessa

STORIA VERA DI NICOLETTA P. RACCOLTA DA MARUSKA CAPPELLETTI

 

Le donne sono creature meravigliose, argute, intelligenti, generose e come diceva il grande Alfred Hitchcock sono anche le migliori psicoanaliste, fino a quando non si innamorano, dopo di che diventano le migliori pazienti.

È successo a tutte, almeno una volta nella vita, di scivolare sull’uomo sbagliato, di farsi fuorviare da belle parole, grandi promesse e false speranze, ma se abbiamo avuto la sfortuna di incontrare un narcisista patologico, non saremo mai più le stesse. E la presunzione di essere abbastanza scaltre per non cadere nella sua trappola e di saper riconoscere un impostore appena lo incontriamo, andrà beatamente a farsi benedire non appena questo ladro di felicità ci avrà agganciate. Nemmeno il nostro intuito potrà salvarci, perché lo imbavaglieremo a favore della falsa favola che questo individuo saprà raccontarci.

Quando ho conosciuto Fabio mi trovavo in un momento molto positivo della mia vita, contenta del mio lavoro, circondata da amici che mi amavano, in una buona forma fisica a cui dedicavo sedute in palestra e sana alimentazione e legata a una relazione pluridecennale che pur senza slanci di entusiasmo mi dava stabilità. Stavo bene ed emanavo una sana energia, caratteristica che lo ha evidentemente attratto.

Mi ha agganciata sui social, commentando un post della palestra che frequentavo e in cui comparivo insieme al gruppo di persone con cui mi allenavo all’alba. Nel messaggio si complimentava per la mia forma fisica e per la tenacia ad allenarmi a quell’ora del mattino. Io avevo semplicemente ringraziato, più per educazione che altro, ma col senno di poi sarebbe stato meglio non farlo. Qualche giorno dopo me lo sono ritrovato in palestra alle sei del mattino che si allenava come un vero marine, attento, concentrato e di poche parole, spuntato fuori dal nulla come il coniglio dal cilindro.

Appena mi ha vista mi ha sorriso e mi ha salutata con la mano, ma è stato solo quando ci siamo trovati uno di fianco all’altra sul tapis roulant che è partita l’offensiva.
«Sai che allenarsi a quest’ora è davvero fantastico? Non lo avrei mai detto, e invece…» e aveva lasciato la frase in sospeso.

Io avevo semplicemente annuito con un gesto del capo e lui aveva subito incalzato chiedendo: «Tu vieni sempre a quest’ora?».

E io che sono cresciuta in una famiglia dove l’educazione è sacrosanta, mi sono sentita in dovere di rispondere, senza sapere che lui stava raccogliendo informazioni su di me con un obiettivo ben preciso.

Mi aveva raccontato che era sposato con due figli, che mentre lui era uno sportivo incallito sua moglie era decisamente pigra, che il suo lavoro come dirigente lo stressava molto e che la palestra era un ottimo modo per sfogare la tensione. Ovviamente per ogni informazione che mi dava ne chiedeva una in cambio, con fare apparentemente innocuo, e così dopo dieci minuti gli avevo raccontato di avere una relazione ormai da molto tempo, di lavorare nella pubblicità e di amare lo sport e la vita sana. Fabio era un uomo piacente, curato e di un certo spessore, ma c’era qualcosa in lui che non mi tornava. Qualcosa nel suo sguardo o forse nell’energia che emanava che mi rendeva a tratti inquieta.

«Grazie per la bella chiacchierata» aveva esclamato prima di andarsene, «non è facile incontrare persone gentili e disponibili, magari continuiamo la prossima volta se ti va». «Se capita volentieri» avevo risposto senza dare troppa importanza alla cosa.

Quello che non potevo immaginare era l’incubo che sarebbe iniziato di lì a poco e che mi avrebbe tolto serenità e gioia di vivere.
Ho iniziato a incontrarlo sempre più spesso, in palestra, al supermercato dove facevo la spesa, persino sui social commentava le pagine che seguivo io. Credevo fossero coincidenze e pensavo di non essermi accorta di lui prima perché non lo conoscevo e quindi non lo notavo. Era sempre molto gentile e prodigo di complimenti. Mentirei se dicessi che non mi lusingassero le sue attenzioni. Mi sentivo di nuovo vista e apprezzata, e la cosa mi piaceva. Le chiacchierate in palestra diventavano sempre più lunghe. Mi aveva raccontato del suo matrimonio agonizzante tenuto insieme dalla presenza dei figli, di quanto gli mancasse un confronto vivace con una donna intelligente, del terrore di sprecare la sua vita in una situazione mediocre e del desiderio di un amore folle, passionale e travolgente. Il tutto guardandomi negli occhi con tenerezza per poi abbassare lo sguardo imbarazzato. Per finta, ovviamente, ma io ancora non potevo saperlo. Un giorno si era persino commosso parlando della sua situazione personale, aggiungendo il carico da novanta di un momento delicato sul lavoro in cui temeva di essere silurato. E se fino ad allora ero rimasta in un certo senso distaccata, vedere la paura e la fragilità in un uomo apparentemente così solido, aveva fatto scattare la mia sindrome della crocerossina: gli avevo messo una mano sulla spalla dicendogli che sarebbe andato tutto bene, che era un uomo in gamba e che se avesse avuto bisogno di parlare con qualcuno io lo avrei ascoltato.

I suoi occhi si erano improvvisamente illuminati e uno strano sorriso era comparso sul suo volto, che solo adesso posso dire con certezza essere un ghigno. Ce l’aveva fatta, era entrato.

Quel giorno mi aveva aspettata all’uscita della palestra per ringraziarmi ancora una volta della disponibilità nei suoi confronti e mi aveva invitata a bere un caffè per sdebitarsi di tanta gentilezza.

Da quel momento abbiamo iniziato a sentirci quotidianamente. Mi chiedeva consigli su qualunque cosa, da una decisione lavorativa a cosa mangiare a cena, e chiudeva ogni conversazione con “cosa farei se non ci fossi tu”, facendomi sentire speciale e indispensabile.

Ero finita nelle sabbie mobili senza neanche accorgermene, e la sua presenza iniziava a diventare determinante per il mio buonumore. Controllavo il telefono per verificare se ci fossero suoi messaggi, mi fermavo a prendere un caffè con lui dopo l’allenamento arrivando spesso tardi al lavoro e mentendo a tutti pur di non rinunciare a quelle attenzioni che erano diventate come ossigeno. L’equilibrio per il quale avevo tanto lottato nella mia vita adesso mi sembrava noioso, avevo voglia di emozioni forti, di sentirmi desiderata e necessaria e lui in questo era bravissimo.

Una sera, dopo la cena della palestra, mi ha accompagnata alla macchina e prima di salutarmi mi ha tirata a sé e baciata appassionatamente. Non me lo aspettavo, ma ci speravo, non mi vergogno a dirlo, e non perché sia una persona leggera e superficiale, ma perché mi sentivo irresistibilmente attratta da lui, non solo fisicamente ma anche mentalmente.

Avevo incontrato la mia versione maschile, almeno era quello che credevo, un uomo che incarnava tutto ciò che volevo. E a dire il vero era così, perché lui rifletteva semplicemente ciò che io gli avevo raccontato e che lui aveva abilmente registrato. Mi ero invaghita di me stessa, non di lui, e questo è l’unico aspetto che mi consola.

Da quella sera il nostro rapporto era cambiato e noi eravamo diventati amanti.
All’inizio andava tutto alla grande, ci sentivamo in continuazione, mi riempiva di regali, complimenti, attenzioni e fare l’amore con lui per me era meraviglioso. Cercavamo di vederci il più possibile e anche se mi sentivo in colpa nei confronti del mio fidanzato (che lavorando in un’altra città non si era accorto di niente), non riuscivo a farne a meno, ero come una drogata in attesa della sua dose di felicità. L’idillio è durato circa sei mesi, poi qualcosa ha iniziato a scricchiolare. Un giorno in palestra l’ho visto chiacchierare con una ragazza nuova. Non volevo fare la gelosa, perché era stato chiaro all’inizio sul fatto che detestava le donne appiccicose come sua moglie e io volevo essere diversa, ma stava flirtando e la cosa mi infastidiva alquanto. Mi sono avvicinata per salutarlo e lui mi ha a mala pena degnata di uno sguardo. Ho fatto finta di niente sul momento, confusa, incredula, basita da tale comportamento, ma sentivo che qualcosa era cambiato all’improvviso, esattamente com’era iniziato. Le attenzioni sono diminuite e così anche i complimenti, le telefonate,  messaggi e le gentilezze. Un pezzettino alla volta mi stava togliendo tutto e io mi sentivo morire, in totale crisi di astinenza, in balia di un uomo a cui avevo dato tanto potere su di me. Nell’arco di qualche settimana sono passata dall’essere una donna solare, forte e piena di vita, a una mendicante triste e spenta, che si faceva bastare tutto, anche una battuta infelice, ma non il silenzio. Non mi capacitavo di questa inversione di rotta e non accettavo di essere rimpiazzata così, dall’oggi al domani come un paio di scarpe vecchie. Cosa avevo sbagliato? Me lo chiedevo in continuazione, in preda al mio dolore. Non avevo sbagliato niente, ma ancora non lo sapevo.

Qualche tempo dopo, nella caffetteria vicino alla palestra, ho ascoltato per caso la conversazione di una ragazza che raccontava all’amica di questo tipo conosciuto in palestra che la trattava come una principessa e che avrebbe lasciato la moglie per stare con lei. Non ci è voluto molto per capire di chi stesse parlando, era un copione che conoscevo bene. Mi aveva usata, spremuta come un limone per nutrire il suo ego e adesso che non gli servivo più perché ormai aveva ottenuto quello che voleva, era pronto a passare alla prossima, che avrebbe consumato esattamente come aveva fatto con me, per poi lasciarla e passare alla successiva. Ho sentito dentro una rabbia mai provata, ma finalmente sono riuscita a reagire. Dopo aver chiesto scusa a me stessa per aver pensato di non essere abbastanza, ho eliminato questa persona dalla mia vita, e sono sparita nel nulla. Lui ha cercato di contattarmi ancora, ma ho cambiato palestra, l’ho bloccato sui social e sono andata in terapia per liberarmi di quel cancro che mi aveva distrutta emotivamente e mentalmente e che si è portato via, mio malgrado, la fiducia nel prossimo. ●

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